Teoria dei contrari

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Harry, devo uscire un attimo, controlla che questi scellerati con copino" disse il professore di matematica prima di uscire dalla classe. Quell'estate, visto che non avevo nulla da fare, avevo deciso di andare a scuola ad aiutare in segreteria, dove lavorava mia mamma, e quel giorno, casualmente, ero entrato in una classe dove si stava tenendo una verifica di recupero.

Mi appoggiai allo stipite della porta, sistemando gli occhiali spessi che stavano scendendo sulla punta del naso.

"Harry" mi chiamò qualcuno.

Guardai la classe, in cerca del ragazzo che mi aveva chiamato, e trovai Louis Tomlinson che mi guardava. Era il ragazzo più temuto della scuola, con i capelli rossi tinti, i piercing alla lingua, sul labbro inferiore e sul sopracciglio, i jeans sempre neri con strappi sulle ginocchia e le canottiere che lasciavano scoperti i tatuaggi.

"Ti scongiuro, aiutami."

Guardai il corridoio imbiancato da pochi giorni e ancora senza armadi per non rovinare l'intonaco e non vidi nessuno, quindi mi avvicinai titubante a Louis. Era un anno più grande di me, ma era stato bocciato l'anno prima, quindi avevamo svolto lo stesso programma. "Quale esercizio?"

"Il sei."

Girai il figlio verso di me e lessi velocemente la consegna, poi presi la matita e in poco risolsi le equazioni.

"Grazie, mi hai salvato la vita." Mi fece l'occhiolino e io tornai davanti la porta prima che il professo tornasse - e soprattutto prima che lui notasse le mie guance rosse. Non avevo propriamente una cotta per lui, ma da verginello quale ero mi sarei fatto dare volentieri una ripassata da lui, per dirla in termini volgari.

"Grazie mille, Harry, puoi andare." Il professore tornò un secondo dopo e mi sorrise gentilmente.

"Arrivederci." Ricambiai il sorriso e tornai in segreteria da mia mamma, che stava digitando velocemente qualcosa al computer.

"Perché sei tutto rosso?" chiese senza neanche staccare gli occhi dallo schermo. Che stregoneria era mai quella?

"Fa caldo, non so perché ho messo anche il gilet sopra alla camicia" mentii spudoratamente, nonostante fossi consapevole del fatto che non sapevo dire bugie, soprattutto a mia mamma.

"Quindi non ha niente a che fare con qualche ragazzo che sta facendo l'esame di recupero, vero?" Alzò un attimo lo sguardo dal computer e mi sorrise, sfoderando le fossette simili alle mie.

"Certo che no." Mi misi a sedere davanti a lei, anche se ero nascosto dallo schermo del computer.

"Come credi, tesoro."

"Questo pomeriggio vado in centro con Liam, comunque" cercai di cambiare discorso.

"Ok, ti serve un passaggio?"

"Liam ha lasciato la bici da noi la scorsa settimana quindi vado da lui con quella senza fargli fare venti giri."

"Va bene."

Restai in quella stanza minuscola con solo una scrivania e tre sedie per più di un'ora, poi, finalmente, tornai a casa con mia mamma, che mi fece da mangiare e, verso le due, partii per andare da Liam.

"Ciao, Harry." Sorrise appena aprì la porta. "Tutto bene?" chiese uscendo di casa.

"Certo, andiamo a prendere l'autobus?"

"Sì."

Ci avviammo verso la fermata, che era a pochi minuti da casa sua, e aspettammo l'autobus per cinque minuti, parlando del più e del meno.

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