Capitolo 4:

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La tristezza durerà per sempre.

Cit. Vincent Van Gogh

"Sembra che possa avere qualunque cosa da quel vecchio... Mi piace" pensava il militare. Curiosa la sua carriera. Curiosa la sua storia. Ma tutte le storie nel loro piccolo sanno essere estremamente curiose; magari racchiuse nella mente di chi le vive, tra le carezze dei parenti e la dolorosa felicità dell'amore; o magari erranti sul filo, che tiene sospeso il respiro e fa sussurrare: Bella la vita.
Entrò nell'ufficio un altro carabiniere, più vecchio. Guardò il collega immerso nel mare della mente e gli chiese: - A che pensi? -. Colto all'improvviso sbatté più volte le palpebre prima di rispondere, alzando le soppracciglia.
- No, niente -.
- Sicuro? Sai che ormai ti conosco... -.
- Non ti sfugge niente di me, eh? -.
- Dai, racconta -. Si sedette davanti al giovane.
- Un tizio mi ha chiesto di trovare per lui una persona -. Fu guardato un po' storto.
- In che senso? -.
- Cioè dovrei trovare suo figlio -.
- Ma perché vuole "trovarlo"? -.
- Dice che è per riunire la famiglia. Cazzate, so che ci sarà qualcosa sotto -.
- E tu vuoi aiutarlo? -.
- È un riccone. Ha detto che mi può dare tutto ciò che io desidero -.
- Se la tua morale non te lo impedisce, fallo -. Servì insieme al tono di sfida, un sorriso provocatorio.
- Lo sai fin dove si spinge la mia morale, Zambonin -.


Giulio si trovava a giocare a biliardo. Era parecchio in gamba. Si divertiva a scommettere coi novellini vanitosi, facendo apposta a sbagliare i primi tiri, per poi umiliarli. La grazia con cui sapeva colpire sempre le bocce giuste era incredibile. Quel giorno, sfidò un ventenne narcisista di nome Carlo. Capelli lunghi castani, sopracciglia grosse, occhi azzurri e baffetti alla Chaplin. 200 euro in palio. Neanche a dubitarne, finirono nelle tasche di Giulio. Al termine del pomeriggio di gioco, ritornò a casa.
Dopo mezz'ora circa dal suo ritorno, suonarono al campanello. Era il carabiniere.
Fu accompagnato dal maggiordomo da Giulio.
- Signor Clark, buona giornata -.
- Ma buona giornata anche te. Carlo, porta il limoncello -.



- Ascolta, Elisa, riguardo ieri... Io... -.
- Sì? - gli occhi si ofuscarono.
- Ecco, volevo dirti che... Io non provo per te quello che tu provi per me -. La migliore amica abbassò lo sguardo e cominciò a pingere. Allora Amanda cercò di confortarla con un abbraccio, ma fu respinta ed Elisa se ne andò.
Il freddo fuori non può essere neanche comparato col freddo che azzanna le arterie e raschia le vene; e Amanda, che indocile si dimostrava, aveva freddo. A cosa serviva che lei fosse forte? Doveva dimostrare a qualcuno che lo era? Forse a se stessa. Forse era proprio il suo ego a sfamarsi delle utopie di grandezza. Quando fu tra muri di casa, si mise davanti alla specchio. Guardò i suoi occhi. I contorni velati dai gentili riflessi biancastri della luce, parlavano di solitudine. Sussuravano: "Non c'è nessuno, Amanda. Nessuno". E lei si chiedeva se fosse così. Se fosse realmente sola. Viveva con due persone che non erano legate a lei, si sentiva come un animale cresciuto in cattività; puoi sfamarlo quanto vuoi, ma la sua idealistica realtà non svanirà mai. Mai. Poi le venne un idea: "Parlerò direttamente con mia madre e mio padre, voglio conoscere chi mi ha concepita". Andò in cucina, dove c'era sua madre.
- Ascolta, io vorrei sapere chi sono i miei veri genitori -. Il tono non era affatto calmo, cercava di contenere il mostro che la lacerava. Ne usciva un tono tra l'abbattuto e l'accusatorio. La donna sospirò. Capiva che non era uno scherzo e che doveva dire tutto. Il bagliore della gioia si nascose.
- Vado a chiamare pap... No, vado a chiamare mio marito -. Il suo tono di voce era invece colmo di tristezza e consapevolezza. Dopotutto, prima o poi, doveva venirlo a sapere.
Ritornarono nella stanza con la pelle pallida e lo sguardo grigio. Lei aspettava che cominciassero. Stava per arrivare la puntura. Era pronta. Dovevano solo inniettarle il veleno per cui lei non era stata preparata prima: la cruda realtà.

Amanda.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora