Memorie di un bonzo perduto

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[Le parole in corsivo hanno una speigazione nel capitolo "note"]

Con "Frammenti pt. 2. Memorie di un bonzo perduto" si apre la produzione più matura e cosciente dei limiti e dei confini della poesia stessa. La poetica che si inaugura in questo periodo abbandona quel clima cupo e severo che si lega indissolubilmente alla prima parte della mia produzione, un a tensione che mi sento di poter ricondurre non tanto al momento che stavo vivendo –tutt'altro che cupo e severo- quanto più alla natura stessa dell'approccio poetico.
In questo periodo la poesia è più un esercitazione di stile che un vero e proprio prodotto delle tensioni interne. Proprio con le memorie del bonzo perduto lascio alle spalle il bisogno di sperimentare con i metri, utilizzando come tema l'inflazionato mal di vivere adolescenziale, e nelle composizioni trovano spazio un più presente citazionismo e un interesse soprattutto alle radici dell'idea stessa.
[Introduzione tratta da "Audioguida di un presunto artista"]



Frammenti pt. 2 . Memorie di un bonzo perduto [seconda versione].

E dunque mi voltai a Sanzo e chiesi
'Chi decise che gli uccelli dovessero avere le ali
ed essere liberi?'. Lui mi rispose con i modi cortesi
di chi ascolta un bambino lallare.

'Non sono liberi perché hanno le ali
o volteggiano nel cielo' disse soffermandosi
sul telo macchiato di nuvole orientali
'ma perché hanno un posto dove tornare.'

L'aria era densa di pollini estivi. Mi facevano lacrimare.
Gli aghi del pineto deflettevano la luce
come sole giade dalle isole possono fare.
Mi sentivo nuovamente distaccato da me stesso.

Per quanto io guardassi le mie mani
non riuscivo in nessun modo a riconoscerle.
Le sentivo lontane come esotici zafferani
per quanto fossero identiche a parti di me.

Mi sfiorai la pelle: non era il mio volto.
Mi ero svegliato in una stanza tenebrosa
con pareti cineree dalle forme che non avevo colto,
incapace -per pochi istanti- di definire la mia posizione.

La stanza vibrava e le linee erano fragili:
ero nel monastero? in una tenda a nell'afoso sud?
una melma nera rendeva i particolari inqualificabili
e mi avvolgeva la mente come un boa.

Lo osservai con animo vacuo,
come si osserva lo scorrere di un fiume.
Come suo solito, Sanzo purificò il mio cuore fatuo
con la sola imposizione dello sguardo.

Nelle sue iridi risiedeva l'aša d'occidente.
Quanta conoscenza si culla in una sola mente?
'Non provare a svegliarti dal torpore solvente.'
mi sussurravano quegli occhi e fu tutto chiaro.

Capii che si trattava di Maitreya, anche se non era la sua ora.

'Sommo Sanzo, la mia mente è troppo limitata.'
ammisi con rinnovata riverenza e qualche remora.
Pareva parlare di poesia tanto era lieve.

'Quello che non senti non ti può fare male.
Il potere della mente è lenitivo,
quello che non senti non ti può fare male.

Gli astri procedono. In ciò che dite
nacqui con un peso che grava sul capo.
Farahar si ritirerà presto mite.

Per i saggi la fede è un palliativo,
lasciati svuotare e poi impagliare:
vieni e bevi al mio seno, son vivo.

E se ti dessi un altro tentativo
di volta in volta, ad ogni tuo fallo,
tu n'avresti ancora un buon motivo?

Non liberarti di ciò che è banale;
osserva in Mazda l'Alfa e l'Omega
ma allontanalo com'un animale.

Con la bramosia d'un selvaggio ardente,
quale un cavaliere che scende da nord
non tarderà a far scempio della tua mente.

Non soffermarti ad alcuna sostanza
animale, mortale o siderale.
Alla forma porgi la tua alleanza.'

Mi sentii il più debole degli uomini: il più inadatto dei bonzi corrotti.

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