Quarto cerchio - Avari e Prodighi

30 7 3
                                    

FROM GHETTO

Non avevo mai chiesto di essere iscritto in quella scuola, né ero mai stato felice di essere costretto a frequentarla. Eppure i miei genitori pretendevano che fossi migliori di loro e di ciò che gli era stato permesso di essere, perciò mi spedirono in una scuola centrale, altolocata, strabordante di bianchi; e io ero, letteralmente, il cigno nero. Casa di periferia così distante che dovevo prendere tre autobus per arrivare a scuola, così da dovermi svegliare alle cinque del mattino per essere sempre puntuale. Libri così costosi che, dopo le lezioni, ero costretto a correre al bar della parallela per guadagnare qualche soldo extra; ovviamente, per i migliori c'era il tablet, ma io non ero tra quelli. Anzi, i miei voti erano appena sopra la sufficienza, ma questo non fece demordere mia madre, convinta che con un po' di motivazione in più sarei potuto diventare un genio e ottenere una borsa di studio per l'università. Forse, peró, questa non sarebbe stata una prospettiva utopistica...se fossi stato bravo a basket. Perché ero, sì, nella squadra, ma il mio posto fisso era in panchina. Quindi, riassumendo, niente voti e niente sport. Ero confinato in quell'istituto a cui sentivo di non appartenere e in cui non avevo motivo di stare.

Taylor -dovevano pure dargli un nome da donna per renderlo ancora più ridicolo?- uscì dalla classe di economia mentre io uscivo da quella di matematica, poste l'una di fronte all'altra. I suoi capelli biondo tinto spiccavano tra quelli del suo branco di idioti cani al seguito, così come il Rolex splendeva sul suo polso accuratamente depilato. Ecco, io ero il nero nella scuola dei ricchi, come Taylor. E Taylor giocava a basket -capitano dal primo anno- e Taylor dava le feste migliori della città.

-Ehi, Cioccolatino!

Si avvicinò col suo atteggiamento tipico di chi ti squadra dalla testa ai piedi senza nemmeno capire se stia guardando un vero essere umano oppure un manichino, ma si sente comunque in diritto di giudicare la maglietta stropicciata che indossi. Ormai non facevo nemmeno più caso a tutti suoi nomignoli, che potevano riguardare sia il colore della mia pelle sia la mia condizione economica; penso che dopo "barbone negro" non mi toccasse più nulla più di un minuscolo pizzicotto.

-Do una festa per il mio compleanno. Ho deciso di invitare ogni persona di questa scuola, e purtroppo tu nei fai parte.

E che festa fosse, dunque. Non perchè la cosa mi entusiasmasse più di tanto, in fondo, ma più che altro avevo voglia di dimostrare che, anche vivendo in cinque in un monolocale, ognuna di queste cinque persone poteva essere messa alla pari degli altri. Quindi presi ogni centesimo che avevo da parte e comprai un regalo, anche se così non avrei potuto comprare nulla alla mensa per due settimane,r compra una camicia nuova, rendendomi conto troppo tardi che, in realtà, stavo solo facendo il gioco di tutti quei ricconi: mostrare oggetti credendo che avessero il valore di un'anima. Capii troppo tardi anche che avevo speso tutti i miei risparmi per un orologio che si sarebbe mischiato ai tanti già presenti in un immenso portagioie.

Quella festa sembrava fatta in modo da ostentare il più possibile il capitare della famiglia di Taylor. Ma io notavo i vini costosi -pensando che il loro valore sarebbe bastato a coprire un anno di affitti-, notavo le palle da discoteca sparse in cortile che avrebbero consumato l'intera corrente elettrica della città, se fosse stata direttamente collegata ad esse. Eppure, gli altri vedevano ciò solo in relazione a se stessi, ovvero come un'occasione per vivere fino ad accasciarsi sul bordo piscina e per ballare fino a rompersi un'anca. E avrebbero tutti potuto perdere i loro iPhone ultimo modello in una qualunque di queste situazioni.

