Follia.Capitolo 21.

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ARON

Affacciato alla finestra respiro un pò d'aria fresca. È da troppo tempo che non metto piede fuori casa e sentire l'aria gelida del mattino sfiorarmi la pelle nuda è quasi un sollievo.

Respiro a pieni polmoni mentre rifletto.
Casa mia o la prigione? Cosa è meglio? Mi sono fatto questa domanda troppe volte ormai.
È passata una settimana dal litigio con mia madre e da allora non è cambiato nulla.
Mio padre continua a non farsi vedere, ieri notte però sono stato io ad aprirgli la porta, lui non mi ha degnato neanche di uno sguardo, figuriamoci di un saluto.
Mia madre mi parla un pò di più ora, ma non facciamo grandi discorsi.
Me ne sto qui in camera mia per gran parte della giornata. A leggere, a tormentarmi e ad annoiarmi.
Passo le giornate in totale agonia, come se fossi in una cella, ma non una normale, una di isolamento. Non ho nessun contatto con il mondo esterno, e quelli che ho con mia madre preferirei non averli.

Sento che sto impazzendo.
Ho sentito altre volte il telefono squillare e mia madre urlargli contro.
Alla fine ha deciso di staccare tutto, proprio come aveva promesso di fare. Niente più telefono. Niente più Jack.

Ma posso anche dire che è colpa mia se l'ha dovuto staccare. Tre giorni fa, me ne stavo in camera mia, come sempre. Riflettevo su quale libro leggere, esaminavo ciò che rimaneva nella mia piccola libreria, ben poco.
In tutti questi giorni, da quando sono arrivato, non ho fatto altro che leggere, un pò per noia e un pò per fuggire dalla mia grigia vita e cercare rifugio in un altro mondo. Avevo finito tutti i libri più interessanti e ciò che rimaneva era solo qualche fumetto di quand'ero ragazzino e un libro di Mormon, decisi che era meglio lasciarli lì a far polvere.
Così ho deciso di uscire miracolosamente dalla mia stanza per andare a rovistare nella libreria di mia madre.
Mentre scartavo grossi tomi dal carattere religioso e cercavo qualcosa di veramente interessante, sentii il telefono squillare. Mi guardai attorno, e dalla finestra vidi mia madre impegnata con il bucato, in giardino. Sembrava non udire il telefono. Così ne approfittai, per quanto ne sapevo, poteva essere chiunque ma dentro di me speravo fosse lui.
C'era una domanda che dal giorno della disscussione con mia madre continuava a martellarmi in testa :"Era vera la faccenda della scommessa?". Non potevo chiederlo di nuovo a mia madre, probabilmente mi avrebbe dato un altro schiaffo, e poi mi ha giá risposto, il giorno del litigio ha detto "Non lo so e non mi interessa." quest'affermazione non ha fatto altro che tormentarmi. Quale era veramente la risposta?
Questa era la mia occasione per scoprirlo.
Mi avvicinai con passo felpato verso il telefono, che sembrava essere lontano un miglio mentre dentro di me pregavo affinchè non smettesse di squillare. Quando finalmente arrivai davanti al telefono sentii la porta del retro chiudersi e i passi di mia madre battere sul pavimento velocemente.
Non c'era più tempo. D'impulso, decisi di prendere il telefono e rispondere.
-Jack!- dissi senza assicurarmi che fosse effettivamente lui.

In quello stesso momento in cui udii -Aron, sei tu?- mia madre si gettò su di me e mi strappò il telefono dalle mani.
Era lui. L'ho sentito, era la sua voce.
Solo il fatto di aver sentito la sua voce mi mandò in estasi ma allo stesso tempo ero angosciato. Tremavo e mi sentivo mancare l'aria mentre guardavo con occhi spalancati e increduli mia madre staccare la presa e portare via il telefono.
Volevo dire "no, non farlo!" o "ti prego lasciami parlare con lui!" ma dentro di me sapevo che sarebbe stato inutile e mi sono arreso. Sono rimasto lì immobile. Il tempo sembrava essersi fermato per un istante, così come il mio cuore.

