La vigilia

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Lavinia si lanciò sulla strada in terra battuta, cercando di scaricare nel passo svelto il proprio disappunto.

Forse Antonino aveva ragione, forse Marco Pallante avrebbe vinto il palio e il loro profitto avrebbe lievitato senza bisogno di fare fatica. Tuttavia fra quella speranza e la sua realizzazione c'erano le ambizioni delle altre famiglie della città, i Da Sara, i Levano, i Poccolani.

Tutti ambivano a vincere il Palio, e anche se i Pallante avevano vinto per due anni di fila, non era necessario che il miracolo si verificasse anche questa volta.

Lavinia scartò a destra lungo il muro di un palazzone, per evitare un nugolo di ragazzini agitanti i loro nastri variopinti: il colore verde di quegli straccetti li identificava come tifosi dei Da Sara. Qualcuno dalle finestre gridò un insulto a Giacomo Da Sara, e si levarono brusii di approvazione e risate a cui i ragazzini risposero bellicosamente prima di lanciarsi di nuovo nella loro corsa festosa.

La città, anche in quella zona periferica, era in fermento: dalle campagne e dalla città vicine arrivavano a ogni ora bifolchi, curiosi, viaggiatori, tutti attirati dalla possibilità di assistere a uno degli eventi più attesi dell'anno, tutti alla ricerca di un posto per la notte, da parenti, amici o anche perfetti sconosciuti. Ognuno aveva il suo paladino, e Lavinia aveva sentito dire che erano già volati denti e coltelli per via delle rivalità fra i sostenitori di quello o quell'altro fante. Di notte dalle taverne salivano i canti incitatori degli ubriachi, fino alle stanzette che occupava all'ultimo piano del palazzo di Valerio Lanzer, impedendole di dormire. Avrebbe voluto poter dire, come avrebbe fatto da ragazzina, che il palio era una noia mortale e che non portava che scompiglio in città; ma nonostante i fastidi derivanti dall'ingorgo dei tifosi e dalle scommesse che puntualmente Antonino imbastiva lasciandola col fiato sospeso, il palio le piaceva, le piaceva il clima festoso di una città che di solito era più somigliante a una vecchia stracciona che a una capitale di antichi natali e che per l'occasione faceva sbocciare ovunque colori, fiori e musiche. Le era piaciuto, l'anno precedente, assistere dal terrazzo dei Pallante alla vittoria del loro figlio cadetto, in compagnia di Cesare, della sua famiglia e dei loro più stretti e nobili amici.

Svoltando a destra continuò a camminare per qualche minuto, e alla fine giunse di fronte alla bottega di Posca, il nomignolo con cui era noto Guglielmo Poscari, il sarto che, oltre a confezionare i suoi abiti dai ritagli e da quanto sopravviveva addosso ai suoi fratelli, aveva accettato di darle lezioni di danza l'anno precedente, proprio in occasione del ricevimento dei Pallante. Perché era lì? Quest'anno non l'avevano ancora invitata, e se lo avessero fatto avrebbe dovuto rifiutare. C'erano già troppe chiacchiere in giro sul conto di Lavinia, la figlia zitella del Fabiani, la sfrontata che aveva deciso di mettersi a commerciare come una donna del popolo, ma rivolgendosi ai ricchi. La stravagante che si sporcava le mani e si abbronzava sotto il sole aiutando a dissotterrare chissà quali diavolerie invise a Dio, pretendendo poi di danzare con i rampolli della città. Come il padre, sarebbe certamente finita in rovina: questo dicevano le malelingue più benevole in città. Abbozzò un sorriso, ed entrò in bottega.


Amor oblita - Di congiure e catacombeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora