CAPITOLO 18

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“Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato, in Africa e in Italia! Camicie nere della rivoluzione! Italiani e italiane in patria e nel mondo! Ascoltate! Con le decisioni che fra pochi istanti conoscerete e che furono acclamate dal Gran Consiglio del fascismo, un grande evento si compie: viene suggellato il destino dell’Etiopia, oggi 9 maggio, quattordicesimo anno dell’era fascista.

Tutti i nodi furono tagliati dalla nostra spada lucente e la vittoria africana resta nella storia della patria, integra e pura, come i legionari caduti e superstiti la sognavano e la volevano. L’Italia ha finalmente il suo impero. Impero fascista, perché porta i segni indistruttibili della volontà e della potenza del Littorio romano, perché questa è la meta verso la quale durante quattordici anni furono sollecitate le energie prorompenti e disciplinate delle giovani, gagliarde generazioni italiane. Impero di pace, perché l’Italia vuole la pace per sé e per tutti e si decide alla guerra soltanto quando ci è forzata da imperiose, incoercibili necessità di vita. Impero di civiltà e di umanità per tutte le popolazioni dell’Etiopia.

Questo è nella tradizione di Roma, che, dopo aver vinto, associava i popoli al suo destino. Ecco la legge, o italiani, che chiude un periodo della nostra storia e ne apre un altro come un immenso varco aperto su tutte le possibilità del futuro: primo, i territori e le genti che appartenevano all’impero di Etiopia sono posti sotto la sovranità piena e intera del Regno d’Italia. Secondo, il titolo di imperatore d’Etiopia viene assunto per sé e per i suoi successori dal re d’Italia. Ufficiali! Sottufficiali! Gregari di tutte le Forze Armate dello Stato in Africa e in Italia! Camicie nere! Italiani e italiane! Il popolo italiano ha creato col sangue l’impero. Lo feconderà col suo lavoro e lo difenderà contro chiunque con le sue armi. In questa certezza suprema, levate in alto, o legionari, le insegne, il ferro e i cuori, a salutare, dopo quindici secoli, la riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma. Ne sarete voi degni?"

La folla si profuse in un grido di assenso.

La signora Montecervo spense bruscamente la radio. "Il popolo italiano difenderà chiunque...vecchio megalomane"sbottò rivolta all'apparecchio come se fosse  Mussolini "Mi chiedo se è davvero convinto dalle sue parole, il popolo ci crede ciecamente, mica si accorge di quello che le Camicie nere hanno fatto e continuano a fare, non si accorgono che le persone che sono anche solo sospette di andare contro il regime spariscono da un giorno all'altro e talvolta i loro cadaveri vengono rivenuti ormai in stato di decomposizione, o addirittura torturati, mutilati forse anche solo per sadico piacere, per delirio di onnipotenza!"
Rebecca fissò la donna con espressione sconvolta, nauseata."Come lo sai?" le chiese.
"Ragazza mia, bisogna essere ciechi per non vedere la realtà! Già nel '24, con l'assassinio di Matteotti si capì chi comandava ormai, fu una delle vittime più illustri del fascismo ma non l'unica. Sapeva cosa stava facendo quando osò denunciare le illegalità e le violenze che il partito  fascista  aveva commesso per arrivare al potere. Aveva firmato la sua condanna a morte, ne era consapevole e con lui tanti altri. Disse che potevano ucciderlo ma che non avrebbero ucciso l'idea che era in lui, ora non credo più che avesse ragione, lo dimostrano gli applausi con cui la folla ha acclamato Mussolini, ormai il regime comanda anche la coscienza degli uomini"
"Io credo"disse Rebecca "che finché ci sarà chi penserà con la propria testa, chi avrà il coraggio di opporsi Matteotti avrà ragione" .

La ragazza, tuttavia andò a letto turbata; le parole della signora Montecervo le rimbombavano nella testa facendole crescere un senso di inquietudine che la tenne sveglia per tutta la notte.
Quando fu ora di alzarsi, la ragazza, con due cerchi scuri intorno agli occhi si recò nella sala da colazione, dove la signora Montecervo era già seduta anche lei con l'aria di aver passato la notte in bianco. "Signorina Grimaldi"la chiamò il maggiordomo
"Ditemi, signor Abboni"
"È arrivata una lettera per voi" disse l'uomo porgendogliela su un piatto d'argento. Rebecca riconobbe la calligrafia di Blanca e strappò la busta estraendo il foglio. Era una lettera insolitamente breve, persino per la sorella che certamente non era un'amante di carta e penna.
La signora Montecervo osservò la ragazza mentre leggeva e vide il suo volto farsi sempre più triste e i suoi occhi stringersi in un moto di ira. Accartocciò la lettera e, con voce atona  disse"Avevi ragione tu, Cristina, non mi dovevo intromettere!"

Il mondo che resta Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon