Capitolo 1

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Il mondo è rotondo: il luogo che può sembrare la fine può anche essere l'inizio.
Ivy Baker Priest

Ci sono atomi del cuore che hanno la funzione di mantenere ibernati i sentimenti più dolorosi. Non tutti conoscono questa funzione: sono particelle minuscole ed impercettibili dell'anima, sconosciute all'indagine scientifica.

Nonostante la presunzione di grandi psicoterapeuti, psichiatri e pedagogisti, nessuno può diagnosticare certi moti misteriosi del dolore. Cercare di spiegare quelle sfumature segrete dell'inconscio, è come dire di poter vedere che colore hanno le ombre.

Mi chiamo Sasha. Ho diciotto anni e oggi è il mio primo giorno fuori da quelle quattro mura fra le quali sono in parte cresciuta, imparando solo l'arte dell'indifferenza umana ed il vantaggio di pensare solo alla propria sopravvivenza.
Ho tanto da raccontare, ma soprattutto, ci sono misteri sul mio passato che vorrei conoscere ma che non so, e dannatamente continuo a non sapere.

Oggi, non so esattamente dove andare; perlomeno, non so dove fuggire.

In questo momento potrei essere la figlia adottiva della famiglia Daugan: un trio di disadattati depressi che si trova a circa dieci fermate di tram da qui, ma preferirei dormire sotto un ponte piuttosto che andare ad elemosinare un posto letto in una famiglia come quella.
Ho acquisito una certa esperienza con le persone e ormai so fiutare la falsità come un cane da caccia.

La signora Daugan mi piace tanto quanto la medicina che sei costretta a prendere quando stai male. Stomachevole. Quel sorriso imbrattato di rossetto mal messo e quei modi piacenti e pacchiani  mi puzzano da morire. Per non parlare di quel residuo di marito che porta con se come il barboncino di turno: bassotto, calvo, e quello sguardo che non sapresti se definire rassegnato o inebetito.
Ah dimenticavo... la figlia. Una trentenne piagnona che non sa mettere un piede fuori casa senza tornare sbuffando, con lamentele di ogni genere e frustrazioni da condividere.

Bleah. Una convivenza simile mi fa ribrezzo al solo pensiero. Ho già condiviso la mia vita con troppe persone, troppe stanze, troppe compagne, troppi educatori, troppe situazioni snervanti. Ora è il momento della libertà assoluta e sono decisa ad afferrarla con tutto quel poco che è rimasto di me.

Non so dove sono nata; ho ricordi vaghi dei primi anni della mia vita e nei miei incubi vedo solo oggetti confusi e voci che si diramano senza che se ne possa udire il senso. Non me ne curo; se mai dovessi avere un passato dignitoso, non può di certo aiutarmi a modificare questo misero presente ne tantomeno il futuro incerto che si staglia davanti a me come queste strade che non conosco. Sono certa di essere cresciuta qui a Parigi, ma non ho mai vissuto a pieno la mia città; è sicuramente abbastanza spaziosa per chi cerca libertà e, sono sicura, troverò al più presto un lavoro che mi dia almeno un tetto e una coperta per dormire. Di tutto il resto me ne frego.

Sorrido soddisfatta se ripenso alla faccia illusa della signora Parker quando le promisi che avrei fatto tutto al meglio sfruttando "le poche occasioni buone della vita" ripetendo le sue solite frasi... Dunque... appena una settimana fa.

Odio quell'assistente sociale da quando ero bambina. A partire dal suo snervante accento britannico e a finire dal suo odore maldestro di profumi vecchi e scaduti.
Lei è una di quelle cose che nella vita non scegli e che, maledettamente, ti capitano. L'avevo capito da subito quanto fosse superficiale, nonostante avessi appena sei anni.
Avevo capito che era la tipica assistente sociale senza cuore, forse stanca del suo lavoro o forse incastrata in un impiego che non l'ha mai appassionata perché non ha avuto altra scelta per guadagnarsi dignitosamente da vivere nella sua squallida vita zitella.

Rosso Scarlatto  #Wattys2018 [completa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora