Capitolo 2.

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Capitolo 2.


I soldati impiegarono il giorno successivo per prepararsi alla battaglia che li avrebbe attesi di lì a poche ore, ma prima di partire alla volta di Mantinea un annuncio di Agamennone agitò le acque.
"Cosa vuol dire che vuole solo dieci uomini per ogni esercito? Decide anche chi devo portare in battaglia?!" tuonò Achille, velenoso, tanto da far tremare il messo che Agamennone gli aveva mandato.
I soldati si mostrarono sorpresi, erano venuti lì per combattere, non per starsene con le mani in mano, altrimenti sarebbero tornati a casa.
I sovrani decisero di incontrare nuovamente il re dei Re, per capire il motivo di quella scelta così rischiosa.
"Oh signori, non crederete necessario stancare gli uomini con ore di cammino, quando per uccidere quei rozzi Ittiti ce ne vogliono la metà!" aveva detto con leggerezza Agamennone, seduto comodamente sul suo trono, agitando un mano per aria.
Nessuno dei presenti aveva il coraggio di contraddirlo.
"Io dico che è da folli! Vuoi andare a morire?!"
...nessuno eccetto Achille.
Il figlio di Atreo alzò gli occhi al cielo, si aspettava che Achille non riuscisse a tener chiusa quella sua maledetta boccaccia.
"Ed io che credevo che il grande Achille non avesse paura nemmeno di combattere da solo contro mille uomini...!" lo beffeggiò Agamennone, colpendolo nel vivo.
Gli occhi azzurri del ragazzo diventarono più scuri, ridotti a fessure.
"Ed è così infatti, ma non credere che salverò i tuoi soldati da una morte certa. Fa come credi, sciocco"
Il volto del re si arrossò per la rabbia, mentre Achille usciva dalla sala.
L'unico motivo per cui non aveva dato una lezione a quel bruto figlio di Peleo era il fatto che gli servisse per vincere le battaglie, ma la sua pazienza aveva un limite, e presto Achille avrebbe pagato cari i suoi affronti.
Il momento di mettersi in marcia era arrivato, e circa un'ottantina di uomini greci stava raggiungendo Mantinea con Agamennone che li guidava dal cocchio insieme a Nestore.
Giunti alle porte della città, quando ormai le prime stelle trapuntavano il cielo, ebbero una spiacevole sorpresa.
Gli Ittiti, che probabilmente si aspettavano un imminente attacco, li accolsero una pioggia di frecce che ferì molti uomini.
"Ecco che il pazzo sconta la sua folle scelta" bofonchiò Achille, estraendo la spada ed avanzando nella mischia.
I suoi colpi erano fatali per chiunque ma – per quanti soldati nemici riuscisse a far cadere – vedeva intorno a sé gli altri greci soccombere alla furia ittita.
Avevano sottovalutato il nemico, immaginandolo come un povero popolo di agricoltori dalla precaria organizzazione, ed ora ne stavano pagando le conseguenze.
Gli Dei quella sera non erano dalla loro parte.
Un altro colpo di spada di Achille mozzò la testa ad un soldato ittita, che cadde ai suoi piedi.
Lo osservò col fiatone mentre, con gli occhi spalancati, il suo avversario fissava il vuoto ormai privo di vita.

"Di notte vedo le loro facce... Di tutti quelli che ho ucciso. Se ne stanno lì, sulla riva opposta del fiume Stige. Aspettano me. Dicono: "Benvenuto, fratello". L'uomo è ben misera cosa!"

