Capitolo 3

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Credo fermamente che la parte più difficile di un trasloco non sia tanto il dover riporre tutto negli scatoloni, quanto il doverli disfare. Non sono mai stata una persona molto paziente e, per me, quell'ammasso di roba che giaceva sul pavimento della mia camera, rappresentava una vera e propria sfida; ma dopotutto andava fatto. Mi armai di coraggio e decisi di mettere della musica dal mio telefono, per ingannare la noia. Era passata circa un'ora, quando sentii mio fratello imprecare.
<Dannazione, ma quanta cazzo di roba ho portato? Ma possibile che si moltiplichi?> sbraitò dalla sua stanza, che era esattamente sotto la mia.
Scoppiai subito a ridere. Neanche quelle tre ore di treno l'avevano reso più calmo e docile, anzi, sembrava che avessero sortito l'effetto contrario. Decisi di andarlo ad aiutare, presa da un inaspettato moto di solidarietà. Quando entrai nella sua camera venni accolta con un <Che cazzo vuoi?>, che si addiceva perfettamente al vocabolario di Luke.
<Sono venuta a darti una mano, ma se te la cavi da solo, torno nella mia stanza, ingrato che non sei altro> gli dissi tranquillamente io, facendo dietrofront e contando fino a 3.
E infatti, dopo neanche due secondi, Luke mi afferrò il braccio, biascicando frettolosamente un <NONO>, che dava l'impressione fosse terrorizzato da quegli scatoloni. All'incirca un due orette dopo, la sua camera era ordinatissima e sembrava fosse abitata da sempre. Ritornai velocemente alla mia e cercai di mettere tutto a posto prima di cena e, ancora non so come feci, ma ci riuscii.
Avevo appena finito di attaccare il filo dell'abat-jour alla presa, che sentii le urla di mia madre dalla cucina <È pronto a tavola, scendete subito!>. Sempre la solita, la calma non era tra le sue virtù. Scesi le scale a chiocciola che collegavano i tre piani della casa. L'ultimo piano era occupato dalla mansarda dove avevano allestito la mia camera con il bagno accanto. Non mi dispiaceva per niente la scelta, mi sembrava di avere un pezzo di casa solo per me; in più, se avessi voluto stare da sola per un po', quello sarebbe stato il rifugio perfetto. La tavola, come al solito era imbandita di ogni alimento possibile e immaginabile. L'eccezione, che quasi stonava con il solito quadretto, era la presenza di papà. Non appena lo vidi, gli buttai le braccia al collo per salutarlo; era da un bel po' che non lo vedevo per più di 3 minuti.
<Ehy, tesoro, piano, mi stacchi la testa così!> disse lui, ridendo. Ero molto legata a lui; ogni volta che passavamo dei momenti insieme ero felicissima e la gente vedeva che tra noi c'era come una sorta di legame invisibile, che ci consentiva di comprenderci con una sola occhiata.
<Sono così contenta di vederti!> sussurrai al suo orecchio, quasi intimamente.
<Anche io, piccola mia> mi sussurrò lui di rimando.
<Bene, che ne dite di metterci a tavola e festeggiare?> proruppe mia madre. Aveva gli occhi leggermente lucidi. Chissà da quanto tempo aspettava un momento del genere.
La cena trascorse velocemente, c'eravano  tante cose da dire e condividere e mia madre aveva cucinato , come al solito, per un esercito. Papà era il re della cena e alla fine del pasto, alzammo tutti quanti i bicchieri in aria e brindammo in suo onore. Era una sera perfetta, fino a quel momento.
Erano da poco passate le 22:00 e stavamo tutti seduti comodamente sul divano a vedere un film d'azione, che aveva accuratamente scelto mio fratello. Non mi piaceva molto quel genere, c'era troppa confusione, e molto spesso, arrivata a metà film, avevo già perso il filo della trama e non ricordavo il nome di nessun personaggio. Al contrario, mio fratello era talmente preso, che non si accorse neanche che avevano suonato alla porta.
<Vado io, tranquilli> dissi, alzandomi prontamente dal divano e non vedendo l'ora di sgranchirmi le gambe. Nessuno si oppose. Andai velocemente alla porta e la aprii, senza neanche riflettere. Davanti mi si parò un uomo sulla quarantina, stempiato e con vividi occhi grigi. Aveva qualche ruga sparsa in tutto il volto, che, nel complesso, gli conferiva un'aria molto più dura di quella reale. Indossava un completo molto elegante, che a giudicare dallo stile, sembrava molto costoso. La cosa che più mi inquietò, era la grande cicatrice che attraversava metà fronte e terminava all'angolo dell'occhio sinistro. Non riuscivo a smettere di fissarla.
<Ciao, piccola, il tuo papà è in casa?> mi disse in tono fintamente gentile. Mi limitai ad annuire e chiamai mio padre a gran voce. Si presentò accanto a me dopo 5 secondi esatti.
Si girò verso l'uomo e vidi chiaramente la sua espressione cambiare; sembrava preoccupato per qualcosa e nervoso.
<Ehy, tesoro, perché non vai a continuare il film.È molto interessante> mi disse, dolcemente. Capii all'istante che era una scusa per lasciarli soli, dato che sapeva benissimo che non mi piacevano quei film, ma decisi di andare e tentare di origliare qualcosa.
Siccome dal salotto non sarei riuscita a comprendere niente, mi nascosi dietro la porta della cucina, che era molto più vicina all'ingresso e attesi in silenzio.
<Parker, mi sembrava di essere stato chiaro> sentii dire all'uomo, con tono impaziente.
<Lo so, lo so, mi dispiace, ma come vedi ci sono stati degli imprevisti. Il trasloco, i bambini... Come faccio, eh?! Dimmi come si fa a gestire tutto. Dammi una settimana e sistemerò anche questo. Ti chiedo solo una settimana. > disse mio padre. Non avevo mai sentito quel tono di voce, sembrava quasi sull'orlo delle lacrime.
<Ti avverto,Parker, ti concedo quest'ultima settimana, altrimenti...>
Bum! Un frastuono provenne dal salotto e non ci impiegai molto a capire che qualche personaggio nel film era stato ucciso. Papà ritornò velocemente in salotto, dopo aver sbattuto la porta di casa e riguadagnò il suo posto. Ritornai velocemente anche io, con un bicchiere in mano, fingendo di essere passata in cucina a prendere un sorso d'acqua.
<Allora, chi era, caro?> domandò mia madre curiosa.
<Nessuno, cara, solo un collega di lavoro> rispose lui, rigido.
<E cosa voleva a quest'ora?>rimbeccò lei.
<Farci gli auguri e augurarci una buona permanenza qui: era di strada e ha pensato di fermarsi> disse lui, un po' nervoso.
Ero senza parole.
<Che carino! Dobbiamo assolutamente organizzare una cena con lui e la sua famiglia!> disse ,emozionata, mia madre.
<Senz'altro> rispose papà, poco convinto.
Dannazione!Avevo perso l'ultimo pezzo della frase, ma d'altronde avevo sentito già parecchie cose, su cui certamente c'era da riflettere. Chi diamine era quell'uomo? Come conosceva mio padre? Perché papà aveva quell'aria così fragile e spaventata? Perché aveva mentito alla mamma? Ma soprattutto, cosa si nascondeva dopo quell'altrimenti, che sembrava così velato di minacce? Erano tutte domande a cui avrei dato una risposta ad ogni costo, prima o poi.

L'altalena nel cortile Where stories live. Discover now