Creta

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Il vestito leggero che aveva scelto quella mattina le scivolava impalpabile sulle gambe, denileandone la forma nel cadere morbido fino alle caviglie. Se ne stava seduta, fin troppo composta. I capelli biondi raccolti in un'acconciatura fintamente disordinata. Giocava distrattamente con una delle ciocche che aveva lasciato sfuggire al rigore del raccolto, rigirandosela fra le dita della mano sinistra. La destra restava impegnata a reggere il libro che aveva casualmente pescato dalla libreria poche decine di minuti prima, nel tentativo di darsi un tono.

Gli occhi nocciola saettavano da sinistra a destra, agili e apparentemente avidi di parole, delle quali, però, lei non stava afferrando il pieno significato. Aggrottò le sopracciglia folte e chiare nel rendersi conto di non avere idea di cosa il narratore stesse dicendo. Si lasciò andare in un sospiro, che somigliò più a uno sbuffo o viceversa. Abbassò il libro, facendo attenzione a infilare l'indice fra le pagine per non perdere il segno. Non le importava granché, a dir la verità, ma a invisibili occhi estranei che avrebbero potuto studiarne le azioni, quel dito indice avrebbe confermato la veridicità di tale messinscena. Puntò lo sguardo dritto davanti a sé, pensieroso e al tempo stesso pieno di quella vacuità di chi ha percorso il filo di quei pensieri troppe volte e troppe volte non è riuscito a sbrogliarne la matassa. Rimase assorta, rilassando la schiena a poco a poco, forse sotto il peso di certe preoccupazioni o magari soltanto perché aveva perso la concentrazione tale a mantenere quell'innaturale compostezza. Infine, quando oramai le spalle si erano incurvate con una sorta di stanchezza e sembrava quasi che le stesse ginocchia volessero avvicinarlesi al petto, in un tentato gesto di protezione, si riscosse appena, scuotendo il capo. Celere, riaprì il libro, recuperando in pochi secondi la parola sulla quale si era persa (ma forse non era quella e in ogni caso non avrebbe cambiato la sua comprensione del racconto). La poltrona di pelle scricchiolò appena sotto il movimento appena accennato del suo bacino, volto a recuperare la compostezza e la rigidità del tronco. Gli occhi ricominciarono a non leggere il libro, le dita a sfogliarne le pagine, le orecchie si tesero, attente, per cogliere il mimino rumore o forse in attesa di quel singolo.

Aspettava, e lo rivelava la tensione delle mani, la rigidezza della schiena, la fissità delle gambe. Si irrigidì, se possibile, ancora di più, nel sentire la suoneria del telefono annunciare la ricezione di un messaggio. Le iridi corsero al cellulare, poggiato nel tavolino lì a fianco. Le sarebbe bastato allungare la mano per prenderlo e controllarne il mittente e già ne sentiva il peso fra le dita, se non fosse stato che... Non si mosse. Lo sguardo tornò sul libro.

Arriva in fondo al capitolo, si disse, solo fino in fondo al capitolo. Non dargli la soddisfazione di aver risposto immediatamente.

Si rimise a leggere, con più lentezza, con più attenzione. Un cipiglio appena accennato, che tradiva la voglia di scoprire se veramente lui le avesse scritto o se fosse solo un altro chiunque. Era in attesa di sue notizie, o meglio, di un dove e un quando. Il suo dove e il suo quando. Aveva bisogno di vederlo. Sentiva fra loro un qualcosa, quella pellicola che resta fra due persone dopo un litigio e alla quale non sapeva dare un nome. Qualcosa di impalpabile e invisibile, di cui difficilmente ci si accorge, ma che rende difficoltoso il parlarsi e il toccarsi, il vedersi e il comprendersi. Aveva bisogno di vederlo per provare ad abbattere quella barriera o, in caso d'insuccesso, finirne la costruzione.

Riesci a trovare venti minuti per parlarmi?, gli aveva chiesto il giorno prima.

Domani, oggi sono incasinato.

Ok, fammi sapere dove e quando.

Ok.