"Agamennone! Dobbiamo tornare indietro, sono troppi per noi e abbiamo già perso molti soldati!" aveva urlato Ulisse nella confusione generale.
Il vecchio re di Micene se ne stava in disparte senza neanche sprecarsi ad estrarre la spada dal fodero mentre intorno a lui c'era il caos.
Agamennone strinse le labbra, non era così che aveva programmato quello scontro, e non voleva di certo farsi vedere sconfitto dagli altri sovrani.
"Comincia a far tornare verso Sparta gli uomini di Eurialo e Idomeneo. Tu e i tuoi, insieme all'esercito di Teucro, arretrate lentamente"
"Avviserai tu Achille?" gli chiese Nestore, ormai troppo vecchio per combattere. Egli aveva semplicemente messo a disposizione i suoi guerrieri, titubante.
Agamennone fece un mezzo sorriso, con furbizia.
"Lascia che lui e i suoi Mirmidoni si divertano ancora un po'..."
Nel giro di una decina di minuti, durante i quali Achille non si era fermato un attimo ed aveva continuato a colpire con la lama della sua spada chiunque gli si parasse davanti, notò che solo lui e i Mirmidoni si trovavano in prima linea e da soli, per quanto forti, i suoi uomini non potevano contrastare un intero esercito.
Un'espressione furibonda gli si dipinse in viso.
"Patroclo, Eudoro! Indietro, Mirmidoni! Torniamo a Sparta!" urlò, desiderando ardentemente di poter avere la testa di Agamennone a portata di spada.
Affacciata al grande balcone del palazzo di Sparta, Giada osservava sorpresa l'esercito greco fare ritorno alla città con almeno una ventina di uomini in meno.
Possibile che avessero già vinto la battaglia?
A giudicare però dall'espressione nera che aveva suo zio, lo scontro doveva essere andato nel verso sbagliato.
Corse al piano di sotto, mentre i suoi sandali ticchettavano sulle scale del palazzo, e riuscì a placcare Telemaco.
"Telemaco! Cosa è successo, sei ferito?" chiese, preoccupata per l'amico.
Lui abbozzò un sorriso.
"No, sto bene, ma gli Ittiti ci hanno travolto... In più tuo zio ha fatto partire ogni sovrano con la metà degli uomini, siamo dovuti arretrare"
Giada era sconcertata.
Come poteva suo zio essere così stupido, alle volte?!
Vide poi Achille camminare furioso verso la sala del trono, con Ulisse al seguito che provava a calmarlo.
"E lui? Che gli prende?"
"Agamennone ha isolato i Mirmidoni in prima fila dopo aver fatto arretrare il resto dell'esercito, Achille ha rischiato di perdere degli uomini e lo sai, lui è molto legato ai suoi soldati..."
Lo sguardo di Giada, preoccupato, aveva seguito il biondo fin quando non era entrato in sala.
Poteva già sentire delle urla possenti.
Fece per entrare anche lei nella stanza, ma Telemaco la fermò per un braccio.
"Non farlo Giada, le guerre sono per gli uomini"
"Gli uomini combattono le guerre, Telemaco, ma sono le donne a generarle." sussurrò la ragazza, sfuggendo alla sua presa.
"Perché ti scaldi tanto, Achille?! Hai detto tu stesso che saresti capace di lottare da solo contro un intero esercito!"
"Ma non per questo accetto che sia messa a repentaglio la vita dei miei uomini, vile!" urlò il biondo, con ancora addosso l'armatura.
Sul suo corpo scendevano ancora delle goccioline di sudore e le braccia erano macchiate del sangue dei nemici che aveva ucciso.
"Attento a come ti rivolgi a me, Achille! Potrebbe essere l'ultima cosa che farai!"
L'altro accolse la minaccia senza batter ciglio, con la mano già poggiata sull'elsa della spada.
"Fermo, Achille!"
Non estrasse però l'arma, bloccato dalla voce di Giada, appena giunta alle sue spalle.
Gli poggiò una mano sulla spalla come l'altra sera.
"Non fare il suo gioco, vuole solo provocarti" gli bisbigliò all'orecchio, in modo che lo zio non la sentisse.
Achille prese un lungo respiro, poi allentò la presa dall'impugnatura della sua spada, che per quel giorno aveva già stroncato troppe vite.
Agamennone sorrise vittorioso, a quanto pareva sua nipote era un nervo scoperto per il grande guerriero di Ftia.
