Risvegli inquietanti

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[Colonna Sonora: Musica Ricercata [2/11] – György Ligeti ]

Mi accorsi che non se ne sarebbe andata; stava cercando, anzi, di entrare. Scivolai giù dal divano e decisi di nascondermi sotto ad esso portando con me il cellulare; non so perché, non ho idea del motivo per cui lo ritenessi un nascondiglio sicuro, ma quando si ha paura si fanno delle cose veramente stupide.

Non so dire quanto tempo trascorse prima che mi decidessi a fare qualcosa. Come in un sogno ascoltavo i tonfi dei pugni battuti contro i vetri, lo stridere delle unghie che li graffiavano, i versi inarticolati che quell’essere emetteva nel tentativo di trovare un varco. La porta finestra era munita di doppie vetrate, più resistenti di quelle standard, ma prima o poi avrebbero ceduto.

Il cuore mi martellava, impazzito, nelle tempie. Con le mani che tremavano mandai un messaggio ad Aidan, chiedendogli di raggiungermi e specificando che ero in pericolo. Mi pentii subito dopo di averlo fatto: e se quell’essere lo avesse aggredito? Gli mandai un altro messaggio, ero talmente spaventata che non sarei riuscita a parlargli al telefono, nel quale gli dicevo che c’era quella cosa strana fuori, in giardino.

Dal punto in cui mi trovavo potevo vederne i piedi nudi e un particolare stupido mi colpì: le unghie erano smaltate, di rosa.

Il colore preferito di Tasha.

Gliel’avevo messo io, quello smalto, soltanto due giorni prima.

Mi sentii tremendamente stupida.

Era Tasha, forse era solo sotto shock, forse aveva bisogno di aiuto…

Oppure era davvero impazzita ed era venuta per uccidermi. Avevamo litigato, la mattina prima dell’omicidio. Quando lei si arrabbiava il suo sguardo faceva paura. Fino a qualche ora prima avrei giurato che non avrebbe fatto del male ad una mosca, ma mentre cercavo di rintracciarla il dubbio che potesse esser pericolosa si era insinuato nella mia mente e mentre morivo di paura sotto al divano era diventato certezza.

I colpi contro i vetri erano aumentati, diventando più violenti e i versi erano rabbiosi, animaleschi; rinunciai ad uscire dal mio nascondiglio, chiusi gli occhi e pregai che Aidan arrivasse in fretta.

All’improvviso, quel trambusto cessò.

Incredula, cauta, riaprii lentamente gli occhi. Non vedevo più i piedi di Tasha.

Se ne era andata.

In parte ero sollevata, ma ero anche preoccupata: dove era andata? E se avesse fatto del male a qualcuno? Per non parlare della figuraccia che avrei fatto con Aidan: mi avrebbe considerata una fifona che si immagina le cose. Non osavo chiamarlo, ma avrei dovuto avvertirlo del cessato allarme.

Ero ancora nascosta sotto al divano, persa in quelle elucubrazioni.

Quando me ne accorsi strisciai sul pavimento per uscirne.

BAM!

Quel colpo fortissimo contro la porta d’ingresso mi fece urlare per lo spavento.

- Sole! Sole, sono Aidan, aprimi!

Lo maledissi, con tutta me stessa. Corsi ad aprirgli, infuriata, fregandomene del fatto che per la seconda volta nella stessa giornata mi avrebbe vista nella peggiore delle mie versioni. Ma il suo viso sporco di sangue e sudore, l’aria stravolta, mi fecero desistere da ogni velleità di ricoprirlo di insulti per la paura che mi aveva fatto.

Lui entrò rapidamente e si richiuse la porta alle spalle.

- Ma cosa ti è successo?

- Il cadavere di Fortescue. Ha ripreso vita e ha aggredito il tuo sostituto. Abbiamo cercato di fermarlo ma è fuggito – mi spiegò mentre spostava la libreria che si trovava lì vicino in modo da bloccare la porta. – E mentre venivo qui ne ho visti altri, per strada, come lui. – aggiunse. – Dobbiamo chiuderci dentro.

Non riuscivo a credere alle mie orecchie, ma non fiatai: insieme ad Aidan feci in modo di barricare tutti i possibili accessi alla casa.

In tv, nel frattempo, scorrevano le immagini agghiaccianti degli zombies, o almeno così venivano definiti, che vagavano per le strade e aggredivano i passanti.

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