Quinta parte (di 6)

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Arrivati alla villa, fummo condotti in un ampio salone vermiglio. Al fondo di una parete, in un angolo un po' in penombra, sedeva un uomo dall'apparenza vegliarda: il dolore per quella perdita così improvvisa aveva distrutto il marchese. Angelo s'incaricò delle presentazioni. Ritenne anzi di far cosa gradita accennando al fatto ch'io scrivessi saltuariamente per un noto quotidiano nazionale. Propose addirittura ch'io realizzassi un pezzo in commemorazione della defunta. In un primo tempo il marchese si oppose, poi ci disse di domandare alle ragazze nel caso avessimo avuto bisogno di una foto della giovane Lolita. Saputo però che avrebbe potuto trovarne una al piano superiore, Lanati si precipitò a prenderla.

Di ritorno, domandò al marchese se avesse preso quella giusta. Questi in un primo tempo assentì distratto, poi si alzò di scatto dalla poltroncina in cui stava seduto e fissò lo scrittore dritto negli occhi. Per spezzare la tensione, mi alzai anch'io e dissi ad Angelo che forse era il caso d'andarcene. Non volevo correre il rischio di dover far visita alla morta. Non mi piace vedere persone morte, perché poi mi è impossibile ricordarle per com'erano da vive. Tornammo infine alla locanda e, il giorno seguente, facemmo entrambi i bagagli diretti alla "metropoli".

Pochi mesi dopo, il giovane e promettente scrittore Angelo Lanati fu barbaramente assassinato. La polizia ci impiegò pochissimo a individuare l'omicida nella figura del marchese, che nulla aveva fatto per nascondere le tracce del suo crimine né, tanto meno, aveva osato negarlo. Non fu possibile, però, fargli spiegare i motivi per i quali avesse commesso l'atroce delitto. Decisi allora di fargli visita: volevo sapere con tutto me stesso che cosa lo avesse spinto a trucidare quel povero ragazzo.

Il tempo si è fermatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora