Capitolo 1- Pov's Deborah

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Apro lo zainetto e ne estraggo le cuffiette a forma di unicorno e il mio cellulare. Faccio partire la playlist composta dalle mie canzoni degli Arctic Monkeys, The 1975 e dei The Neighbourhood. Sono le mie band preferite e i loro testi mi emozionano ogni volta. Ho sempre cercato nella musica una via d'uscita, uno sbocco al di fuori della triste realtà che mi circonda. Quindi ho sempre scelto di ascoltare brani che ti parlano, forse non ballabili, ma non importa.

Sfilo dalla tasca anche un libretto color crema con una scritta floreale 'Charles Baudelaire, 39 fiori del male'.
È il mio poeta preferito e la lettura delle sue poesie mi fa sentire meno sola in questo luogo. Mi affascina anche la sua vita, nonostante il suo immenso talento, ha vissuto sempre in disparte, criticato e mai amato.
'La distruzione'. Si, oggi leggo questa.
Prendo la matita e, come mio solito, sottolineo le frasi più belle, anche se è già stato fatto.
Così, senza né forze né fiato, mi conduce lontano, ove nessuna orma di Dio riluce, nelle piane del Tedio, infinite, deserte...

Un sasso mi rotola vicino alle Converse nere. Probabilmente, è il vento. Torno a leggere e un fischio mi fa alzare gli occhi azzurri dalle pagine. Mi giro per cercare di capire l'origine del rumore e mi immobilizzo. C'è un ragazzo appena davanti alla scala arrugginita che mi scruta. L'ho già visto nei corridoi della scuola, mi pare abbia frequentato il penultimo anno. Non so il nome.
-Che stai facendo qua?- sbuffa infastidito.
Dovrei chiederglielo io.
-Leggo.- rispondo secca, se vuole darmi fastidio non è giornata. Non è mai giornata, dovrei dire.
Si avvicina a passi lenti e si piazza di lato a me posando lo sguardo sulla copertina. Sgrana gli occhi ma poi torna alla sua espressione indifferente. È alto molto più di me e ora che lo osservo da vicino ha dei capelli corti color castano chiaro molto carini, non sono ben tenuti, come del resto il suo abbigliamento. Non mi dispiace, si vede che non è uno snob altezzoso. Al naso porta un piercing argenteo, anche io lo volevo ma i miei erano contro. E poi i suoi occhi. Cavolo. Sono verdi, sono qualcosa di indescrivibile.
-Ti piacciono le poesie?- spezza l'imbarazzante silenzio che si era creato.
-Sì, le sue in particolare.-dico indicando il nome dell'autore sulla copertina. Non so se voglio parlarci, sarà pure simpatico, ma non credo si risparmierebbe dal mandarmi frecciatine fastidiose.
Si siede accanto a me senza preavviso e sussulto leggermente. Che fa? Sono visibilmente imbarazzata, mentre lui è calmo e punta i suoi occhi magnifici verso la città. È il primo a cui parlo della mia passione per le poesie, mi sembra una cosa da sfigati. Anche se avessi mentito, avrebbe constatato il contrario.
-Anche a me piacciono. Però preferisco Mallarmè.-
È molto simile a Charles. Interessante però questa cosa.
-Sì, non è male.- affermo.
Ancora silenzio. Perché non se ne va? Forse aspetta che lo faccia io, ma non voglio tornare a casa. Almeno, non ora.
-Frequenti la Cassidy High School?- domanda.
-Purtroppo, sì...- sospiro.
Non mi è mai piaciuta, piena di gente snob e idiota. Poi ora che non ho più Jess e Ash è invivibile.
-Anche io, ma ora sono finalmente all'ultimo anno. Poi farò il college qua in città, non voglio andarmene, per il momento.-
È strano sentire una persona che non conosci raccontarti i suoi progetti per il futuro.
-Ah, io devo fare il terzo anno. Poi non lo so.- mormoro. Non ho mai pensato all'avvenire come qualcosa di concreto. Preferisco concentrarmi sul mio presente, che è già complesso di suo.
Volta il suo sguardo su di me e mi sento sciogliere davanti a quegli occhi.
Ora noto anche qualche lentiggine sul suo naso.
-Vieni spesso qua?- chiedo con molta fatica.
Annuisce e continua a fissarmi. Scommetto di essere rossa come un peperone ora.
-Tu?- domanda con aria assente.
-Sì, ma non ti ho mai visto- rispondo un po' stupita.
-Vengo di sera tardi o di notte, il panorama è migliore. Dovresti provare. D'esatate è ancora più bello.- dice tutto d'un fiato, come se lo stesse sognando quel panorama.
-Ah.- immaginavo qualcosa del genere. Sarei tentata di chiedergli come mai è venuto a quest'ora, ma forse è meglio non ficcanasare troppo.
Tira fuori dalla tasca una sigaretta e se la mette tra le labbra carnose mentre l'accende. Lo osservo per un po' poi distolgo lo sguardo.
-Non ci siamo ancora presentati. Io sono Matthew Miller, ma chiamami Matt- dice buttando fuori una nuvola di fumo grigio che evapora rapidamente.
-Deborah Clark, probabilmente non hai mai sentito parlare di me- ridacchio.
-Ah e comunque chiamami Deb.- concludo.
-Non m'importa. Non frequento le persone in base alla loro popolarità- ribatte quasi indispettito.
-Non dicevo questo.- dico vergognandomi un po'.
Sono la solita imbranata. Dopotutto sono Deborah Clark, no?
Mi prende il mento con le dita e me lo solleva per guardarmi negli occhi.
-Come mai vieni qua da sola, a leggere delle stupide poesie, ascoltando della musica inusuale?-domanda con fare canzonatorio.
Un po' mi innervosisco. Anche lui ha ammesso di leggere poesie e di venir qua solo! Mantengo la calma e rifletto su cosa dire per evitare casini.
-Beh, da sola perché la mia unica amica ormai non mi parla quasi più, leggendo poesie perché mi fanno sentire meglio e le canzoni mi rispecchiano.- mi sforzo di rispondere. Non è proprio la verità ma si avvicina. In realtà questo luogo me l'aveva mostrato mio fratello che ora è a Londra. Diceva che era una 'magnifica desolazione' e che gli aveva ricucito un sacco di ferite del cuore. Forse non aveva tutti i torti.
Molla la presa dal mio viso e mi pare di intravedere un sorriso sul suo.
Spegne la sigaretta sul cemento e la getta lontano.
-Dimmi il tuo motivo ora, non credo sia solo per il panorama, altrimenti ci verresti con la tua ragazza- affermo decisa.
-Chi ti ha detto che sono fidanzato?- ride -Nah, anche io ho i tuoi stessi motivi, circa.-
Mi sorprendo. Siamo così simili. O forse è solo una mia impressione.
-Quanto rimani?- chiede curioso.
Fisso lo schermo luminoso del telefono e noto che sono le 17.35, è meglio che parta se non voglio arrivare in ritardo, mia madre non sopporta quando non rispetto i tempi.
-Devo andare giusto ora, ci impiego 20 minuti per raggiungere casa mia.- dico alzandomi e riponendo velocemente gli oggetti nello zainetto.
-Allora posso sperare di vederti domani?- mi chiede senza staccare gli occhi dall'orizzonte.
Rimango interdetta.
-Ehm.. Sì, certo, passo alle 16.00 se ti va...- rispondo titubante.
Ma che cosa vuole? Non che non abbia voglia, ma...
-Va bene. Ciao Deb.- mi saluta con una voce totalmente indifferente.
Non esprime nulla. Zero. Non è arrabbiato, né triste né tantomeno contento.
-Ciao Matt- lo saluto prima di scendere con passo svelto la scaletta scricchiolante.

Mi avvio verso casa silenziosamente meditando su ciò che è appena successo. Uno sconosciuto di nome Matthew mi ha appena raccontato di lui e mi ha chiesto di incontrarlo il giorno seguente. Vorrei parlarne con Jess ma, probabilmente, non le importerebbe e mi dovrei sorbire il racconto sdolcinato del suo pomeriggio con Taylor. No, grazie.
Sono curiosa di vederlo domani. Ma chi voglio prendere in giro? Non si presenterà. Si sarà accorto di quanto sfigata e strana sono e si sarà pentito di avermi parlato.
In breve tempo sono arrivata e appena apro la porta sento un buon odore provenire dalla cucina.
-Heyhey, che cosa è questo profumo?- dico sorridendo mentre mi muovo per raggiungere mia mamma.
-Sto facendo la pizza, non chiedermi perché ma non avevo nient'altro da fare oggi- esclama facendomi l'occhiolino.
Forse non sono iniziate poi così male queste vacanze.

Spazio Autrice
Hey, vi ricordo di commentare se avete trovato errori o idee per il proseguimento della storia.

Domani pubblico il secondo :)

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