Ashsa - 1 (seconda parte)

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Aspettò diversi minuti prima di muoversi, voleva essere certo che l'uomo con la tunica fosse ormai lontano da loro. Quindi riprese a remare, in silenzio. Anche Elale non disse una parola, piano accarezzava la testa del figlio, pensierosa.

Presto arrivarono alla fine del lago, dove una spiaggia a forma di mezza luna ricoperta di sassolini bianchi lambiva le acque. Fece scivolare la barca lungo la riva e buttati i remi sul fondo saltò giù, per tirarla in secca. Diede un'occhiata in giro e si concentrò, ma non sentì nessun rumore. Se qualcuno li stava seguendo lo faceva bene e in silenzio.

«Quell'uomo...» disse Ashsa, «chi sarà?»

«Non lo so. Ma ho sentito il mio Alter agitarsi. È strano. Ma ancora più strano è che non si sia agitato quello del bambino. Avrebbe potuto svegliarsi e farci scoprire.»

«Siamo stati fortunati, tutto qua. Oltre la collina c'è una baracca, un riparo per i pastori. Laggiù abbiamo appuntamento con Celec. Ci sono dei cavalli e una nave che ci aspetta al porto di Nagol dei Santi.»

Elale annuì.

«Celec... ce l'avrà fatta a mettersi in salvo?» chiese, con il volto che tradiva una tensione che non aveva avuto prima, quando aveva chiesto di suo marito Ineni.

«Lo spero. Non possiamo aspettarlo per molto» rispose Ashsa. Cercava di tenere il tono duro, ma in realtà era molto preoccupato per suo fratello minore, che in quel periodo non viveva con loro, ma in un convitto dove studiava per diventare ufficiale dell'esercito imperiale. Difficilmente chi aveva provato a uccidere lui e la principessa lo avrebbe lasciato vivo.

Appena sbarcati, il bambino cominciò a lamentarsi ed Elale si appartò per allattarlo. Ashsa diede loro le spalle e si mise a osservare le alte fronde dei lecci che circondavano il lago e i pochi scampoli di cielo notturno che lasciavano passare. Poco lontano un gufo si fece udire e il suo verso cupo riverberò per il bosco. Ashsa si rilassò e lasciò andar via un poco di tensione, ma sentì l'Alter, dall'interno della sua anima, muoversi. Bastava così poco, allentare per un attimo le proprie difese, per perderne il controllo. Fece un respiro profondo e si concentrò, ricacciandolo nei recessi del suo spirito. Era stata colpa sua, l'Alter non aveva intenzione di uscire e non oppose resistenza, era ancora agitato per l'apparizione dell'uomo sulla barca. Trattenne un conato di vomito e si piegò sulle ginocchia.

Osservando i sassi bianchi della spiaggia ripensò per un attimo a quello che aveva fatto il bambino, anzi, a quello che aveva fatto l'Alter del piccolo, e un brivido gli carezzò la schiena, risalendo fino alla nuca. Il loro era un potere oscuro, che aveva fatto la fortuna e la sfortuna della loro famiglia, e lui si era sempre illuso di conoscerlo. Ma quello che era successo poco prima lo aveva spiazzato e confuso. Era troppo piccolo, troppo.

Elale lo estrasse dal gorgo dei suoi pensieri toccandogli una spalla, aveva la mano fredda come un pezzo di ghiaccio, ma sempre il sorriso sul volto.

«Andiamo» disse.

Scalarono e ridiscesero la collina in poco meno di due ore e quando arrivarono alla baracca il sole già colorava la cima del Montevergine. La baracca era costruita sul versante esposto di un calanco, in una valle ricoperta di erba bassa e verde che interrompeva il grande bosco di lecci, ed era ormai un rudere abbandonato.

Celec, al contrario di quello che Ashsa aveva temuto, era là, seduto su un masso caduto da un muretto a secco, con le mani in grembo e il viso pallido e contratto. Quando li vide sembrò sorpreso e si guardò in giro, con gli occhi socchiusi. Il più piccolo dei tre fratelli era tale e quale a Ineni, il maggiore, ma non assomigliava per niente ad Ashsa, nonostante avesse anche lui i capelli rossi e gli occhi gialli, come tutti gli Akhan di stirpe reale. Il volto era etereo, con un lungo naso stretto e le sopracciglia trasparenti, le labbra sottili, le orecchie a punta, il mento sfuggente. Il taglio degli occhi a mandorla come tutte le genti provenienti dall'isolacontinente di Amar, che mille anni prima erano arrivati a Derte fuggendo dal Grande Rosso. Ma erano molto più affilati e chiusi di quelli di Ashsa, che invece erano grandi e sinceri. Era vestito con dei comodi calzoni di tela neri e una giacca di pelle, stretta in vita da una cintura di cuoio che reggeva due lunghe pistole a pietra focaia e la fiaschetta con la polvere nera. Le pistole erano quelle che Celec aveva ricevuto in regalo da Ineni per il suo diciottesimo compleanno, neppure un anno prima, nel cui calcio in avorio erano intagliati i due kirin rampanti, simbolo della famiglia Akhan. Dalla condizione dei suoi abiti non sembrava avesse dovuto scappare, ma pareva che si fosse preparato con tutta calma. Ashsa guardò se stesso e la principessa, sporchi e neri per il fumo, lui con i vestiti logori, il viso graffiato dalle spine delle rose, Elale in camicia da notte, scalza, tremante per il freddo del mattino, il cranio ustionato e i capelli bruciati. Un terribile sospetto si insinuò nella sua testa. In effetti Celec era strano, nell'ultimo periodo, sempre così taciturno, lui che non stava mai zitto. Ashsa aveva pensato che si trattasse di un naturale atteggiamento dovuto all'età, oppure al fatto che fosse stato costretto a trasferirsi per entrare nell'esercito, come ultima umiliazione dell'imperatore alla loro famiglia, ma ora non ne era più tanto sicuro. Abbracciò il fratello e lo sentì rigido e quando si staccò da lui lo guardò dritto negli occhi.