Sono passati tre giorni e ho cercato di dimenticare quella faccenda. Ma non ci riesco, o forse non voglio.
La sua voce, mi mancava così tanto, non posso dimenticarla.
Da quel momento sento la sua voce ogni notte.
Sono in una stanza buia, riesco a vedere solo l'oscuritá, ovvero il nulla.
C'è silenzio in quella stanza, posso sentire solo il mio respiro affannato dalla paura. A rompere quel silenzio inquietante è la voce di Jack. Pronuncia il mio nome nello stesso modo in cui l'ho sentito al telefono. Mi chiama di continuo, io provo a rispondere ma la mia voce non lo raggiunge. Continua a chiamarmi sempre più forte. Da sussurri i suoi richiami si trasformano in urla disperate. Il silenzio di prima svanisce, mi porto le mani alle orecchie, il suo richiamo è diventato assordante. Cerco ancora di risponderlo ma stavolta non riesco a parlare, non esce un filo di voce, cerco di urlare ma niente. Cala di nuovo il silenzio, ma è un silenzio sordo, solo apparente. Io continuo a urlare a vuoto con le mani tra i capelli. Le pareti oscure si frantumano come vetro fino a spezzarsi. E nel momento in cui il soffitto di vetro sembra cadermi in testa, finisce tutto.
È a quel punto che mi sveglio sempre, madido di sudore, ansimando e con un mal di testa inspiegabile.

Ho fatto lo stesso sogno anche stanotte. Per questo ora sono nudo di fronte alla finestra spalancata. Lascio che l'aria gelida mi investa completamente: mi fa sentire libero.

Poi mi guardo allo specchio. Nudo, sudato e allo stesso tempo gelido.
"Ma cosa sto facendo?"
Credo di avere la febbre.

È dal giorno in cui ho sentito la voce di Jack che ho perso il lume della ragione.
Non ho toccato cibo da quel momento. Mi sento debole, ma non mi importa.
Non riesco più a ragionare lucidamente, sará per la fame, oppure per la depressione che sembra essere entrata prepotentemente dentro di me come un parassita.

Rimango tutto il giorno a letto ad agonizzare. Se resto sveglio, Jack mi tormenta, se mi addormento succede lo stesso. Non vedo via di scampo.

Mia madre vuole prendere provvedimenti. Ha notato il mio strano atteggiamento e dice di volermi mandare da uno strizzacervelli, penso abbia preso un appuntamento per oggi stesso.
Quando me l'ha detto ho preso la mia tanto amata libreria e gliel'ho lanciata contro. La porta che ha usato come scudo l'ha protetta, ma ha avuto troppa paura per farsi rivedere.

Chiudo la finestra tenendo gli occhi fissi sui monti innevati in lontananza.
Mi ricordo quanto ero felice quando andavo con i miei genitori in escursione lassù.
Quella bellissima visione diventa sempre più sbiadita per via delle lacrime, che cominciano a bagnare il mio viso.

E poi è arrivato. L'impulso che cercavo da giorni è finalmente arrivato.
Evito i libri e la libreria ancora a terra e esco per andare in bagno.

Mi guardo ancora allo specchio. Occhiaie scavate, il volto rigato dalle lacrime, i capelli scompigliati. Ho davvero l'aspetto degno di un pazzo.

Tremo mentre preparo tutto il necessario.

Quando finalmente arriva il momento, stringo forte i denti.
L'unica cosa che sento è la lametta fredda a contatto con la pelle.
E poi eccolo, il dolore, fluire insieme al sangue.

Continuo fino a quando le forze non mi abbandonano totalmente.

L'ultima cosa che riesco a vedere e la luce fioca che filtra dalla finestra.

Sorrido, almeno nella mia mente, visto che ormai il mio corpo non risponde più, e penso "finalmente è finita.".





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