Una "partenza" improvvisa

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Una sera, saranno stati i primi di ottobre, come tutte le sere comandate da Dio, chiamai a casa. Rispose mia madre e dal suo  "Pronto" mi accorsi subito che qualcosa non andava, le chiesi quindi cosa fosse successo.
Lei esitò qualche secondo e poi disse: "Amore il nonno non sta bene, è in ospedale. Forse è il caso che ti trovi un biglietto per scendere a casa perché probabilmente non gli resta molto da vivere".
Le lacrime senza sosta scendevano da sole, non riuscivo a fermarle. Non riuscivo a parlare. Non riuscivo a dire nulla. Mi sembrava impossibile. Era un incubo.
Piansi fino a non avere più lacrime. Misi giù il telefono dopo aver salutato mia madre e cercai subito un biglietto del treno o dell'aereo per poter tornare a casa. Non mi interessava quanto lo avrei pagato, dovevo tornare a casa a qualsiasi costo. Dovevo vedere il nonno. Dovevo dirgli di non andare via. Dovevo abbracciarlo. Dovevo dirgli che non doveva permettersi ad andarsene che non era ancora il momento. Io dovevo essere a casa il giorno dopo e così fu.
La mattina dopo, intorno a mezzogiorno, chiamami un taxi e mi diressi in aeroporto.
Il mio volo sarebbe partito alle 15:45. Ancora poche ore e avrei potuto fermare il nonno. Avrei potuto impedirgli di partire.
Il decollo fu puntuale. Alle 17:00 ero di nuovo nella mia terra, tra la mia gente.
Scesi dall'aereo e feci un grande sospiro. Respirai aria di casa mia. In fondo, anche se mi costava ammetterlo, mi era mancata.
Mamma era lì, ferma davanti la porta di uscita ad aspettarmi come si aspetta una figlia che non si vede da oltre un mese.
Così, dopo un lunghissimo abbraccio e un pianto di disperazione tornammo a casa.
Non c'era nessuno.
Erano tutti in ospedale. L'orario delle visite sarebbe terminato alle 17:30 quindi pur volendo, non avrei fatto in tempo. Non me lo avrebbero fatto vedere.
In terapia intensiva sono molto fiscali.
Così feci una doccia rigenerante e aspettai che tornassero papà e la nonna.
Avevo una strana sensazione quella sera, ma durante la cena non dissi niente a nessuno.
Papà raccontava che il nonno stava meglio, che durante l'incontro che avevano avuto aveva un colorito della pelle roseo come non lo aveva mai avuto.
La nonna parlò poco quella sera, si vedeva che era disturbata e dopo cena non si soffermò a chiacchierare con noi come faceva sempre, decise infatti di tornare a casa per riposare, era stanca e l'indomani avevamo appuntamento alle 09:00 per andare a far visita al nonno.
Ricordo che quella sera, nonostante fossimo solo ad ottobre, faceva freddo o per lo meno io sentivo freddo. Eravamo tutti molto stanchi così intorno alle 23:00 andammo a letto.
Io speravo di addormentarmi subito affinchè la notte passasse in fretta e arrivasse subito il momento di incontrare il nonno.
I miei ricordi di quella sera sono ancora oggi nitidi e chiari.
Sarò stata nel letto all'incirca un'ora a girarmi e a rigirarmi fin quando, lo squillò del telefono ci fece sobbalzare tutti.
Quando a casa mia suonava il telefono dopo le 22:30 il presagio era di cattivo auspicio.
Il nonno era peggiorato durante la notte.
Quando papà, la nonna e i miei zii arrivarono in ospedale il nonno non c'era più.
Non mi aveva aspettato. Non avevo potuto costringerlo a rimanere. Non avevo potuto abbracciarlo.
Non avevo potuto salutarlo per l'ultima volta.
Il giorno dopo e i giorni a seguire furono strazianti.
Piansi come se non ci fosse un domani.
Non pensavo che un corpicino fosse in grado di contenere tutte queste lacrime.
Ero arrabbiata.
Ero arrabbiata con il mondo.
Io dovevo salutarlo e qualcuno me lo aveva impedito.
Il nonno era andato via senza darmi il tempo di un bacio, di un sorriso, di una carezza, di un abbraccio.
Non mi aveva dato il tempo di dirgli addio.
Il giorno del funerale, ci fu così tanta gente che a metà congedamento (dalle mie parti si usa che, dopo la cerimonia, i parenti del defunto si mettano in fila davanti il feretro e tutti i partecipanti alla cerimonia funebre a turno diano le condoglianze ai parenti) ebbi un capogiro.
Erano giorni che non toccavo cibo.
La vicinanza e gli attestati di stima per il nonno e per la mia famiglia da parte di amici e parenti lontani fu tanta.
E lui dal giorno in cui seppe la notizia e per i giorni a seguire fu lì.
Veniva a casa mia, mi abbracciava, mi asciugava le lacrime, rispettava il mio silenzio e non parlava neanche lui.
Tanto sapeva che, qualsiasi parola sarebbe stata inutile. Niente avrebbe potuto alleviare il mio dolore.
Dopo la commemorazione, tornammo a casa, dilaniati da quella sofferenza atroce.
Il nonno lasciava un vuoto incolmabile.
La sua assenza, senza rendercene conto, cambiò le nostre vite.
Niente fu più lo stesso.
Cambiarono le nostre domeniche. Cambiò il nostro Natale. Cambiò i nostri compleanni. Cambiò persino i nostri sorrisi.
Tornai a Roma dopo appena una settimana dalla commemorazione.
Avevo bisogno di cambiare aria, avevo bisogno di evadere.
La sera prima di partire, lui, come faceva ormai da quasi 10 giorni passò sotto casa mia per constatare personalmente come fosse il mio umore.
Quella sera gli dissi che l'indomani alle 08:00 avrei preso il treno e sarei tornata a Roma.
Lui non disse nulla, mi abbracciò e in quell'abbraccio sentii nuovamente il sapore di quell'addio che ci scambiammo alla fine dell'estate.
Sapevo che non lo avrei più sentito una volta tornata a Roma.
E in fondo, ero contenta così.

Malinconia PuttanaWhere stories live. Discover now