Capitolo 2

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Colombia, Medellín - 10 anni prima

Mia madre mi teneva così stretta per il braccio che mi fece quasi male, e piangevo mentre tentai di seguire mio padre che - improvvisamente e dopo avermi lasciato un bacio in fronte - uscì dalla finestra di camera mia con un'arma molto grande con sé, immaginai perché avesse paura che gli spari che provenivano dal cortile potessero ucciderci. Cosa stava succedendo? E perché? Chiesi a mia madre dove stesse andando papà e, più volte, perché dovevamo lasciare casa nostra così all'improvviso e di corsa, ma non ebbi nessuna risposta. Continuò solo a dirmi di stare ferma e calma su di una sedia al tavolo della cucina e di non muovermi per nessun motivo, e intanto lei cercava di non farsi notare troppo - o l'avrebbero centrata di sicuro - mentre guardava dalla finestra il gruppo di persone che continuava a sparare. Mi sembrò impossibile pensare ad altro sentendo continuamente il suono di migliaia di pallottole che cadevano sull'asfalto lì fuori, e istintivamente mi coprii le orecchie con le mani. Iniziai a piangere, il cuore andava a trecento all'ora per lo spavento.

"Devi stare immobile, Chaz. Qui non possono vederti, ma tieni la testa bassa. Non muoverti per nessun motivo." Mi ripeté per quella che fu la decima volta e feci quello che mi disse.

Lei non si mosse dalla finestra che affacciava su di loro fino a quando improvvisamente gli spari divennero incessanti, sembrava che non finissero più. Diede un urlo e iniziò a disperarsi, piegandosi a terra e piangendo, e credo che delle mie domande non ne avesse sentita più nessuna, perché non mi fu data risposta su cosa stesse accadendo. Non mi ci volle tanto per capire... Era afflitta, la mano sul cuore come se le fosse potuto esplodere da un momento all'altro. Gli spari cessarono per quell'arco di tempo in cui versò solo lacrime, ed io con lei, perché potevo solo immaginare il motivo della sua disperazione, sperando non sfiorasse nemmeno con un dito la realtà. Ci credetti poi quando non sentii più la voce di mio padre che fino a pochi minuti prima imprecava contro le persone che, supposi, dovevano essere la ragione per cui saremmo dovuti scappare. Ma dove, se la casa era praticamente circondata? Che fine avremmo fatto? Riuscii a pensare in quell'istante. Dopo aver recuperato alcune cose dalla sua stanza e uno zaino non molto grande, mia madre venne verso il tavolo a cui ero ancora seduta, col volto bagnato dalle lacrime e di chi non aveva nessun'altra speranza se non quella di salvare almeno sua figlia.

"Amore..." Non riuscì a parlare se non dopo alcuni secondi. "Ecco, tieni..." Mi porse lo zaino, come se avessi dovuto sapere cosa ci avrei dovuto fare. Continuò, tenendo la mia mano nella sua e baciandola ad ogni parola che disse.

"Dentro lo zaino ci sono molti soldi, devi portarli con te per arrivare a questo indirizzo. Non perderli mai. Saranno il tuo passaporto." Disse mettendomi tra la mano un pezzettino di carta con su scritto quello che doveva essere l'indirizzo che avrei dovuto raggiungere, e chiudendola in un pugno.

"Ti amo così tanto... Mi dispiace, amore mio."

Mi diede un bacio sulla fronte e avrei voluto che durasse tutta la vita, invece che qualche secondo. Pianse, e questa volta non cercò di nasconderlo, come neanche la pistola che aveva in mano. Così si diresse verso la porta di casa dietro di sé e poco dopo sentii i suoi passi mentre scesero velocemente le scale. Poi... uno sparo, due... tre.

"Mamma! ... Mamma!" Urlai, piangendo ancora più di prima.

Dei passi ripercorsero le scale e si avvicinarono sempre di più all'entrata, mentre io ero ancora immobile al tavolo della cucina, difronte ad essa. Quando la porta davanti a me si aprì rivelando un uomo arrabbiato, armato e sporco di sangue, la paura si impossessò con violenza di me.

"Tu devi essere Charlize."

-

Massachusetts, Boston - 10 anni dopo

Colombian BraveryWhere stories live. Discover now