II. Sue - Primo soffitto: Locanda.

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alba del 25 Aeda 684 d.C.

I

l sole appena sorto filtrava debolmente dalle imposte socchiuse, ferendole gli occhi: la ragazza se li stropicciò sbadigliando e si girò dall'altra parte del piccolo cumulo di paglia, per evitare la luce; poi si arrese all'evidenza che fosse ormai mattina e si stese supina, fissando il soffitto della stalla, di travi mangiate dalle intemperie e paglia, osservandolo come se avesse dovuto scorgervi un qualche misterioso senso nascosto.

"Un altro soffitto sconosciuto... quanti altri ne dovrò vedere, ancora, prima di smettere di scappare?".

«...al diavolo» borbottò alzandosi dal pagliericcio con uno sbadiglio. Si stiracchiò per bene e socchiuse gli occhi con un sorriso; a dispetto dei pensieri cupi, quella sarebbe stata una bella giornata: avrebbe fatto di tutto perché andasse proprio così. Seduta sul mucchio di fieno, fissò con rinnovato sconforto la stalla in cui si trovava: il contesto medievale nel quale viveva da almeno quattro anni continuava a seccarla ed affascinarla contemporaneamente, nonostante avesse avuto il tempo di abituarsi all'idea.

Abitava in quel mondo dai costumi e tradizioni antiquate quasi per caso e ancora aveva problemi a fare i conti con le cose più semplici, come l'andare a letto al tramonto perché non c'era più luce (le candele, così come le fiaccole o le lampade ad olio, erano ovviamente roba per ricchi), e le più banali, come il cibo perennemente limitato a verdure di scarso apporto nutritivo, formaggio o pane secco e duro; la cosa che le piaceva di più, però, pensò mentre si infilava gli stivali, erano i draghi: erano ovunque, di qualsiasi dimensione, e addirittura gli esseri umani li tenevano come animali di compagnia, come fosse la cosa più normale del mondo. Non fece in tempo a completare il pensiero che il drago delle stalle fece la sua comparsa: era grosso più o meno come un cagnolino tracagnotto, e arrivò con la lingua serpeggiante ad ispezionarla; la sera prima lo aveva visto cacciare dei topi nelle vicinanze del sacco della biada, e ora pareva amichevole.

«Ehy, ciao» sorrise appena, allungando una mano perché potesse annusargliela. Il drago non si scompose, ignorandola del tutto, e se ne andò, sbattendo le ali e sollevando un gran polverone mentre si appollaiava su una trave di un cubicolo vuoto; Sue fece una smorfia, mandandolo a quel paese, e tirò fuori dal cumulo di paglia su cui aveva dormito la propria borsa: l'aveva ficcata lì nella speranza che ladri o mendicanti non la prendessero di mira, nonostante lei fosse praticamente nullatenente. Tirò fuori la spazzola e si pettinò, togliendosi dai capelli blu ogni traccia di fieno; dopodiché si alzò, con la borsa in spalla, e si diresse al pozzo del villaggio, praticamente di fronte alla locanda nelle cui stalle aveva trovato rifugio per la notte.

Il villaggio non aveva un nome, per lei: era solo uno dei tanti villaggi in cui si era fermata per fare rifornimento di danaro, dal momento che non aveva soldi né oggetti da vendere – al di fuori della sua spazzola, che però era un caro ricordo. Nessuno voleva avere a che fare con lei, perché non era umana: Sue aveva infatti capelli blu, occhi viola, e tratti che potevano sembrare esotici rispetto a quelli degli umani del Regno di Mame. Per questo la ragazza aveva escogitato la propria routine: alzarsi all'alba per evitare qualsiasi contatto umano non necessario, che l'avrebbe certamente quantomeno additata o addirittura linciata, in alcuni villaggi del sud. Il villaggio era perciò in lento movimento: qualche massaia stava svuotando i pitali in strada dalla porta di casa, senza prestarle attenzione; un paio di commercianti stavano aprendo bottega spazzando i patii di legno che ne costituivano l'entrata; i bambini, quelli che Sue più temeva, non erano ancora svegli.

Prelevò un secchio d'acqua, con enorme fatica visto che il giorno prima non aveva mangiato, e quello prima ancora il suo unico pasto era stato una mela; si sciacquò il viso e si lavò alla meglio sotto i vestiti, che però erano così laceri e sporchi che sembravano rubati a qualche cadavere; se pensava che una volta erano stati addirittura nuovi le veniva da ridere, perché a distanza di anni quegli indumenti le andavano piccoli e tutto evocavano tranne le parole "nuovi" o "puliti". La ragazza sospirò e sciacquò anche camicia e pantaloni, nonostante li avesse indosso, per togliere almeno un po' di puzza di sudore: il restare bagnata non la preoccupava, poiché in poche ore ci sarebbe stato un caldo intollerabile.

Sentieri Sconosciuti Vol. I - Soffitti SconosciutiWhere stories live. Discover now