«Fratello mio» disse.

Celec gli rivolse un sorriso sbilenco, poi si chinò davanti a Elale. Era nervoso, disorientato.

«Cugina» disse, «ce l'avete fatta, sono felice.»

Ad Ashsa non piacque quella palese mancanza di formalità verso la principessa, ma sapeva che lei e Celec avevano sempre avuto un rapporto speciale. Avevano la stessa età, erano cresciuti insieme e quando lei era stata scelta come moglie di Ineni, lui ne aveva sofferto molto. Elale era la primogenita di Afa Akhan, fratello minore di loro padre Tet, e come avveniva da centinaia di anni nella loro famiglia le unioni matrimoniali avvenivano solo tra consanguinei, per non disperdere la forza degli Alter.

«Siamo qua» disse Elale, «tutti e tre.»

Alzò il bambino e lo mostrò a Celec. Lui le andò incontro e baciò la piccola in fronte.

«I tuoi capelli...» disse.

«Ricresceranno.»

Celec scosse la testa, bisbigliò:

«Non dovreste...»

Si passò una mano sugli occhi, solo per un secondo, e la lasciò ricadere.

«Come siete riusciti a fuggire?» chiese.

Ashsa fece finta di non accorgersi dello strano comportamento del fratello e sospirò, dandosi dei colpi poderosi sulle cosce e alzando piccoli sbuffi di fuliggine.

«Abbiamo appiccato un incendio» disse, «non si vede?»

«Un incendio?»

«In realtà non siamo stati noi, ma il bambino.»

Celec spalancò gli occhi e la pupilla a forma di asola ebbe una contrazione. Ashsa capì che l'Alter, dentro l'anima del fratello, si stava agitando.

«È impossibile, non ha neppure un anno. Non ha neanche un nome» disse Celec. Gli stessi pensieri che aveva avuto Ashsa. Gli stessi che probabilmente aveva avuto anche Elale, nonostante non avesse detto una sola parola su quanto era accaduto quella notte.

«Il suo Alter... avresti dovuto esserci» disse la principessa.

Celec continuava a scuotere la testa.

«Impossibile» ribadì.

«L'abbiamo visto» disse Ashsa.

«Era materiale?»

«Sembra incredibile, eppure è così.»

«E che forma aveva?»

«Non l'abbiamo capito...» disse Elale.

«Era una sfera, scura, sembrava ribollisse qualcosa al suo interno, qualcosa di luminoso. Non ne ho mai visti di simili. Quando gli uomini che volevano ucciderci hanno fatto irruzione nella stanza ci ha svegliati lei, emettendo un sibilo intenso» disse Ashsa, «io dormivo ai piedi del letto, mi ero appisolato per un attimo, a ripensarci ora mi accorgo che è stata una debolezza che avrei dovuto evitare. Mi sono subito lanciato contro uno degli assassini, sgozzandolo, ma erano in tre, me ne sono accorto tardi. Ho fatto in tempo a liberare l'Alter, che si è occupato dell'uomo che stava vicino all'ingresso, ma il terzo uomo mi è sfuggito ed era già sul letto, sopra la principessa Elale. E qui è successa la cosa più incredibile, l'Alter del bambino si è mosso, sembrava liquido, è saltata addosso a quell'uomo e lo ha inglobato. Emanava un calore fortissimo, la principessa è scappata, mentre il letto prendeva fuoco.»

«Ci sono passati i miei capelli» disse Elale, il tono era ironico, ma non riuscì a sorridere.

«L'assassino si agitava, ma più si muoveva e più veniva assorbito, mulinava le braccia, con il coltello ha lacerato i cuscini, ha squarciato il materasso. Poi ha smesso di muoversi, l'Alter l'ha ricoperto completamente e...»

«E l'ha come digerito» finì Elale.

Cuore d'ombra [L'anima di Ghaya]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora