1 / Una ferita in suppurazione

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Un accampamento poco lontano da Granada, Spagna, 23 dicembre 1492.





Una spirale di fumo giallastro si alzò pigra verso il soffitto della tenda. La stoffa ne era ormai pregna, e l'aroma esotico era persino riuscito a nascondere il costante e acre tanfo di sudore che permeava il campo.

«Mi fate schifo.»

Isabella strizzò le palpebre gonfie in direzione del marito, inginocchiato a pochi metri da lei. «Non essere incivile come tuo solito, Ferdinando» mormorò calma, restituendo il tubo del narghilè al vecchio moro dal volto grinzoso. «Non dovresti essere impegnato ad assediare Granada?»

«Vi disturba che io sia tornato senza prima avvisarvi?»

Isabella allungò le gambe rimaste per troppo tempo accavallate sul tappeto; già avvertiva i nodi del suo spirito travagliato sciogliersi dolcemente sotto la pelle dopo un paio di boccate. Era un'impressione consolante, quella di poter sfuggire alle miserie terrene solamente aspirando vapori, e nulla, nelle Sacre Scritture, le avrebbe vietato di farne uso. «Credi forse che ti stia nascondendo qualcosa, Ferdinando?» Abbassò di nuovo gli occhi sul marito e lo scrutò sprezzante, immaginando di sedere sul trono poco lontano. «Quanto sei sciocco.»

Mentre lo insultava, Isabella si domandò per l'ennesima volta come avesse potuto sposare una simile larva di sua spontanea volontà. Non vi erano padri esigenti da incolpare, né matrimoni combinati a cui imputare l'errore: Isabella si era rovinata con le sue stesse mani.

Era forse questo ad atterrirla più di ogni altra cosa: l'aver scelto un uomo come Ferdinando malgrado le miriadi di alternative che le erano balenate davanti agli occhi.

Ma perché darsi in moglie al re del Portogallo quando puoi maritare tuo cugino? A diciassette anni, promettere il suo eterno amore a Ferdinando le era parsa la decisione più giusta che avesse mai potuto prendere, e Isabella rideva ancora al ricordo dei folli pomeriggi trascorsi a fantasticare sulla futura vita matrimoniale.

Ma più di tutto la divertiva sovrapporre, con un piccolo sforzo della memoria, l'immagine del Ferdinando del passato a quella, avvilente, che ora si trovava di fronte a lei.

Non si poteva certo dire che il tempo fosse stato inclemente con Ferdinando: bello non lo era mai stato, e gli anni avevano trovato ben poco da peggiorare ulteriormente.

Gli occhi, d'un indefinito color nocciola, parevano essersi velati di un rancore vivo, concreto, come se le responsabilità dell'intera campagna contro i Mori gli fossero cadute a tradimento sulle spalle. La mascella contratta e le mani chiuse a pugno sembravano confermare in pieno il presentimento di Isabella, ma lei continuò imperterrita ad osservarlo, senza osare distruggere il silenzio.

I capelli, unti come d'abitudine, erano divenuti così lunghi da coprirgli l'intera fronte, e schizzi di sangue secco costellavano il mento mal rasato, premuto contro la gorgiera d'acciaio. Non c'era nulla nei suoi lineamenti che potesse rispecchiarne la nobiltà del sangue o il rango reale, ed Isabella era sicura che se solo non avesse indossato quegli stupidi abiti con lo stemma aragonese sarebbe stato facilmente scambiato per uno dei poveracci che affollavano le strade del regno.

Quante volte aveva studiato il suo volto sperando di trovarvi qualcosa di buono – non di bello, di buono –, qualcosa che potesse sollevarlo al di sopra della mediocrità del popolo. E quante volte Isabella ci aveva rinunciato, continuando ossessiva a domandarsi se fosse davvero stata la sua attitudine ad infliggersi castighi ad unirla a un individuo del genere.

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