I. Aykir - Primo soffitto: Villa di Perses

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alba del 24 Aeda 684 d.C.

«S

ono un uomo, ormai. E non sono diventato un uomo crudele, né maligno».

«Se fuggirai, lo diventerai».

«Se fuggirò, diventerò solo un uomo libero».

Non riusciva a pensare a nulla se non a quei discorsi, immaginari certo, ma plausibili, che avrebbero avuto luogo di lì a qualche ora. Le sue schiave dormivano ancora, lì nella stanzetta attigua alla sua, da cui veniva ­­un calore spaventoso ed un'umidità odorosa di donne addormentate.

Aykir non era mai stato un grande intenditore d'arte, eppure in quel momento apprezzò che gli architetti saraghi avessero tenuto in mente il caldo che pesava perennemente sugli edifici dello Stato di Saragà, nei deserti stepposi e persino sulle montagne dove si trovava Perses, l'ultima piccola città prima del confine con il Regno Sayn, e sull'altopiano sul quale era appoggiata la Villa in cui viveva. Il modo in cui gli edifici erano decorati da decine e decine di archi era pratico solo per quel motivo, tuttavia, perché nel resto del tempo le tende di seta o lino svolazzavano ovunque.

Gli piacevano gli archi lunghi e sofisticati della Villa di Perses: si sentiva alto ed elegante al solo guardarli, a dispetto del fatto che non fosse poi così alto: si era fatto misurare in altezza pochi mesi prima, e non superava una iarda e sette decimi. Ciò lo frustrava: era un'altezza comune e anzi, per avere la sua età era persino basso.

Fece qualche passo avanti ed indietro, e in quel momento le schiave si svegliarono: si sbrigarono a lavarsi e lo ossequiarono con scuse ed inchini con il naso fino a terra per non essersi alzate prima di lui.

Aveva evitato di far rumore proprio per non essere infastidito dalle due serve, quindi fece una smorfia e le cacciò via con malagrazia, senza neanche parlare, afferrando quella bionda per un braccio e sbattendola contro la mora, più alta e magra, con durezza: faceva troppo caldo per pensare di vestirsi e, completamente nudo, entrò nella piccola stanza da bagno: come per la propria camera, questo non aveva pareti che non fossero per supportare archi di lucido marmo bianco, e lucide piastrelle di marmo bianco con venature azzurre e cangianti ne coprivano il pavimento. Si mise sul bordo della propria vasca interrata, che profumava di miele come ogni mattina: con i piedi al fresco stava già molto meglio. Non osava immaginare il caldo che avrebbe fatto più avanti nella giornata, se prima dell'alba c'era già afa.

Per ignorare ancora l'urgenza che sentiva battergli a ritmo dissonante nel petto accanto al cuore, decise di osservare il panorama al di là degli archi: a nord poteva vedere i profili dei monti che, ancora scuri, aspettavano la luce del sole ed erano percorsi da decine di uomini e donne che si muovevano come formichine sui loro terrazzamenti, per coltivare qualcosa da quel terreno brullo e riarso. La stessa cosa era ad est, ed Aykir fremette mentre si lasciava scivolare in acqua, osservando il soffitto: il marmo bianco degli archi si fondeva in una specie di decorazione floreale, in foglia d'oro; era alla maniera dei saraghi, popolo raffinato ed elegante, e gli ornamenti dorati si fondevano poi in un fiore al centro della piccola stanzetta rotonda: il soffitto era uguale a quello della sua camera, e Aykir chiuse gli occhi finché un rumore dall'arco che separava la sua camera dalla stanza da bagno non lo riscosse.

Le schiave si affacciarono timorose dalla sua camera; lui ignorò ciò che il loro silenzio voleva lasciar intendere, quell'ansiosa richiesta di assolvere alle proprie mansioni che tutti gli schiavi che Aykir avesse mai conosciuto sembravano provare, e le osservò pigramente nell'acqua: quella mora era poco più alta di lui, con gli occhi dorati, molto diversi da quelli ambrati di Aykir; quella bionda – com'è che si chiamava? Sor? faceva sempre fatica a distinguerle, ma se così fosse stato l'altra doveva chiamarsi Ana – aveva gli occhi rossi e leggermente gonfi, come avesse pianto, e l'anellino al suo mignolo gli testimoniava invece che era l'odalisca di un qualche insegnante. Alle volte, Aykir si dilettava a tirare ad indovinare quale tipo di schiave ogni suo maestro preferisse; era quasi certo che il maestro Trevor, ad esempio, le preferisse non più troppo giovani e in carne... come Sor, insomma. Quanti anni poteva avere, lei? Quindici, proprio a voler essere gentili: in pieno fiore degli anni, età ideale delle donne per concepire figli, ma ormai tardi perché si sposassero. Ana invece sembrava più grande ancora, e difatti non era l'odalisca di nessuno: i suoi modi erano sempre gentili, certo, ma aveva un che di freddo nonostante la pelle e i capelli del colore caldo della sabbia scura.

Sentieri Sconosciuti Vol. I - Soffitti SconosciutiWhere stories live. Discover now