Dunque aspettava. Il suo dove e il suo quando. Ma l'urgenza, quella non voleva comunicarla. Per questo, con lentezza, terminò il capitolo, ne soppesò le parole. Tutto per amor di spettacolo, per non dargli soddisfazione, a lui che non poteva vederla, ma poteva immaginarla far chissà che, in quell'attesa snervante. Con un gesto secco chiuse il libro, non prima di essersi mentalmente annotata il numero della pagina. Lo poggiò sul tavolino, proprio accanto al telefono che afferrò fra le dita con un gesto estremamente rilassato. Saggiò la superficie liscia dello schermo coi polpastrelli prima di decidersi a sbloccarne la schermata. Un rapido sguardo al mittente e il cellulare venne malamente riposto sul tavolo, là dove vegetava ormai da troppo tempo. Le si rabbuiò lo sguardo nel trarre ancora una volta le stesse conclusioni, le conclusioni amare che li avevano portati al litigio. E al tempo stesso, nel cuore sottomesso, scattò ancora quella scintilla di rabbia e risentimento, la medesima che l'aveva fatta sfogare la sera precedente. Sbuffò sonoramente, incrociando le braccia al petto e accavallando le gambe, abbandonando ogni parvenza di quell'elegante indifferenza che si era impegnata a costruire. Affondò nella poltrona, imbronciata. Perché era oltre mezzogiorno. Perché se non le avesse scritto a breve non si sarebbero visti. Perché se non voleva ascoltarla lei avrebbe avuto conferma che gli aggettivi parolaio, stronzo e menefreghista gli si addicevano fin troppo.

Qualche istante di immobilità prima di sporgersi ancora verso il telefono. Controllò le notifiche nelle conversazioni di gruppo: mere parole dallo scarso significato che nella sua innocenza e fiducia aveva scambiato per un suo interessamento. Ne cercò il nome fra i contatti di whatsapp.

Nessun nuovo messaggio. Ultimo accesso qualche minuto prima.

Deglutì amareggiata, arricciando appena le labbra in una smorfia che non voleva lasciar trasparire la delusione, ma rivelava in realtà tutto il suo disappunto.

Si era convinta che il gioco avrebbe potuto condurlo lei, che avrebbe potuto costringerlo a cercarla, magari rincorrerla, dimostrarle finalmente quell'attaccamento che tanto decantava. Avrebbe voluto, per una volta, sentirsi capitano del galeone, esperta di rotte e maestra dei venti. Bussola alla mano, cannocchiale sull'orizzonte, avrebbe voluto sentirsi padrona delle correnti, incurante delle onde impotenti che avrebbero cercato di deviare l'elegante scivolare della sua nave sull'acqua increspata. La brezza e la salsedine a sferzarle il viso e lo sguardo dritto davanti, fissato sul porto seguente e sull'ovunque, perché niente avrebbe potuto impedirle di raggiungerlo. Avrebbe voluto, per una volta, non sentirsi assoggettata ai giochi e alle macchinazioni altrui. Ma lui, e questo ormai lo aveva capito, nel suo silenzio nascondeva una sfida, nascondeva l'orgoglio ferito e per lei non si sarebbe piegato.

Avvertì improvvisamente tutto il peso del cellulare fra le mani: era il peso del suo orgoglio, della sua dignità, della sua scelta di metterli da parte. Per lui.

Si sentì creta nelle sue mani, nel realizzarlo. Debole e malleabile, capì che avrebbe assunto ogni forma e colore che lui avesse voluto, pur di non perderlo. Aveva opposto resistenza, con tutta quella messinscena del libro. O meglio, aveva finto con se stessa di farlo; ma come l'argilla sotto al calore delle dita, si stava lentamente ammorbidendo al suo silenzio. Lui stava tentando di piegarla al suo volere e lo sapeva che prima o poi lei avrebbe ceduto.

Si portò le gambe al petto, rannicchiandosi su se stessa. Chinò il viso, portando la guancia ad aderire alle ginocchia. I piedi nudi a toccare la pelle consunta della poltrona, un contatto di sgradevole sudaticcia aderenza e rassicurante abitudine. Tentò di trattenere, con quel gesto, ogni parte di sé, il suo tutto, come se un pezzo avesse potuto distaccarsi per sempre e volar via. Un abbraccio come ultimo baluardo di resistenza. Per mantenersi intera.

Avrebbe davvero voluto essere quel capitano, assumere il controllo della nave e di ogni sartia, veleggiare sicura piegando il vento alle proprie esigenze e alla propria andatura. Ma si sentiva il marinaio, assoggettato agli ordini di un capitano talvolta crudele, la rotta plasmata dalle correnti e la speranza di toccar porto, prima o poi, grazie alla volontà altrui.

In un ultimo stanco sforzo, corse ai messaggi dei giorni precedenti, alle parole che gli aveva rivolto, alla rabbia che lui le aveva vomitato addosso in risposta. Tirò un sospiro. Aveva deciso.

AttimiWhere stories live. Discover now