Capitolo 6 - Sentirsi vivi.

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Dietro di me sentivo gli occhi di qualcuno che mi stava osservando.
Mi poggio' una mano sulla spalla, come a chiedermi cosa fosse successo.
Mi voltai e trovai il volto di Giuseppe, con lo sguardo di chi voleva proteggerti e che non aveva il coraggio di dire qualcosa.
Sal era in piedi subito dietro di lui, e nemmeno lui disse qualcosa.
Avevo la mente completamente vuota, ma comunque la sentivo pesante.
Non avevo la forza di alzarmi. Non avevo la forza di parlare.
Sascha mi aveva abbandonato.
Chiusi gli occhi per qualche secondo, avrei voluto fosse solo un sogno, ma vidi solo il buio avvolgermi. Sentii Sal dire qualcosa, e le braccia di Giuseppe reggere il mio corpo.

Mi svegliai dopo qualche ora, nella stanza dove avremmo dovuto dormire io e Sascha. Era ancora buio, forse notte inoltrata.
Rotolai verso l'altro lato del letto, ma accanto a me Sascha non c'era.
Fissai per un tempo indeterminato quel lato del letto, poggiando la mia mano in quel punto. Era freddo. Vuoto.

Improvvisamente, decisi di provare a riprendere le forze, dovevo trovarlo.
Mi alzai di colpo, presi una borsa e corsi via.

Vagavo per una città che non conoscevo, ma il nostro amore folle non poteva finire così. Dovevo avere delle spiegazioni, se esistevano.
Nonostante fosse notte fonda, quella città sembrava non morire mai.
Era viva, luminosa, allegra, l'opposto di come mi sentivo io.
Era una città meravigliosa, piena di persone felici, persone che non facevano altro che ridere.
In ogni angolo di quella città, si potevano vedere coppie, dolcissime, felici, ad ogni angolo c'era amore, come se in quella città fosse San Valentino ogni giorno.
In quell'istante, la sola consapevolezza di esistere mi faceva morire, mi stava distruggendo, Sascha non era più al mio fianco.

Mi fermai per un momento sul marciapiede di una strada; stavo fissando due ragazzi, mori, uno un po' bassino, l'altro molto più alto, muscoloso, che si stavano baciando su di un muretto.
Forse ero già da rinchiudere, ma avevo rivisto nei loro volti me e Sascha.
Non riuscivo a capacitarmi, non riuscivo a trovarne il motivo.
Pensare che stesse con un altro, sembrava quasi una bestemmia.
Credevo troppo a quella follia, credevo troppo a quell'amore, credevo troppo a quella favola per ammettere che fosse solo frutto della mia immaginazione.

-Almeno potevi dirlo che andavi via...- la voce di Sal aveva interrotto i miei pensieri.
Mi voltai verso di lui, incredulo e soprattutto pensando di averlo immaginato.
-Ti ho visto uscire di casa, di corsa. Volevo capire, ma forse non ce ne era bisogno. Non conosci questa città, non sai nemmeno se è ancora qui...- s'interruppe.
Avevo sicuramente gli occhi lucidi; piangere mi sembrava l'unico modo per esternare il dolore che provavo, mi sembrava l'unico modo per non parlare, l'unico modo per salvarmi.
Questa volta nessuno l'avrebbe potuto fare, nemmeno Sal.
Avevo chinato il capo.
-Torniamo a casa. Non sarà questa notte a riportarlo indietro. - senza battere ciglio, lasciai che mi prendesse per mano e che mi riportasse a casa, lasciando che l'immagine di quei due ragazzi che si stavano baciando, sparisse, insieme alla mia speranza di ritrovare Sascha.

-Stè, qualcosa la devi mangiare!- Giuseppe aveva appena battuto il pugno sul tavolo, -REAGISCI CAZZO! SASCHA È ANDATO VIA! FATTENE UNA RAGIONE! - aveva portato le mani dietro la nuca, voltandosi velocemente verso Sal come ad arrendersi.
-Non posso farcela, sono giorni che va avanti così!- Continuò.
Mi sentivo come quando un animale domestico non vuole ascoltare il proprio padrone, spaventato da quelle grida.
Quelle, erano le ultime parole che avrei voluto sentirmi dire.
Nonostante sapessi che lo stesse solo facendo per me, anche solo sentir pronunciare il suo nome mi creava una sensazione di disagio, anche solo sentirmi dire di reagire mi uccideva ancora di più, non volevo reagire.
-Ti manca vero?- Sal si era seduto accanto a me cingendomi le spalle.
-Mentirei dicendo il contrario. - dissi con voce smorzata.
Avevamo cercato Sascha per giorni. Non rispondeva alle mie telefonate, ai messaggi e nemmeno a quelli di Giuse e Sal.
Era sparito, come se non fosse mai esistito.
Avevamo posticipato il nostro ritorno a Milano sperando che si facesse vivo; avevamo aspettato più di una settimana, ma di lui nessuna traccia.
Continuare ad aspettarlo in una città a lui sconosciuta, sarebbe stato inutile, tornare a casa, tornare a Milano, fu l'unica cosa da fare.

Sabotaggi. (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora