20. Bellezza nascosta

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                              Louis

<No, non voglio andarci!> piagnucolai senza sosta aggrappandomi al letto con le unghie.
<Se non la smetti e non ti alzi ti prendo a sberle, Louis> sostenette lui.
<No Walter! Ti ho detto che non ne me la sento> insistetti io.
<Ma tu sei scemo forte. Sono solo cinque ore di scuola e poi torni. E vatti a fare una doccia che puzzi di muffa!> disse con voce autoritaria.
Non risposi più. Chiusi di nuovo gli occhi sotto le coperte e mi rilassai, cercando di tornare al mio sonno. Ma a quanto pareva Walter non voleva demordere! Mi tolse rependinamente le lenzuola e si sedette con tutto il suo peso sulla mia schiena.
<Ascoltami bene, hai cinque secondi per alzarti e ficcarti nella doccia. E cerca di non farmi perdere la pazienza ulteriormente, perché se no la vedo brutta per te> sussurrò al mio orecchio.
Ma non avevo nessuna intenzione di tornare a scuola dopo le vacanze, e la sua aria autoritaria non mi scalfiva minimamente; anzi, ormai eravamo diventati più intimi.
Dopo quella sera della vigilia di Natale, non volle in nessun caso che tornassi a casa quella notte. A detta sua aveva troppa ansia per lasciarmi con mio padre, così finii per passare quella notte stessa a casa sua -che poi casa non era. Si trattava di un piccolissimo monolocale così stretto per due persone, o forse ero io ad essere abituato ad ambienti grandi. Fatto stava che c'era un solo letto e dormimmo entrambi accucciati e scomedi per non dare fastidio all'altro. Il giorno seguente tornai a casa, e per mio padre era tutto di nuovo come prima. Però avevo preso il vizio di andare a casa di Walter, sperando di non disturbarlo. Ma lui sembrava sempre disponibile e a volte insisteva anche per dormirci. Facevo sempre i salti di gioia quando accadeva, ma purtroppo la pazzia di uscire senza nulla di pesante a Natale non passò inosservato. Di conseguenza mi beccai l'influenza per due giorni e mezzo di fila, restando a letto quasi inanimato. Ma la cosa che mi dispiaceva di più era che a prendersi cura di me era stato proprio Walter. Cercai di fargli cambiare idea, che era capodanno e che doveva andare a divertirsi, però non voleva sentire ragioni. Ribatteva sempre che non potevo guarire da solo e che mio padre non avrebbe mosso un dito in caso di bisogno, quindi mi prese con sé a casa sua e passammo l'inizio del nuovo anno insieme nel letto a giocare a Uno. Molto eccitante dovevo dire.
Per quanto riguardava quel presunto bacio che ci stavano dando, non ricapitò più un'occasione del genere, ma me l'aspettavo; forse era tutto un mio film mentale provocato dal mio cervello ancora congelato.
<Allora? Ti alzi o no?!> mi strattonò, facendomi tornare in me stesso.
Ma per tutta risposta gli feci una pernacchia con lo bocca, ridendoci anche.
Lo sentii subito infuriarsi. Si alzò in piedi e con tutta la sua forza che aveva in corpo mi sollevò portandomi nel bagno.
<Adesso ti faccio vedere io!> esclamò con decisione.
Mi gettò nella doccia ancora con il pigiama e aprì il getto d'acqua. Immediatamente sentii tutti i vestiti appiccicarmi sulla pelle, i capelli tutti impastati sul viso. Lo stavo odiando.
L'acqua era perfino fredda, ma quando mi vide tremare spostò la manovella su quella calda.
<Da bello addormentato nel bosco a cagnolino bagnato> disse ridendo a squarcia gola.
Mi spostai i capelli dagli occhi, lo afferrai daglla sua canottiera e lo attirai nella doccia, proprio sotto lo spruzzo dell'acqua. E mentre faceva un'espressione basita, la sua massa di capelli si afflosciò in un baleno.
<Ecco, ora abbiamo due cagnolini bagnati> dichiarai sornione.
L'acqua continuava a scendere e a infrangersi a terra, mentre nessuno dei due provava a dire qualcosa e né a muoversi, visto che ci andavamo stretti.
Poi, finalemte si mosse e, con nonchalance si sfilò la maglia e si tolse il pantalone restando con i boxer.
