Capitolo settimo

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Tempo qualche giorno e la notizia delle prodezze del capitano Irving si diffuse per tutto il Derbyshire. Qualche altro giorno ancora e arrivò fino al Kent, per l'esattezza a Rosings.

Nei racconti che passavano di bocca in bocca il ladro aveva assunto le fattezze di un uomo vigoroso, quasi un gigante. Ed il combattimento di Irving era diventato un vero e proprio duello all'ultimo sangue. Quanto all'inseguimento si era creata la leggenda della contea: il signore di Pemberley che inseguiva e metteva in fuga il ladro che aveva osato entrare nei suoi possedimenti.

In realtà il ladro non era stato catturato. Però poco importava: il capitano Irving si era guardato dal rivelare a chiunque la storia dell'anello. Aveva raccontato che il forestiero era stato assoldato per ucciderlo, il che in fondo era vero. Così egli divenne una specie di eroe di guerra: vivo per miracolo.

Elizabeth e Darcy temevano il momento in cui lady Catherine sarebbe piombata a Pemberley ad accertarsi di persona che l'adorata nipote stesse bene; ma almeno si sarebbe congratulata col capitano per l'eroico gesto di salvataggio, degno di un membro della cavalleria di sua Maestà.

Fortuna volle che l'increscioso episodio di Giorgiana portata in braccio da Irving sul cavallo fosse ben presto messo a tacere, complice l'imbarazzo della famiglia Darcy. Anche il capitano non avrebbe mai aperto bocca.

Lady Catherine per il momento si limitò a spedire il signor Collins a Pemberley per un sopralluogo, senza darne preavviso alcuno. Il giorno dell'arrivo del prevosto lei ed il marito erano ancora occupati con la colazione; ebbero appena il tempo di scambiarsi poche parole prima di venire interrotti dallo sferragliare delle ruote della carrozza sulla ghiaia della corte. Fu un'autentica sorpresa: né lei, né Darcy lo aspettavano. E per giunta in un'ora così mattutina.

Darcy si stava informando sulla condizione di salute della sorella. "Come sta Giorgiana?"

"Non bene, sono preoccupata. Credo che si ristabilirà quando il capitano Irving lascerà la nostra dimora; l'imbarazzo di cui è vittima sarà allora attenuato dalla lontananza di colui che ne è stato la causa" rispose Elizabeth.

"Dio mio, come è mai potuto succedere che quel ladro s'infilasse in casa mia!?" ruggì Darcy carico d'odio per quello sconosciuto che aveva osato intrufolarsi nella villa. "E cercare di uccidere un capitano della cavalleria di sua Maestà! Che cosa credeva?! Di riuscire a farla franca!?". 

Ogni volta che affrontava l'argomento Darcy si adirava. Ciò che più gli stringeva il cuore era che Giorgiana versasse in condizioni pietose: distesa a letto, tra la veglia e il sonno, era diventata apatica. Il dottore aveva diagnosticato una crisi post-traumatica. Aveva ordinato riposo, tanto sole  -peccato si fosse quasi a Novembre, - buon cibo e frutta fresca.

"Fitzwilliam, lo sai bene che non dipende da te che le cose si siano svolte in quel modo..." suggerì Elizabeth, coprendo la mano del marito con la sua in un gesto di tenerezza. "Non è colpa tua se hai invitato a casa un uomo che qualcuno ha tentato di uccidere. La colpa è di colui che si è addossato il tentato omicidio".

"Ma in casa mia! Ti rendi conto?" tuonò Darcy. "Se solo fossi stato presente! Avrei potuto fare qualcosa di più" disse amaramente.

"Col senno di poi è facile dire che cosa si sarebbe potuto fare. Sono sicura che il capitano Irving sa perché ha ricevuto la visita di quel tale. Gli hai chiesto spiegazioni?"

"Sì, naturalmente, appena si è svegliato dal sonno in cui era piombato, di ritorno dalla disperata cavalcata. Mi ha assicurato che cadeva dalle nuvole. Buio totale. Non sapeva nulla, né riusciva a immaginarsi il motivo che potesse spingere un estraneo ad entrare nella sua stanza per ucciderlo".

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