Taylor mi si avvicinò con due bicchieri in mano, porgendomene uno con fare altezzoso, come al solito. Quella sera portava un abito di ciniglia blu che faceva incredibilmente un effetto da diciottesimo secolo francese. Probabilmente non si rendeva conto di quanto fosse ridicolo. Ma d'altra parte, quando mai sei ridicolo quando un abito ti viene a costare quanto un'auto?

-Ce l'hai fatta a venire, quindi.

-Beh, Taylor, se sono qui vuol dire che mi sono liberato dai miei impegni.

Lui ridacchiò in fin troppo esaltato, segno che quel vino gli stava già dando alla testa, e me ne porse uno, quello che era ormai stato da tempo svuotato per metà. Forse non lo aveva nemmeno fatto con malizia, magari era l'alcol a stendergli una patina opaca sugli occhi, impedendogli di distinguere un bicchiere pieno da uno che lo era solo per metà. Ne bevvi, comunque, solo qualche sorso, perché quel vino faceva veramente schifo nonostante il suo prezzo; solo un'altra dimostrazione del detto "non è tutto oro ciò che luccica". Forse Taylor non conosceva l'esistenza di questo detto, o si sarebbe preoccupato più per il suo quoziente intellettivo che per tutta la roba sgargiante sempre al suo seguito.

-Dov'è il mio regalo?

-Come se non te ne avessero ancora dati abbastanza...

Ovviamente, lui non capí il mio sarcasmo e continuò a fissarmi, in attesa che io gli dessi il tanto sospirato pacchetto. E mentre esaurivo quel suo capriccio, pensavo a quanto sarebbe stata diversa quella situazione se solo lui avesse mai provato a vivere la mia vita, se avesse saputo quanto mi sarebbe costato quel regalo che lui voleva solo per aggiungerlo ad un mucchio a cui fare una foto per poi postarla su instagram. Pensai anche che non sarebbe mai riuscito a sopravvivere come faccio io. Sarebbe crollato al secondo giorno, quando avrebbe dovuto mangiare il pane duro del giorno prima perché le monetine sul tavolo erano state destinate a comprare delle medicine per il fratellino. Ma quel regalo glielo diedi lo stesso, e che ci facesse pure una foto per cui vantarsi di aver ricevuto migliaia di dollari di false amicizie.

Me ne andai subito dopo aver recitato quella scenetta tanto melodrammatica quanto comica, ma non prima di sgraffignare un paio di bottiglie di prosecco che sarebbero potute servire per i prossimi compleanni di famiglia. Le nascosi sotto il giubbotto, di tre taglie troppo grande perché apparteneva a mio padre, un uomo che sembrava la reincarnazione di Hulk. Peró, più camminavo e più mi sentivo in colpa per quel misero gesto, per avere nelle tasche della giacca due bottiglie che non mi ero guadagnato. Nemmeno avrebbe fatto differenza, a Taylor, l'avere o meno quello sputo di prosecco -in confronto a tutto ciò che avevano nella loro cantina. Ma, anche se cresciuto nei bassifondi, sono stato educato molto meglio dei ragazzi che abitano in questo quartiere e tornai sui miei passi per rimettere a posto il ricavato di quel piccolo furto.

La sorpresa fu quella di trovare Taylor sulla mia strada, con gli occhi rossi da ubriaco e una mazza da baseball in mano, rigorosamente autografata. Non mi fece paura, probabilmente perché dava l'impressione di non reggersi in piedi, e il mio errore fu proprio questo: l'assenza di timore, o anche della sola minima traccia di preoccupazione.

-Hai preso qualcosa di mio, negro.

-Te le stavo giusto riportando.

-Quel che fatto, è fatto.

Sentii solo un colpo in testa, e poi il buio. Ricordo solo di essermi svegliato, in pieno giorno, accasciato sull'asfalto di quella stessa strada.
__________
🌸angolo dell'autrice 🌸
purtroppo non sono riuscita a scrivere niente di meglio su questo tema, e mi dispiace tanto, ma non avendolo mai trattato mi riesce davvero molto difficile. quindi, mi riprometto di correggere anche questo racconto, e spero di rifarmi con i prossimi!

Sinners - testimonianze dall'InfernoOnde as histórias ganham vida. Descobre agora