VI

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Imparare a leggere non era così semplice come Esmeralda aveva pensato. Imparava tutto molto alla svelta, che si trattasse di ballare o di rubare qualche moneta qua e là. Aveva una mano così leggera che nessuno si era mai accorto di nulla, ma leggere! Leggere le risultava così difficile! Il prete la aiutava, le insegnava la pronuncia, come disegnare le lettere, come metterle insieme correttamente, ma la sera, quando lei provava a leggere quella lettera era come se avesse dimenticato tutto. Riusciva a riconoscere qualche carattere e parola in più rispetto alle prime volte, ma ancora non ne capiva appieno il senso. Ciò che la spingeva a continuare era la sua cocciutaggine, quella ostinazione tipica dei bambini, ancora forte e viva in lei. In più trovava piacevoli le ore passate al fianco del suo maestro. L'uomo leggeva sempre le favole su cui insegnava alla ragazza con trasporto, un leggero sorriso sulle labbra e una luce particolare negli occhi.
I ricordi affioravano alla mente dell'arcidiacono ogni volta che sfiorava quelle pagine ingiallite e non facevano che rendere il suo animo ancora più tormentato, ancora più triste. Si rendeva conto di quanti anni della sua vita non avesse mai vissuto pienamente, del fatto che non fosse mai stato felice in quei trentasei anni. Aveva passato la sua non esistenza a studiare, chino sui libri per imparare le materie più disparate e, alla fine, tutto ciò gli era servito a ben poco.
Sospirava, il prete. Sospirava in continuazione e con ogni esalazione del suo fiato se ne andava un minuscolo pezzo della sua anima, per sempre dispersa. Non riusciva a trovare pace, nemmeno in quelle lezioni, nemmeno accanto a lei. C'era un fuoco in lui, l'inferno e lo avrebbe spinto fino all'orlo della follia, fino al suo disastro, ne era consapevole. Sarebbero bastate poche parole per riappacificare quell'animo tormentato, ma la gitana non faceva che regalargli sguardi carichi di promesse e aspettative, sorrisi dolci, gesti accorati, nulla più.
Frollo si passò una mano sul viso, lasciando il libro di favole davanti alla ragazza, che lo guardava con un sopracciglio alzato.

- Non mi ascoltate... -

Sbuffò stizzita. Non le piaceva quando non le prestava attenzione, ne aveva bisogno! Necessitava della sua approvazione, delle sue lusinghe per dirle quanto fosse migliorata o quanto fosse brava.
Esmeralda vide che nemmeno quella protesta era riuscita a riscuoterlo e che lui continuava a vagare per la stanza con la testa china e le spalle leggermente curve. Solitamente la sua postura era eretta e fiera, ma ora sembrava che gli avessero caricato sulla schiena un gran peso e che lui cercasse di sopportarlo e di non venirne schiacciato. La gitana addolcì lo sguardo e sporse in fuori il labbro inferiore.

- Claude? -

Ancora non le rispose. Cosa non andava? Non lo aveva mai visto così distratto, almeno non con lei.
Nella zingara cominciò ad insinuarsi il tarlo del dubbio, che la fece fremere e drizzare la schiena, come se fosse stata punta da spilli. Se c'è una cosa che la mente non può controllare è il cuore e, ormai, quello di Esmeralda batteva all'unisono con quello del prete.

Ha smesso di amarmi.

La sua anima prese a piangere, le viscere si strinsero e un nodo alla gola le rese difficile continuare a respirare. In lei i pensieri e i sentimenti si facevano più torbidi, confusi. Se prima lo odiava ora lo desiderava, desiderava averlo accanto e sentirlo sempre parlare, spiegarle cose nuove. La Esmeralda non gli aveva mai rivelato nulla e forse era stato proprio quello, pensò, a renderlo così: il non sapere. Non era sicura del perché l'idea che potesse aver smesso di amarla si fosse affacciata in lei, ma ora non riusciva più a scacciarla.
La giovane si alzò, avvicinandosi a Frollo e posandogli una mano su di un braccio. Lo vide voltarsi di scatto e afferrarle il polso con decisione. La fissò con occhi dardeggianti ed Esmeralda si sentì come nuda davanti a quelle iridi scure. Rimasero immobili, entrambi a fissarsi. Lei teneva le labbra socchiuse, lui serrate. Era come guardare il falco stringere un topolino tra i suoi artigli, quando ancora vuole giocare con la propria preda prima di divorarla. Il prete la sovrastava, tremava.

- Mi state facendo male, Claude. -

Disse lei con calma, anche se in fondo avrebbe voluto urlare. Qualcosa, però, le diceva che doveva fidarsi. Gli animi dei bambini, si sa, sono fatti così. Sono dotati di una certa elasticità e sono in grado di sopportare sentimenti contrastanti contemporaneamente, difatti in lei era riaffiorata una certa paura, ma allo stesso tempo non riusciva ad allontanarlo.
Fu come se Frollo si fosse risvegliato da una sorta di sonno ad occhi aperti. Lentamente le lasciò il polso e scivolò in ginocchio, ai suoi piedi. Con devozione premette le proprie labbra sui segni che le aveva impresso sulla pelle, come a chiederle scusa. La zingara gli fece scorrere la mano libera tra i capelli, sperando di rassicurarlo.

- Mi stavo preoccupando. -
- Perdonami, non so cosa mi sia successo... -

Continuava a tenere la testa bassa, gli occhi chiusi. Per un attimo aveva pensato di farlo, di portarla al piano di sopra e poi consumarsi su di lei a furia di baciarla. Per un attimo avrebbe voluto, ma qualcosa lo aveva fermato: la paura di ferirla.

- Cosa vi preoccupa? Oggi siete più pensieroso del solito. -
- Cosa, dici? In realtà non lo so nemmeno io. -

Con quelle parole si alzò, leccandosi le labbra su cui era rimasto il sapore della pelle ambrata della giovane.
Lei gli si fece d'appresso, con quel suo modo genuino di fare le cose. Il bracciale che Frollo le aveva comprato le tintinnava al polso.

- Potete parlarmene. Mi farebbe piacere. -

Sorrise, sperando di riuscire a strapparne uno anche a lui, ma non accadde.

- Vi prego... -
- Zingara! - La sua voce si fece più dura, così come la sua espressione, ma accorgendosi dell'effetto che ebbe su di lei si affrettò a scuotere la testa e cercare di riparare al danno fatto - Esmeralda... - Continuò - Ho un brutto presentimento, ma più di questo non so dirti. -

Quell'eccesso di rabbia l'aveva fatta allontanare di un passo. La gitana si stringeva le mani al petto, tormentandosele nervosamente. Perché aveva alzato la voce così? Sentì le lacrime cominciare a velarle gli occhi.

- Perdonami, non volevo. Non ero in me e forse è meglio che per oggi lasciamo perdere le lezioni. -

Esmeralda scosse la testa, per poi lisciarsi i capelli e stringersi nelle spalle. Si era, evidentemente, offesa. Frollo inclinò la testa di lato.

- Pensavo al tuo capitano. -

Vide la ragazza irrigidirsi e sgranare gli occhi.

- Temo non abbia rinunciato alle sue ricerche. È un pensiero che mi tormenta da quando siamo arrivati. Forse non siamo abbastanza lontani e se dovesse scoprire che tu ti trovi qui credo non esiterebbe a venire a prenderti. -
- Non verrà. -

Il tono della zingara aveva un sapore amaro, di risentimento.

- Non verrà perché ha un'altra donna. Non verrà perché non può sapere che siamo qui. -
- Le voci corrono al giorno d'oggi. -
- Non verrà. -

Frollo annuì, decidendo che, forse, doveva fare come lei e convincersi che, per un motivo o per l'altro, non sarebbe mai arrivato al loro nascondiglio. Eppure non riusciva a liberarsi del tutto di quel pensiero.

- C'era altro, però, l'ho visto nei vostri occhi. -
- Non credo. -

Si schiarì la voce e si allontanò da lei, che aveva già ripreso a seguirlo.

- Perché vi vergognate tanto di quello che provate? -
- Vergogna? Oh, no, ti sbagli! -
- Perché mi sbaglio? -

Era decisa a farlo parlare. Dalle sue parole e dal suo comportamento avrebbe deciso se fuggire una volta per tutte o lasciarsi andare a quel torpore che provava in sua compagnia.

- Ti sbagli perché non si tratta di vergogna. -
- Di cosa, allora? -

Il prete si passò le mani tra i capelli, nervosamente. Sì, di cosa si trattava? Si trattava del fatto che lei aveva sostituito in lui ogni altro pensiero, si trattava del fatto che lei aveva fatto innamorare un uomo di chiesa, che sarebbe dovuto essere devoto solo a Dio. Aveva spazzato via ogni certezza.

- So che non sei e non sarai mia, che da te sono odiato. Si tratta di questo. Mi ero convinto che, con il tempo, il mio desiderio si sarebbe affievolito, come ero convinto che condannandoti, facendoti uccidere, l'amore che provavo per te sarebbe morto con l'esalazione del tuo ultimo respiro. - fissò gli occhi in quelli di lei - Si tratta di tante cose, bambina, la maggior parte delle quali nemmeno io riesco a comprendere. Solo che voglio te e questo pensiero basta a rendermi pazzo. Pazzo! Capisci? -

Rise in modo nervoso.

- No, tu non lo sai cosa vuole dire sentirsi morire di gelosia. Non sai cosa voglia dire un animo fatto a pezzi. Subisci il mio amore, ma ti scivola addosso come acqua. -

Si massaggiò la fronte.

- Dimmi, sei felice ora? Sei contenta di sentirmi dire queste cose e sapere che il mio tormento sei tu? Tu, dalla prima volta che ti ho vista! Ho subito capito che ormai ero perso, che per me non ci sarebbe stata redenzione, per quanto avessi pregato! Eppure lo faccio ancora. Eppure sono ancora qui che prego Dio e la Vergine che risparmino la mia povera anima. Ti prego, ora lascia che vada. Lascia che rimanga solo per un po'. -

Sussurrò quelle ultime parole, superando la gitana e uscendo in giardino. Lì si sedette e non si mosse per tutto il pomeriggio. Esmeralda non osò andare a disturbarlo. Riusciva sempre a turbarla quando le parlava così, poiché sentiva tutto il dolore che lei gli causava. Avrebbe potuto aiutarlo, ma non sapeva come, nel suo cuore innocente.

Ormai la luna era alta nel cielo e lei aveva tentato fino a quel momento, dopo la discussione avuta con il prete, di comprendere qualcosa in più dalla lettera. Nulla, l'unica cosa certa era il suo nome.
Soffiò sulla candela, lasciando che la stanza venisse illuminata solamente dalla luce lunare che penetrava dalla finestra. La piccola di avvicinò ad essa e guardò giù.
Claude Frollo era ancora inginocchiato e le sue labbra si muovevano impercettibilmente. No, non sarebbe scappata, non più, aveva deciso.
Prese il foglio scritto e scese in giardino, andando ad accoccolarsi accanto all'uomo. Lui non si scostò.
La ragazza capì che stava pregando, poiché stava usando quella lingua tanto strana che lui chiamava latino. Aspettò che finisse, che la guardasse e sorridesse in modo impacciato, più rilassato ora. Lei prese un respiro profondo e posò il foglio sull'erba, davanti a lui.

- Cos'é? -

Chiese lui, corrugando le sopracciglia. Quando capì sbiancò completamente, deglutendo a fatica.

- Dove...? -
- Nel vostro studio, prima che mi portaste qui. Però non riesco a leggere tutto, per questo volevo imparare. Speravo di imparare in fretta, ma è ancora troppo difficile. Non volevo scopriste che l'avevo presa, ma ho deciso che voglio sapere. -
- Parla di te. -

Pronunciare quelle parole gli richiese parecchio coraggio. Lei annuì, indicando il proprio nome sulla carta.

- Questo lo so. Poi? So che probabilmente non vorreste parlarne, ma ve ne prego. -

Frollo accarezzò il foglio, prendendo poi un respiro profondo e cominciando a leggere con voce profonda e pacata. In quelle parole non ce n'era nemmeno una d'odio. Forse quel sentimento orribile era subentrato successivamente, quando si era accorto del suo peccato, ma non poteva saperlo. L'arcidiacono parlava di lei come di un angelo, si immaginava al suo fianco, mentre la baciava tra i capelli neri. Era come se avesse messo per iscritto la parte più pura e innocente del suo sentimento verso di lei. Forse, si disse lei, per lui era più facile parlare con l'inchiostro che con la lingua. Questo particolare fece addolcire ancora di più l'espressione della piccola, che poggiò la testa contro il braccio di lui, ascoltandolo attentamente. Era quello, quindi quello che aveva dentro. Non c'era solo il desiderio di averla per una notte, non come Phoebus. C'era un intero mondo da scoprire e ad Esmeralda non sarebbe bastata tutta la vita per esplorarlo tutto.
Quelle parole rappresentavano il vero Frollo e la zingara si rese conto che, dopo quella dimostrazione, non aveva più bisogno d'altro. Le era servito molto tempo, forse troppo, per capire appieno sé stessa e lui, ma ora sapeva.
Una volta finito di leggere il prete abbassò le braccia e la guardò. Era evidente da come si mordicchiava le labbra che era in imbarazzo, che provava una profonda vergogna per quella parte del suo essere.

