Ashsa -1 (terza parte)

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Celec era incredulo, con la bocca aperta e le pupille che pulsavano.

«L'Alter ha parlato? Ha detto qualcosa?» chiese. Una domanda che ad Ashsa sembrò strana.

«No» rispose Elale.

Celec parve tranquillizzarsi.

«Forse Babaja ci saprebbe spiegare qualcosa» disse Ashsa.

Peccato che quella vecchia strega fosse rimasta al palazzo. Ashsa pregò che gli uomini dell'imperatore l'avessero risparmiata. Non gli era mai stata simpatica, ma aveva cresciuto lui e i suoi fratelli e aveva insegnato loro a domare gli Alter e a conoscerne i segreti. Ancora portava i segni, sui palmi di mani e piedi, delle bruciature che aveva dovuto sopportare da bambino, mentre lei gli insegnava a non perdere mai il controllo, a tenere sempre saldo quel filo sottile che lega possessore e Alter, che fa di uno il padrone e dell'altro il sottoposto. Babaja amava spaventarlo, prima di mandarlo a letto, con le storie di alcuni Akhan che erano stati troppo deboli e che avevano perso addirittura l'uso del proprio corpo, diventando come marionette comandate dal loro Alter. Babaja gli aveva spiegato che gli Alter sono uno diverso dall'altro, che possono avere decine di forme diverse, che possono essere sia di forma umana che di pura energia, che hanno una personalità, che vivono all'interno del loro possessore, nella sua anima, o nel sangue, o nella sua ombra e che di solito si manifestano attorno al decimo anno di età. La vecchia sapeva tutto sui poteri degli Alma, poiché era tra le poche superstiti a Derte dell'ordine sacerdotale delle Strie, depositarie degli antichi misteri. Le sue antenate avevano abbandonato i santuari e seguito gli Akhan quando dal Grande Rosso avevano deciso di conquistare l'isola continente di Derte.

Lei era l'unica che avrebbe potuto aiutare il bambino. Il piccolo, da solo e con un Alter così forte, non ce l'avrebbe mai fatta a sopravvivere.

«Babaja...» sibilò Celec.

Ashsa sapeva che suo fratello le era molto affezionato, ma quello che gli parve di notare nella voce di Celec non era apprensione per la sua sorte, bensì astio, forse odio.

«Dobbiamo andare, o si farà tardi e potremo avere delle difficoltà ad arrivare a Nagol» disse Elale. Ashsa annuì e con lo sguardo cercò i cavalli, ma solo allora si accorse di non vederne da nessuna parte. Afferrò suo fratello per una spalla e lo fece voltare, stringendolo forte. I suoi non erano solo sospetti, allora.

«Dove sono i cavalli? Non c'è neppure il tuo, come sei arrivato qua?» chiese, mentre lo lasciava e faceva un passo indietro. Non riusciva a credere che fosse stato Celec ad averli traditi. Sentiva la testa pulsare, l'Alter ribolliva all'interno del suo spirito, cercava di farsi sentire e Ashsa non lo zittì; aveva un mucchio di cose da suggerire, idee malsane da urlare, con la sua voce da caverna.

«Ho dormito qua» disse Celec.

«Perché? Il piano era che ognuno continuasse a fare la vita di sempre, per non creare sospetti. Perché sei scappato prima?» Ashsa si accorse con orrore che queste erano tutte domande che avrebbe dovuto fare subito, invece di sperare che i suoi sospetti si rivelassero solo fantasie. «Perché eri così sorpreso di vederci?» urlò.

Celec si passò una mano sul viso, sembrava pronto a rompersi, a mettersi a piangere. Tra le dita aperte i suoi occhi gialli erano pozze di zolfo.

«Non doveva andare così... nessuno doveva farvi del male, non erano questi i patti» disse.

«I patti? Quali patti? Con chi?»

Elale strinse il bambino al seno e anche lei fece un passo indietro, il sole basso all'orizzonte le aveva regalato un'ombra lunghissima. Che cominciò a pulsare.

«Cos'hai fatto, Celec? Tu...» disse la principessa.

L'ombra divenne nera e densa, cominciò a ribollire, piccole appendici filiformi fuoriuscirono da essa, come tentacoli. L'Alter di Elale, che lei chiamava Eder, era riuscito a manifestarsi.

«Dobbiamo fare in fretta... dobbiamo scappare... è stata Babaja... stanno venendo a prenderci» balbettò Celec.

«Hai venduto tuo fratello!» urlò Elale. Il bambino cominciò a piangere e attorno a madre e figlio si alzò una spirale di vento, che sollevò gli ultimi brandelli bruciati della camicia da notte della principessa.

«Era l'unico modo per salvarvi» disse Celec e cadde in ginocchio. Le lunghe spire dell'ombra di Elale lo stavano raggiungendo. Ashsa si accorse che Eder era ormai fuori controllo e contrasse i muscoli del collo e della schiena; doveva anche lui richiamare l'Alter. Abbassò le palpebre e sentì un leggero formicolio alla punta delle dita e le orecchie fischiarono per qualche secondo quando Kol, così chiamava il suo Alter, si divise da lui. Riaprì gli occhi e vide che anche l'Alter di Celec era apparso e che lo stava spostando lontano da Elale, tenendolo sotto le ascelle e trascinandolo via. Ashsa lo aveva visto solo un'altra volta prima di allora, aveva una forma umana e assomigliava in modo singolare al suo possessore, sembravano gemelli. Non sapeva neppure quale nome Celec gli avesse dato.

Eder era intanto cresciuto, impadronendosi dell'ombra di Elale era ormai in forma compiuta, una palla scura e densa, lucida, in cui si muovevano decine di piccoli occhi bianchi, che ruotavano in tutte le direzioni, con la loro minuscola pupilla color argento che scintillava alla luce del sole nascente.

Ashsa sentì il tocco ruvido di Kol, anche lui in forma compiuta, sulla spalla: le grosse dita di pietra che stringevano, lo scricchiolare delle rocce che componevano il suo corpo mentre si muoveva.

«Dobbiamo andare» disse Kol. La voce roca e lontana, che rimbalzava tra le pareti della caverna che aveva come gola.

«No, amico mio. Dobbiamo prima pensare alla bambina. Elale ha perso il controllo, potrebbe farle del male» disse Ashsa.

L'Alter annuì, e piccoli granelli di roccia franarono dal collo mentre muoveva la testa.

«Ci penso io» disse, «tu vai, mettiti al sicuro.»

Ashsa cominciò a correre in direzione della baracca. Quando fu abbastanza lontano si voltò e vide che Kol aveva la bambina in braccio, mentre Elale giaceva a terra, con il collo piegato all'indietro e la bocca aperta. La bambina era quasi scomparsa nelle enormi cavità di roccia di Kol, che correva nella direzione opposta a dove si trovava lui, lasciando enormi impronte sul terreno umido.

Eder, una pozza d'ombra al centro della valle, rotolava verso Celec, che si faceva trasportare come se fosse privo di coscienza. Un tentacolo d'ombra sibilò nell'aria e lo colpì a una gamba, aprendo uno squarcio nella stoffa dei calzoni e nella carne. Il sangue vermiglio schizzò sull'erba e Celec urlò, ma continuò a non dare segni di volersi difendere. Il suo Alter aveva il viso teso e sudava. Se il suo possessore fosse morto, anche lui avrebbe fatto la stessa fine. Contrasse i muscoli del collo e provò ad accelerare, ma i tacchi degli stivali di Celec si piantarono sul terreno, lasciando profondi solchi nella terra, rallentandolo.

Eder era ormai a pochi metri da Celec quando si fece d'improvviso scuro e una grande ombra calò sulla valle. Tutti gli occhi d'argento dell'Alter si rivolsero verso l'alto e Ashsa li seguì. Sopra le loro teste era apparsa una gigantesca aeronave, che volava bassa con i rotori di poppa al minimo. Ashsa si stupì di non averla né vista né sentita arrivare, era come se fosse comparsa dal nulla. Il dirigibile era nero come pece, con la volpe rossa a due teste, simbolo della famiglia imperiale dei Ravos, dipinta sul pallone. Fece una manovra stretta e mentre virava verso sinistra continuò ad abbassarsi. Dalla chiglia della cabina vennero gettate alcune corde, che toccarono terra. Ashsa fu rapido a capire cosa dovesse fare. Si gettò di lato, verso la baracca, e si riparò dietro il muro di pietra. In quello stesso istante dall'aeronave cominciarono a sparare coi moschetti e alcuni soldati si calarono a terra, scivolando sulle corde.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 11, 2017 ⏰

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