-CHAPTER FOUR-

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Pochi giorni dopo mi trasferì ufficialmente nel mio nuovo e primo "appartamento" null'altro era cambiato, il lavoro era sempre quello ed Harry continuava con il suo carattere da prepotente, se così lo volgiamo chiamare.

Quella notte feci fatica a dormire, la prima notte nella casa nuova fa sempre un po' paura, abituarsi ai rumori non è facile così presi il telefono digitando il numero di Alex, dalla sua chiamata avevo scoperto quanto mi mancasse il suono di una voce familiare, erano le tre del mattino ma comunque mi rispose con il solito tono gentile anche se assonnato dormiva, ma mi rispose comunque, e gliene fui grata. Rimanemmo al telefono fino a quando non mi addormentai.

- grazie, e buona giornata!- salutai l'ennesimo cliente dopo averlo servito con una delle mie tempistiche record -sessanta secondi!- si complimentò con me il riccio, in un lento battito di mani, forse per la prima volta – Hum... quindi sai anche essere gentile eh?!- ero sarcastica ovviamente, scossi appena la testa, per farglielo intuire mettendomi a ripulire il bancone – si, delle volte...quando mi gira – alzò le spalle freddamente non ricevendo alcuna risposta da parte mia, non ne valeva la pena, da mio canto, continuare a battibeccare con una persona del genere; volevo solo lavorare e prendere il mio stipendio. Le relazioni sociali ormai erano passate in secondo piano, o ultimo, nel suo caso.

Procedemmo velocemente con un cliente a testa da servire e l'orario di chiusura arrivò presto, diedi uno sguardo ai tavoli avvisando i pochi rimasti che stavamo per chiudere. Era da un paio di giorni che la notavo, sempre la solita donna presa a battere velocemente le dita sulla tastiera del portatile, presa da qualsiasi cosa stava facendo. Assorbita completamente. Al mio avviso di chiusura sembrò quasi risvegliarsi e con la stessa rapidità con cui batteva parole chiuse tutto e se ne andò, così come gli altri.

-Hei Elly...- mi chiamò Harry quando ormai era tutto pronto , sedie sui tavoli, luce e gas spenti, tavoli e macchine puliti. Mi voltai verso di lui mentre mi rivestivo per affrontare il contrasto di temperatura tra il piacevole caldo che si respirava all'interno e il freddo invernale di Londra -Stasera che fai?- mi chiese, di punto in bianco. Non capì il motivo della domanda e mi limitai a corrugare la fronte -...è sabato sera, non esci?- chiese mentre lasciava il suo grembiule sull'appendi abiti. Era sabato, e io non me ne resi neanche conto. La prima settimana di lavoro era finita, la mia terza settimana della mia nuova vita era finita, e io non me ne ero nemmeno resa conto -Ah..ehm...no non esco, sono una da pizza e un buon film – ammisi in una leggera alzata di spalle mentre allacciavo il cappotto, nel mentre lui sfilava la maglietta, in quello spazio minuscolo per contenere qualsiasi cosa emanasse il suo corpo. I muscoli non erano definiti, non aveva quella tartaruga da fare invidia a David Beckham. no. Ma la pelle liscia coperta da non pochi tatuaggi mi aveva fatto muovere qualcosa che dallo stomaco si diradò in tutto il corpo -niente da fare – scosse la testa in una risatina mentre sostituiva la maglietta nera con una bianca -ti porto io in giro stasera. - Non era una richiesta o un invito, era un informazione -No.- gli risposi tornando in me, presi la mia borsa e feci per uscire, ma con una mano mi afferrò -non hai diritto di parola, non te l'ho chiesto- ridacchiò mettendo tutte le sue cose nel borsone in cuoio e infilandosi il cappotto. Per tutto il tempo non mi lasciò il braccio, forse con la paura che potessi scappare. Cosa che probabilmente avrei fatto. -Vedrai, ti divertirai.- Mi disse prendendomi sottobraccio nell'uscire.

Camminammo per una decina di minuti -non capisco, la stazione della metro è dall'altra parte- lo continuavo a ripetere non capendo dove stavamo andando, Belgravia è un quartiere molto ricco e Harry con lo stipendio di barista che aveva di certo non poteva permettersi un appartamento qui o nelle vicinanze. Lui però continuava a non volermi rispondere, a tacere e ridacchiare.

Ci fermammo davanti ad un palazzo, abbastanza alto per la zona in cui ci trovavamo, dalla tasca prese un mazzo di chiavi accompagnandomi dentro.

Il lusso era quasi esagerato, la moquette, immancabile negli edifici inglesi, era ben curata di un rosso che sembrava emanasse luce. L'ascensore completamente rivestito di specchi mi metté quasi soggezione -Harry...puoi spiegare per favore?- gli chiesi, ancora una volta, guardandolo nello specchio. Sulle labbra gli comparve un piccolo ghigno divertito. - Diciamo che lavorare in caffetteria non è così necessario – disse solo.

Era ricco, e questo giustificava l'atteggiamento snob di chi ha sempre avuto tutto, di chi non ha mai dovuto sudare una cosa, fare dei sacrifici. L'atteggiamento di chi si sente superiore ad avere qualche pezzo di carta in più nel portafoglio.

Mi lasciò il braccio solo una volta dentro l'appartamento.

Questo sembrava immenso, un grande open-space metteva in mostra il soggiorno con mobili lucidi che alternavano le tonalità del bianco a quelle del nero, il divano circondava per tre lati un tavolino in vetro per dare più comodità a guardare il televisore da 50 pollici, insomma lo spreco più assoluto se visto da una persona che ha solo una camera in affitto grande quanto il suo ascensore

-immagino tu voglia fare una doccia- disse mentre ammiravo ancora l'appartamento, dal lato opposto una cucina, lucida come se fosse stata appena spacchettata, rispecchiava lo stile del soggiorno -ehm ... si, sarebbe carino – ormai ero li, e non mi avrebbe fatto andare via.

ESCAPED. - H.S.Wo Geschichten leben. Entdecke jetzt