Prologo

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Fin dalla notte dei tempi, la gente sa che gli alberi hanno un'anima, però non è visibile a occhio nudo, così come tutte le anime.

Per gli alberi, l'anima è linfa preziosa, fresca e dissetante come l'acqua di un ruscello; scorre nelle sue vene, attraversa le foglie e viene liberata nell'aria; viene inviata dalla terra attraverso le radici e dà alla luce bellissimi frutti per nutrire tutti gli esseri viventi.

La nostra leggenda narra di un albero, il primo comparso sulla superficie terrestre. Si racconta che una fenice girando per i cieli, fosse alla ricerca del posto più appropriato per far cadere il seme fertile che portava in grembo. Scelse il posto più solitario e sperduto del mondo ma qualche tempo dopo , un tenero germoglio crebbe accarezzato dai raggi del sole.

Da germoglio, divenne un alberello esile e con il passare del tempo lento e inesorabile, diventò il più grande albero mai esistito.

Le radici arrivavano a fino al centro della terra e oltre, mai sazie della vita che scorreva nel mondo; il tronco era alto e così imponente che solo cinquanta persone unite per mano sarebbero riuscite ad abbracciarlo. Sul tronco, i buchi naturali permettevano agli uccelli notturni di fare il nido mentre di giorno custodiva il loro riposo. La fronda di un bellissimo verde smeraldo, proiettava riflessi dorati ed era così estesa che riusciva a fare ombra anche a un gregge di pecore.

La fama dell'albero passava di becco in becco, gli uccelli arrivavano da molto lontano per nidificare mentre i frutti che produceva erano dolci e succosi per tutti quelli che cercavano ristoro dopo un lungo cammino.

Il vecchio albero era felice di ospitare i suoi amici animali e passava il tempo ad ascoltare le loro favolose avventure per i boschi e le montagne. Raccontavano di vedere dall'alto fiumi che riflettevano le pagliuzze dorate del sole, il vento accarezzava loro le piume e poi giù fino a sfiorare la superficie del mare con l'orizzonte che si fondeva insieme al cielo in un'unica tonalità di azzurro. I serpenti raccontavano del calore del deserto, i vermi dell'umidità della terra e via così all'infinito perché non ne era mai sazio.

Per secoli, il saggio albero non fece altro che ascoltare i racconti dei viaggiatori, senza rendersi conto che il seme dell'invidia si faceva spazio dentro di lui; i suoi frutti poco a poco diventarono acerbi e il fogliame perse la lucentezza di un tempo.

Dall'alto la Luna osservava preoccupata e chiese ai pipistrelli cosa stesse accadendo al vecchio albero, loro risposero che era triste perché non aveva le ali e non poteva avventurarsi nei cieli come facevano i merli, i corvi o le aquile. L'astro chiese conferma ai gufi, e loro replicarono che la malinconia dell'albero era anche dovuta al fatto che non avesse le zampe. Chiese ai serpenti, e i rettili risposero che l'albero era triste perché non era in grado di strisciare.

Comprese cosa affliggeva quel grande albero e lo svegliò dalla tristezza che annebbiava il suo animo.

«Cosa succede, amico? Ho sentito che vorresti volare, strisciare e camminare...»

«Amica Luna, ci conosciamo da millenni, e ti dirò che non mi sono mai sentito così infelice. Gli uccelli cinguettano e mi narrano le loro gioie per il mondo e per il cielo mentre io sono condannato a rimanere qui, senza nessuna storia da raccontare.» Rispose, lasciandosi di nuovo avvolgere dalle nebbie.

«Posso fare qualcosa per alleviare la tua tristezza, in modo che tu possa tornare a risplendere?»

Il vecchio albero, riacquistando la speranza, fece scomparire la nebbia e sorrise alla Luna. «Sì, ne sarei felice.»

Anthea #WATTYS2017Where stories live. Discover now