- Così, credo, proverai ancora più orrore verso di me. Oh! Dovevo bruciarla! -

Lei scosse la testa. Avvolgendo il braccio attorno a quello dell'uomo, prendendogli la mano e intrecciando le dita alle sue.

- Io sono felice di averla trovata e sono felice me l'abbiate letta. Non provo orrore per voi, no. Avrei voluto mi diceste prima queste cose, invece che spaventarmi. -

Frollo si sentiva confuso, non riusciva a capire dove volesse arrivare, né perché gli stringesse così la mano.

- Ma ora so che avevate paura tanto quanto me, anche se per cose diverse. -
- Farti del male non era mia intenzione, nemmeno spaventarti. Ho agito male, sì, è vero. Non ho mai avuto modo di imparare a controllare questo tipo di pulsioni e tu le hai risvegliare in me più forti che mai. -

Lei annuì, come a dirsi consapevole di tutto quello. La zingara scrutò tutto il cielo, le stelle, la luna e, infine, lui.

- Vi amo anche io. -

Disse con una calma devastante. Il prete, invece, si sentì investito come uno scoglio dalle onde. Smise di respirare, il suo cuore di battere e la sua pelle si fece più calda che mai.

- Sono nel mio letto e sogno, vero? Ancora una volta... -

La piccola scosse la testa, ridacchiando sommessamente.

- No, non state sognando. -
- No, non mi ami. Non è vero... -

Aveva tanto atteso quelle parole, le aveva agognate come un assetato desidera l'acqua, ma ora che gliele sentiva pronunciare temeva fosse un'illusione o un suo modo per divertirsi o vendicarsi.

- Non vi sto mentendo. Da quando sono qui ho avuto modo di conoscervi meglio. C'è altro in voi, qualcosa che prima non avevo visto, che voi nascondevate a tutti. Mi avete trattata come mai altri in vita mia, come nemmeno Phoebus ha saputo fare. -


Guardava le stelle e gli teneva stretta la mano, cercando in essa la forza per continuare a parlare e trovare le parole giuste.
Frollo, guardandola, vedeva ora una giovane donna, non più la bambina. Finalmente si era decisa ad uscire dalla sua caverna fatta di ombre ed era uscita alla luce della realtà, sbocciata come il più bello dei fiori.

- Io per prima vi ho trattato in modo meschino, che non meritavate del tutto. Avevo paura e ora non ne ho più. Ho visto chi siete e, più di tutto, mi avete rispettata. Vi ho fatto del male senza volerne, ma nemmeno io sapevo cosa avessi nel cuore. Sono una bambina, lo so... - fece una pausa, durante la quale si volse verso di lui - Vi amo, sì, la Luna ci è testimone, sa che non mento. -

A quel punto tutte le difese di Dom Claude caddero, tremò e premette le proprie labbra su quelle della ragazza. La gitana accennò un sorriso, senza ritrarsi. Gioì per quella bocca bollente sulla sua, si esaltò per il braccio che dolcemente la strinse e, lentamente, ella posò una mano sulla guancia del prete.

- So che avete paura quanto me... -

Gli sussurrò in un soffio.

- Andrà tutto bene. -

Come poteva andare tutto bene? Lui non meritava quel corpo, non meritava niente di lei, eppure ora poteva stringerla quanto voleva. Lei gli si era concessa volontariamente, eppure...

- Non posso, Esmeralda. -

Si separò da lei, accennando ad alzarsi, ma lei gli prese il viso tra le mani, guardandolo con occhi trasognati, il petto premuto contro il fianco dell'uomo.

- Temete che Dio possa punirvi e forse accadrà, ma non avete detto voi che con me anche l'Inferno sembrerebbe il Paradiso? Amatemi, Claude. -

Lo supplicò con lo sguardo, poggiando la fronte contro la sua, costringendolo a piegarsi verso di lei.

- Mi amate come prima? Mi amate ancora? -
- Si. Ti amo anche più di prima. -

Esmeralda non aspettava altro che quella risposta. Si alzò e si fece seguire in casa, trascinando l'uomo per una manica. Di tanto in tanto si voltava a sorridergli e Frollo sentiva scomparire la paura ogni volta che la vedeva così felice. Il suo cuore era sul punto di scoppiare, lui di bruciare tanto si sentiva acceso dal sentimento che provava per lei.
La gitana lo condusse nella propria stanza e lo fece sedere sul letto, lei in piedi, tra le gambe dell'uomo. Lo guardava appassionata, accarezzandolo con lo sguardo, indagando ogni particolare del suo viso.

- Sei sicura? -

Le sussurrò l'arcidiacono all'orecchio, mentre le scostava delicatamente i capelli per poterle baciare il collo. Fu delicato, non come quando, colto da pazzia, aveva compiuto quello stesso gesto a Notre Dame, cogliendola nel sonno.

- Lo sono... -

Fremette sotto quei tocchi fugaci, tremendamente invitanti. Sarebbe svenuta tra le sue braccia se non avesse desiderato tanto le sue labbra. Nemmeno lei si capacitava di come dall'odio che aveva provato si fosse generato tanto amore. Ma, si disse, è dalle cose più orribili che nascono le magnifiche. Il suo pensiero corse a Quasimodo che, per quanto la sua forma dicesse il contrario, non era capace che di fare del bene.
Lei prese coraggio e, alzando il mento per lasciare spazio alle labbra del prete, cercò a tentoni i laccetti che tenevano chiusa la camiciola dell'altro. Li trovò e con mani inesperte li slacciò, così da potergli passare le mani sul petto ampio. Non era scolpito come quello di un ragazzo, ma comunque asciutto.
Nessuno dei due sapeva come muoversi, nessuno dei due aveva mai sperimentato nulla di simile. Avrebbero imparato insieme.
Claude Frollo lasciò che lo carezzasse, che seguisse con la punta delle dita le cicatrici che gli erano rimaste, come a ricordare per sempre tutto il dolore che aveva sopportato prima di arrivare a quella gioia. Sarebbe morto d'amore per lei, poco importava che Lucifero lo attendesse, se era con lei che avrebbe passato l'eternità, allora non doveva temere nè Inferno, nè Cielo. Sentiva le sue mani calde sulla propria pelle e quel contatto bastava a farlo sospirare, a farlo fremere coma una foglia al vento. L'arcidiacono la fece avvicinare di più, posandole le mani sui fianchi, così da poter scendere con le labbra lungo il collo profumato della giovane e soffermarsi sulle sue spalle, che aveva prontamente scoperto. Ancora indugiava nello spogliarla, temendo che lei potesse infine ritrarsi, rifiutarlo. La zingara, invece, lo invitò a togliersi del tutto la camicia e lui fece come lei indicava. Si sorridevano, guardandosi fugacemente negli occhi. Erano entrambi rossi in volto, il fiato mozzato dall'eccitazione e la contentezza. Nei loro petti il cuore sembrava voler uscire.
La gitana sfiorò le spalle larghe dell'uomo, contemplandolo come il più prezioso dei tesori. Il suo corpo non era come lo aveva immaginato. Era ben formato, piacevole alla vista. Non si trattava de corpo di un ragazzo, ma di quello di un uomo e lei lo trovava terribilmente attraente. La sua pelle bollente, le sue labbra su di sé, non facevano che rendere tutto quello ancora più speciale. Non si era resa conto fino a quel momento di quanto lo desiderasse.

- Sdraiatevi... -

Gli sussurrò, spingendolo leggermente sul letto, invitandolo a mettersi comodo. Claude Frollo obbedì, guardandola rapito. Nella sua testa ormai c'era solo lei: lei e il profumo dei suoi capelli, misto ad una contentezza indescrivibile. Non si era mai sentito così vivo prima. Avrebbe pianto se ciò non avesse rovinato quel momento, per cui trattenne le lacrime, limitandosi ad osservarla con attenzione e a trattarla con riguardo.
Sospirò di piacere quando le labbra della giovane si premettero sul suo petto. Si era seduta a cavalcioni su di lui e ora gli lambiva la pelle, dolcemente, con la bocca e un certo tremore delle mani. Aveva paura di sbagliare, che non gli piacesse, ma il prete la rassicurò con una carezza sul viso e la invitò ad avvicinarsi, solo per poterla baciare.
Si esplorarono a lungo, assaporando l'uno la bocca dell'altra, rubandosi ossigeno a vicenda in quell'intrecciarsi di lingue. C'era urgenza nei loro gesti, oltre che un certo timore, quasi reverenziale, per l'altro.
Frollo la fece scivolare sotto di sé, cingendola con un braccio e sorridendo contro di lei. Le abbassò allora le spalline del vestitino, scoprendole il seno. Esmeralda intrecciò le braccia attorno al collo dell'arcidiacono, sfiorandogli i capelli con una mano. In un primo momento si sentì in imbarazzo e così lui, che attese qualche secondo, nell'indecisione, prima di sfiorarla e baciarla lungo l'onda dei seni. La zingara accolse volentieri quelle attenzioni, trovandole piacevoli e delicate, non rudi come quelle di Phoebus al Valdamore. Quanto si era sbagliata, quanto? Se solo avesse saputo riconoscere prima chi fosse degno del suo cuore, invece che assecondare i propri capricci da bambina!
Passarono lunghi momenti ad accarezzarsi e baciarsi, temendo il momento che avevano agognato, Frollo più di tutti e due.
Esmeralda allargò appena di più le gambe, invitando con un cenno l'altro a proseguire.

- Te la senti di continuare? -

Le chiese sommessamente, mentre sfregava il viso contro quello della ragazza e lasciva che i suoi capelli neri lo solleticassero. Lei annuì docilmente, guardandolo.
Allora la prese, piano, entrando in lei come altre volte era entrato per la porta di Notre Dame. Non fu come quando l'aveva quasi violentata. In lui c'era desiderio, sì, ma non di farle del male. Esmeralda nascose il viso contro la spalla sudata dell'uomo, trattenendo un mugolio di dolore. Lo strinse forte, cercando di non tremare troppo. Lui la accarezzava, le baciava ogni centimetro di pelle scoperta che riuscisse a raggiungere, in modo da rassicurarla, mentre si muoveva piano, per farla abituare. La ragazza gli graffiò la schiena, senza volerlo realmente.

- Posso fermarmi, se vuoi... -

Esmeralda scosse la testa, ancora premuta contro di lui. Avrebbe sopportato.
Presto, comunque, il dolore si trasformò in piacere, anche grazie a Frollo che riusciva ad essere calmo e misurato anche in quella situazione. Esmeralda sapeva che era solo per lei che lo stava facendo, oltre al fatto che non sapesse come muoversi. Fu tutto naturale, guidato solo dal loro istinto, ma mai brutale o privo di sentimento. Fecero l'amore, non passarono semplicemente una notte insieme.
I mugolii di dolore si trasformarono in gemiti di piacere, i fremiti di indecisione in scosse di appagamento.
Dopo l'amplesso si sdraiarono l'uno accanto all'altra, con il fiato grosso, gli occhi lucidi, stanchi e sudati, ma felici. Frollo la strinse e lei si accoccolò docilmente contro di lui, trovando finalmente il suo posto nel mondo, tra quelle braccia che sembravano fatte apposta per lei. Il prete le diede un bacio sulla fronte, scostandole poi qualche ciocca che le si era appiccicata al viso. Era felice di non averle fatto del male, di non aver lasciato che i suoi istinti più bassi prendessero il sopravvento. Si sentiva comunque pago di tutto quello che avevano provato insieme. Era felice, finalmente completo. Lei era la parte mancante della sua anima, del suo cuore.
Egli la osservò addormentarsi, continuando ad accarezzarle la schiena con la punta delle dita. Lasciò che riposasse con la testa posata sulla sua spalla, mentre lui la guardava ancora e ancora, riempiendosi gli occhi di quella meraviglia.

- Sì, ti amo. -

Sorrise, assopendosi anche lui poco dopo. Dormirono abbracciati, respirando i loro odori mescolati e godendo del calore del corpo che avevano accanto.

Odi et AmoOnde histórias criam vida. Descubra agora