Capitolo 1

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«Mi manchi. Mi manchi ogni giorno un po' di più.»
È più che convinta che quella sensazione, ormai così familiare, che si impadronisce di lei ogni volta che si ritrova in quel luogo sia la stessa che si è costretti a provare quando due grosse, forti mani vanno ad avvolgersi spietate e implacabili attorno alla tua gola e stringono, stringono, stringono ad ogni istante un po' di più, fino a quando non ti resta che lasciarti andare, fino a quando di aria non ce n'è più.
Lo sguardo vaga in tutte le direzioni, si sofferma a fissare quella patina grigia che sembra avvolgere tutto ciò che la circonda, quel grigio, che si viene a creare perchè al calore del sole non è permesso farsi strada tra quelle mura, si perde tra quella moltitudine di parole, lettere e numeri che raccontano di vite ormai vissute, ma si rifiuta, come ogni altra volta in cui si è ritrovata in quella medesima situazione, si rifiuta di fissarsi in quello specifico punto, ne sono passati tanti di giorni, centinaia e centinaia ma lei non c'è mai riuscita, non è mai riuscita a fissare quel volto, fa ancora troppo male.
«Di poche parole come sempre eh? Non mi deludi mai.»
Gli occhi ora incollati al pavimento, seguono l'incessante danza dei suoi piedi, avanti, indietro.
Avanti, indietro.
Un attimo di pace e poi ancora.
Avanti, indietro.
Avanti.
«Io... niente... volevo solo salutarti, stamattina ho aperto gli occhi e... e ho pensato a te... non è che sia una novità...»
Avanti, indietro.
«Niente, non lo so come ma mi sono ritrovata qui, in realtà...»
Tira su la manica della giacca, guarda l'orologio.
«In realtà fra quindici minuti esatti dovrei cominciare a lavorare, quindi, ecco questo è stato solo un saluto veloce e ora vado, sì, ok vado, ci vediamo presto.»
Si volta e comincia ad allontanarsi.
Un passo.
Un altro e un altro ancora.
Poi, ad un tratto si ferma e posa di nuovo lo sguardo in quel vuoto, assorta nei suoi pensieri, incurante del tempo che scorre via.
È difficile stare lì ma lo è ancora di più dover andare via e lasciarsi tutto alle spalle, ma deve farlo, non c'è nient'altro da fare.
«Ciao.»
Solo un filo di voce.
E va via, per davvero stavolta.

Quando Sofia ha visto per la prima volta quel posto, un inquietante senso di soffocamento si è impossessato di lei, non era quello il posto giusto, non poteva essere quello, come poteva chi aveva amato vivere sentendo il vento farsi strada sulla pelle, aspettando i brividi che si rincorrono sulla schiena, bramando i raggi del sole che ti scaldano il viso, come poteva, chi aveva vissuto in questo modo passare l'infinito a soffocare tra quattro mura, in un corridoio che sembra non avere fine, senza più vedere il cielo, senza più sentire il sole.
Era questo che aveva urlato quando il tonfo di quel marmo bianco aveva scritto la parola fine, ma nessuno l'aveva ascoltata e lei ha dovuto imparare a convivere con il peso che le piomba addosso ogni dannata volta che si ritrova a camminare in quella enorme scatola grigia.
Aveva immaginato marmo chiaro immerso in un verde prato, qualche macchia di colore qua e la, fiori e alberi, il vento, il sole e la pioggia che scandiscono i minuti, le ore i giorni, gli anni, i segni del tempo, anche se il tempo non ha più importanza.
Era così che lo immaginava il posto giusto.
Così lo immaginava.
E odiava dover andare in quel posto sbagliato.
Odiava dover accarezzare quel marmo bianco ogni volta che avrebbe voluto invece sentire il calore della pelle.
Odiava sentire la mancanza di quelle parole che non sarebbero più state dette.
Odiava il bisogno che sentiva di essere lì.
Odiava il bisogno che sentiva di fuggire via da lì.
Ma più di tutto.
Ma più di tutto odiava che tutto quello facesse parte dellla sua vita.
Odiava, odiava, odiava.
Tutto questo odiava.
Odiava la vita che aveva deciso così.
Odiava quelle fredde carezze e ancora di più quegli assordanti silenzi.

Il rombo del motore si fa strada nella sua mente, gli alti cipressi abbandonano poco a poco la sua visuale, il cielo limpido e il sole accecante ne prendono il posto, la mente straborda di immagini, pensieri, parole, succede sempre così, ogni volta che si lascia quella strada alle spalle, porta via con se una quantità di ricordi, dolci e amari ricordi che fanno fatica a rimanere rinchiusi nella sua mente, deve scacciarli via e c'è solo un modo, l'unico che funziona, che ha sempre funzionato, deve riempire la testa di parole, di note e di parole.
"...Non piangere, tienimi chiuso dentro questa stanza, rompi i tuoi giochi contro l'arroganza del..."
«No, oggi no, non ci riesco ad ascoltarti.»
Ogni nota è un colpo al cuore e il suo quel giorno ha proprio bisogno di una tregua, zittisce quella voce, capace di far ridere e di far piangere, capace di farti molto più che felice se è questo che il tuo cuore ti dice, oppure, molto più che triste.
Spegne la radio e va spedita a lavoro con la mente piena di parole che non vogliono saperne di andare via.

Vorrei solo non facesse male a te (COMPLETA)Where stories live. Discover now