Oddio, non poteva farlo davvero. Dovevo assolutamente uscire da lì, altrimenti sarei morto dall'imbarazzo se si fosse accorto di ciò che mi stava accadendo in mezzo alle gambe.
Ma non tardò a togliersi anche l'intimo. Per fortuna era di spalle e non poteva guardare la mia faccia che stavo facendo, perché anche se non vedevo il davanti a nascondere il didietro non c'era nulla.
Fece per girarsi ed io allungai la testa verso l'alto, chiudendo anche gli occhi.
<Ma che fai? Non dirmi che ti vengogni. Su spogliati e facciamo questa doccia che io devo andare a lavoro e tu a scuola> stuzzicò lui.
Tremavo al pensiero di cosa potesse dire vedendo qualcosa che non avrebbe dovuto esserci, ma se non mi spogliavo si sarebbe arrabbiato di nuovo.
Così, lentamente, mi cacciai il pigiama e gli slip. Io ero dietro e lui davanti, fin quando restava così andava benissimo, non avrebbe visto nulla. Ma a quanto pareva Walter la pensava diversamente, voleva giocare o prendermi in giro. Andò con il bacino dietro e prese la mia erezione su una natica, e mi attappai la bocca per non emettere alcun suono. Si girò con lo shampoo nelle mani e me lo spalmò sul petto.
<Muoviti, che aspetti? Si facessero le dieci, ma tu a scuola ci andrai lo stesso!> mi minacciò ancora.
E mentre parlava mi guardava dritto negli occhi, ed era lì che finalmente riuscii a vedere entrambi i suoi occhi bene! Lo presi dalle spalle e mi avvicinai al suo viso, lui intanto spalancò ancora di più le palpebre.
<I tuoi occhi... sono diversi> sibilai.
E, peggio di un turbine, mi gettò indietro facendomi sbattere la schiena al muro e lui già fuori dal bagno.
Ma che cavolo gli era preso?
Intanto mi massaggiai una spalla, faceva un male cane.
Chiusi il fiotto d'acqua, mi misi una tovaglia piccolissima in vita e andai da lui.
<Ma che ti prende?> sbraitai contro di lui, mentre era ancora nudo in cerca di qualcosa nel cassetto.
Non rispose. Tirò fuori un nuovo paio di boxer verdi e si sedette sul letto. Corsi davanti a lui e glieli strappai dalle mani, ma lui mi fulminò con lo sguardo, credo. Perché si aveva abbassato tutta la chioma dei capelli sul viso.
<Non fare il coglione. Ridammelli.> incintò lui mentre si avvicinò a me.
<Ah, io? Mi getti al muro, mi spacchi una spalla e chiami me coglione?> ribattei.
Fece un passo indietro come se fosse impotente di fare qualcosa. Poi si gratto i capelli nervosamente.
<Scusa, non volevo farti del male. Ti giuro, non era mia intenzione> 
Assentii, lo sapevo che non l'aveva fatto apposta. Gli l'anciai i boxer e li indossò velocemente. Poi si avvicinò a me attirandomi sul letto.
<Che fai ora?> mi allarmai quando mi fece sdraiare, ricordandomi di essere solo con una tovaglietta.
<Dove ti fa male?> chiese tastando un po' la schiena.
<La spalla destra, ma sento solo un pizzicorio> ammisi.
Mi massaggiò prima quel punto e poi un po' dappertutto. Sentire le sue carezze mi rilassava in una maniera incredibile. Stavo così bene, specialmente quando spingeva con più forza vicino al collo. Avrei tanto voluto che mi baciasse in quel punto.
<Posso sapere che hai?> domandai spezzando per un attimo quel contatto.
<No>
Ma io non mi arresi.
<Perché?>
<Perché no>
<E perché no?> insistetti.
<Se stai cercando di farmi spazientire ci stai riuscendo> pronunciò inarcando la voce.
<Non è mia intenzione, ma voglio sapere> dichiarai.
<Ma perché?!> disse esaurito quasi.
Mi voltai di scatto e lo guardai in viso, o quello che potevo scorticare sotto i capelli.
<Perché si> ammiccai queste parole per citare la sua stessa risposta detta prima a me.
<Quanto sei insopportabile!> esordì con rabbia.
E mi lanciò questa piccola ferita.
<Come vuoi. Me ne vado allora> dissi senza indugiare.
Presi degli slip di ricambio che avevo portato ieri, e me li misi.
<Aspetta! Non ho detto questo. Non fare lo scemo> mi bloccò dai polsi. E dovevo ammettere che in un'altra situazione, noi due in intimo, mi avrebbe fatto eccitare. Ma purtroppo in quel momento era l'ultima cosa da fare.
<È una cosa che io odio. Si tratta di una malformazione che ho> ammise tremando.
<Mi faccio schifo per questo. A tutti faccio schifo per questo. E se non avessi avuto questa cosa ora sei ancora con...> continuò a dire senza sosta, facendo cadere la voce sull'ultima frase.
Lo zittii subito con una mano sulle labbra, e con l'altra gli scostai i capelli.
<Qui vedo solo un ragazzo con degli occhi bellissimi, e non uno schifo.>
Tremava ancora, mentre scuoteva la testa da una parte all'altra.
<Non è vero! Ho una malformazione non vedi?!> gridò convinto, come se lo stessi prendendo per i fondelli.
<Ma che dici! Da quando l'eterocromia è una malattia? Anzi, sei fortuna ad averla. Sei ancora più bello di quanto già non fossi>
Ma lui sembrava essere di un'altra idea.
<Zitto. Tu non sai com'è avere due occhi di colore diverso! Smettila di dire cavolate>
Si spostò da me velocemente, andando in un angolo della stanza come se lo avessi recluso.
<Walter, non so chi ti abbia messo questa cosa nella testa, ma non è vero. Sei solo più speciale di altri>
<Non è vero. Ad Alexander non piacevano!> ribadì.
E chi era questo?
Mi avvicinai a lui e mi piegai.
<Non so chi è lui, ma non credo che dovresti dargli importanza> sorrisi.
<Lui era il mio ragazzo> silibilò.
Sbiancai per un attimo, ma poi ragionai. Aveva detto detto era, quindi non più.
<E non gli piacevi?> domandai con un groppo in gola.
<Si e no. All'inizio diceva che ero fantastico, ma più in là me lo rifacciò come se avessi un problema. E mi lasciò per un altro ragazzo normale. Mi disse che facevo schifo, che ero strano, che non avevo nulla di bello.> disse afflitto.
<Walter... la bellezza non è avere un corpo simmetrico, la vera bellezza sta in quello che si ha dentro. Se a lui facevi ribrezzo vuol dire che si fermava solo all'aspetto esteriore. E tu facendo così gli dai corda, non bisogna vergognarsi di se stessi> dissi accarezzandogli una guancia, <E poi le persone vanno amate per come sono, chi ti giudica solo per come appari vuol dire che quella persona non ama a priori sé stesso>
e sembrò pendere dalle mie labbra. Sembrava che aspettava queste parole da molto tempo, ma che nessuno, o meglio lui, non gli aveva mai rivelato.
<Avere gli occhi diversi non è un cosa negativa, anzi ti rende unico; tutti noi siamo unici ma tu lo sei più degli altri, perché nessuso ha un particolare come questo. Avere un occhio azzurro ed uno marrone è davvero stupefacente, proprio come il tuo carattere>
<Ma perché mi dici questo? Perché stai qui cercando di spazzare le mie paure?> chiese sbalordito.
Risi a quelle sue domande.
<Non l'hai ancora capito? Possibile? Eppure non pensavo di essere un attore con i fiocchi>, ridetti ancora, <Sono innamorato di te Walter. E se pensi che questa tua eterocromia mi faccia cambiare idea sui miei sentimenti, ti sbagli di grosso. Le persone sono tutte speciale e le caratteristiche che appaiono in superficie non è nulla rispetto a quelle che si hanno dentro, e in te ho visto tanto in così poco tempo>
Ora come ora, l'aver sbandierato così il mio amore, non mi importava più di tanto. Volevo vederlo sorridere come sempre, perché lui rendeva me felice.
<Non me lo aspettavo... davvero> balbettò incredulo.
Lo ignorai e continuai i miei pensieri.
<I tuoi occhi rappresentò l'unicità del tuo essere, e poi, secondo me, questo ti permette di vedere il mondo in due modi differenti>
Non si sentiva nulla provenire da lui, e speravo tanto che fosse in senso positivo. Perché io avevo tanta voglia di fare una cosa adesso, e sognavo che non si sottrasse. Mi avvicinai al suo viso, così vicino da schiacciare il mio nosa contro il suo.
<Non vergognarti di te stesso, tu sei perfetto cosi come sei: unico e speciale>, lo fissai per attimo, <Ti ho sempre considerato unico, e alla fine lo sei letteralmente; ciò non può far altro che rendermi più contento>
E lo baciai. Dopo tutto quel tempo le mie labbra riuscirono a unirsi con le sue. Dopo tutti quei sogni fatti su di lui, finalmente si stavano realizzando.
Era un semplice casto bacio a stampo, ma più bello di qualunque altra cosa fatta nei miei diciassette anni.
E quando provai a staccarmi, mi senti afferrato dalle spalle e ribaltato a terra. Se prima ero io a premere la mia bocca sulla sua, ora era lui.
Mi voleva?
Mi stava baciando lui ora, il ché era una prova evidente.
La sua lingua scivolò senza indugio nella mia cavità orale alla ricerca della mia. Ispezionò ogni angolo prima di trovarla e farle strofinare una contro l'altra. Lo sentivo, la sua brama repressa si stava riversando tutta in quel bacio. Le mie mani si posizionarono sulle sue natiche, così sode e tonde; le sue dita invece strisciarono sui miei fianchi, solleticandomi tutto il corpo.
Ma con un dispiacere tagliente si staccò per prendere fiato, forse avevo perso persino la cognizione del tempo con quel bacio, ma per me era comunque poco.
Si grattò la testa innervosito, e si alzò tendendomi la mano.
<E così... provi qualcosa per me?> chiese in imbarazzo.
<Si...> risposi paonazzo anche io.
<Forse è meglio se ci prepariamo, è tardi.>
Annuii, dubbioso. Gli dava fastidio? Il mio amore gli faceva schifo? Dalla sua espressione non né ricavai risposta.
Con il silenzio sul viso e il rumore in gola, ci preparammo facendo attenzione a non incrociare i nostri sguardi. Una volta finito entrambi, abbandonammo quell'appartamento per andare in macchina.
Come volevasi dimostrare, rimanemmo taciturni per tutto il viaggio.
La scuola non tardò a farsi vedere, e tutti i ragazzi camminavano come zombie reduci di una notte insonne.
<Torni a casa oggi?> mi chiese fermando l'auto.
<Sì, meglio di si> Non sapevo se fosse una buona idea andare da lui, forse voleva stare da solo.
<Va bene>
Stetti per uscire dall'abitacolo quando, con stretta forte, mi trattenne.
<E se ti venissi a prendere stasera, dopo il lavoro? Per parlare meglio, se ti va> propose indugiando un po' sulle parole da pronunciare.
<Certo!> esclamai con un po' troppa enfasi, ma se voleva parlare forse era un segno positivo.
Si slanciò dal suo posto e si allungò per darmi un bacio sulla guancia.
Ora si che ero pronto per la scuola

                           Walter

<Walter! Muoviti a mettere a posto, che dobbiamo chiudere> urlò come una forsennata mia sorella Ruby.
Misi a posto la pila di libri che avevo in mano, e scesi al piano di sotto.
Non vedevo l'ora di uscire da qui e andare da lui, quel ragazzo che provava stranamente amore per uno come me; quel ragazzo che mi aveva detto tanto di quelle cose belle che non sapevo neppure se fossero rivolte davvero a me.
<Ecco ho finito, contenta?> sbottai io.
<Sì, grazie. Ora fai come al solito. Esci dalla porta di servizio e chiudila a chiave. Ci vediamo domani, ciao>
Senza rispondere al saluto, feci quello che mi aveva ordinato.
Spensi tutte le luci e uscii fuori nel gelo. Presi le chiavi e smanettai un po' per trovare quella giusta. Stavo perdendo la pazienza.
<Vuoi una mano? Mi sembri in difficoltà> disse una voce cavernosa dietro di me, facendomi sussultare.
Mi girai accigliato, ma mi cadderrò quasi le palle degli occhi a vederlo lì.
<E tu che ci fai qui?>

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