"Ed ora richiedo di essere lasciato solo, se non vi dispiace" li congedò il re, sedendosi sul suo trono.
Ulisse lanciò un'occhiata ad Achille, come ad accertarsi che si fosse calmato.
"Seguimi, e non ti curar di lui" sussurrò ancora Giada, avviandosi fuori dalla stanza.
Achille scambiò un ultimo sguardo carico d'odio col sovrano di Sparta, e poi uscì a sua volta.
Il biondo seguì la principessa in silenzio, troppo nervoso per parlare, e raggiunse al suo seguito un'ala del castello dove non era mai stato.
"Qui ci sono le mie camere, forza entra" lo invitò, oltrepassando l'ennesimo arco di pietra.
Achille avanzò e lei gli lanciò un'occhiata furtiva, mordicchiandosi il labbro.
Con quell'armatura e tutto sudato riusciva ad essere ancora più bello di quanto non fosse già.
"...non è male"
Finalmente il ragazzo si abbandonò ad un commento, guardandosi intorno.
Giada fece un piccolo sorriso.
La camera aveva al centro un enorme talamo – degno di una principessa – e poco distante una grande tinozza di legno per il bagno. Di fronte al letto vi era uno scrittoio pieno di gioielli e statuaette votive.
Poiché l'arredamento era molto spoglio, l'ambiente risultava ampio e arioso, ricco di luce.
Sul pavimento c'era un bellissimo mosaico dedicato alla dea Atena.
"Ho voluto che ci fosse molto spazio al centro perché mi piace ballare" rivelò lei, avvicinandosi poi al grande baule ai piedi del letto.
Sfilò le cinghie e lo aprì, rivelando una notevole quantità di papiri.
"Leggi molto" constatò il guerriero, fissando la montagna di testi.
"Non c'è nient'altro di meglio da fare qui a Sparta per una principessa"
"Come fai? Come riesci a vivere con quell'uomo senza onore? Fossi al tuo posto me ne sarei già andato" cambiò poi argomento Achille, avvicinandosi al terrazzo che affacciava sulla spiaggia di Sparta.
Giada lo raggiunse, posizionandosi alle sue spalle.
"Pensano che debba provare solo riconoscenza nei suoi confronti, per avermi preso con sé dopo la morte di mio padre. E' un uomo orribile, Achille. Non gli importa nient'altro se non il potere e vuole avere il controllo su tutto... anche su di me. Non mi lascerà andare via finché non mi sposerò" sospirò la ragazza, stringendosi nelle spalle.
Achille le lanciò uno sguardo criptico.
"E che aspetti a farlo?"
Giada si abbandonò ad una mezza risata.
"Per voi uomini è così semplice! L'amore è una cosa seria, Achille. E non voglio sposare un uomo che non amo"
"E chi è che ami?"
Achille stesso ignorò il motivo che lo aveva spinto a fare quella domanda.
Giada abbassò lo sguardo senza però smettere di sorridere debolmente.
"Amo un uomo che probabilmente non mi ama. Ma non sono segreti che una principessa può rivelare ad uno qualunque..."
Pronunciò la seconda frase con un tono provocatorio, sperando di spostare l'attenzione su un altro argomento.
Rivelargli i propri sentimenti non era tra i suoi programmi, non quella sera.
Achille mosse un passo avanti, facendo aderire la schiena di Giada alla parete, rendendo minima la distanza tra loro.
I loro occhi si incontrarono di nuovo, i loro sguardi si sostenevano con ostentata sicurezza.
"Dunque io sarei uno qualunque?" chiese con voce roca Achille, scrutandola.
Giada tremò sotto il suo sguardo ma non lo diede a vedere.
La sua imponente figura la sovrastava ma quella vicinanza non le dispiaceva affatto.
Sorrise, poggiandogli le mani sulle spalle protette dall'armatura.
"Non sarebbe una buona cosa se ti trovassero qui, Achille... al calar della notte, con ancora gli indumenti da guerra addosso, cosparso del sangue dei tuoi nemici, a pochi centimetri di distanza dalla principessa di Sparta..." bisbigliò lei, ben consapevole di apparire provocante.
Achille le rivolse un ultimo sorriso, prima di andar via.
Giada, con un profondo sospiro, si lasciò cadere sul proprio letto.
Per quanto riuscisse ad apparire impavida di fronte a lui, ogni volta che erano soli le sembrava di volare in alto, fino all'Olimpo...

La principessa di Sparta [IN REVISIONE]Where stories live. Discover now