Guardai la mia cioccolata che ormai aveva una consistenza liquida, profumava. Mi sentivo sola e persa, mi mancava il campo; a quest'ora ero nel mio letto, addormentata, ma al sicuro. La sera prima avrei cantato delle stupide canzoni sui miti greci assieme a quella che era la mia famiglia, seduti attorno al fuoco, arrostendo marshmallow. Poi, prima di andare a dormire, avrei fatto una passeggiata con Percy fino al laghetto delle canoe, facendo progetti, voleva ritornare a Roma, visitarla senza imbattersi in nessun Gigante.

Poi ci saremmo baciati.

Il mio cervello riprese a correre e mi ricordai di Leo, dovevo chiamarlo.

Apro lo zaino, sposto il tablet e i libri che mi ero portata per passare il tempo, e lo afferrai.

Schiacciai il tasto centrale ma lo schermo continuava a rimanere spento. Provai ad accenderlo, ma non dava segni di vita.

Forse era meglio così, pensai. Atena voleva ricordarmi che avevo sempre qualcuno alle spalle che cercava la stessa cosa che volevo io e che una chiamata non avrebbe fatto altro che rivelare la mia posizione.

La bevvi, la cioccolata, e mi bruciò la lingua.

Non potevo usare i bagni del bar, se fosse entrato qualcuno mi avrebbero preso per pazza. Fuori, l'aria gelida si fece largo fino ai miei polmoni, gelandomi il corpo. Scorgevo una fontana in una piazza in fondo alla via che avevo davanti, ma davo troppo nell'occhio. Poi lessi la scritta UNDERGROUND.

Era perfetto, c'era abbastanza rumore da coprire la mia voce, inoltre nessuno usava i bagni della metropolitana.

Forse a New York.

In quella cittadina, i servizi della metropolitana profumavano di limone.

- È un bel problema – mi dissi. – Ma ormai sei qui, quindi fai in fretta.

Mi tastai la tasca della felpa di Percy e per poco non urlai. Non c'era.

La dracma era sparita nel nulla.

Non potevo averla persa perché sopra avevo sempre indossato il giubbotto. Qualcosa non andava, e sentivo sempre di più il bisogno di sentire la voce di Leo nelle mie orecchie.

Uscii dal bagno e non so perché, ma salii sul primo treno che arrivò. La mia carrozza non era particolarmente affollata, ma potevo scorgere attraverso i vetri che le altre trasportavano uomini e donne in abito da lavoro. Accanto a me si sedette un uomo anziano, avrà avuto ottant'anni. Mi guardò e io ricambiai con un sorriso, lui fece lo stesso. Indossava uno strano cappello, come quello di Sherlock Holmes, e a quel punto della giornata mi venne quasi da ridere.

Il treno fermò e riprese dopo alcuni secondi. Salii una donna con un piccolo barboncino che incominciò ad abbaiare e ad attorcigliarsi attorno al guinzaglio.

- Che fastidio questi mostriciattoli – borbottò il vecchietto.

Io non seppi cosa dire, ma lui continuò da solo.

- Non ho mai amato gli animali di piccola taglia. Non servono a nulla e ora la gente ha anche la mania di metterli nelle borse, che schifo! Non sei d'accordo con me?

Arrivammo ad un'altra fermata.

- Ehm... si certo – replicai.

- Oh, una giovane ragazza che la pensa come me! – ridacchiò fra sé. – L'ho sempre detto io, i mostri più grandi sono quelli che ti danno più soddisfazioni!

Qualcosa di grande scese le scale e si catapultò dentro la carrozza. Tutti si misero ad urlare, il treno riprese a muoversi a fatica, il vecchio era scomparso e il barboncino si era nascosto dietro le gambe della padrona.

Crossover Challenge (C.C. Prove Contest)Where stories live. Discover now