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«Allora, potreste andare a Ponte Milvio oppure a mangiarvi una pizza e poi al cinema. Se no a Parco Leonardo, lì c'è tutto così poi decidete.»

«Scusa e come ci arriviamo a Parco Leonardo?»

Dalia tace come se fossi la quintessenza dell'ingenuità. Mi ha telefonato per comunicarmi questo favoloso appuntamento con uno sconosciuto cui vorrebbe che io non mancassi.

«Ma tu non hai capito quanti anni ha Flavio? La stessa età di Martino, e anche lui ha la macchina!».

«Va bene, va bene, giuro che ci vado, basta che la pianti di stressarmi.»

Flavio è l'amico di Martino che lei vuole affibbiarmi, colui che mi tirerà fuori dalle fitte nebbie della singletudine e, non che abbia mai pensato che potesse essere una buona idea (gli incontri combinati sono quanto di più stupido si possa immaginare: voglio dire, non ce la fa il destino a far incontrare le persone giuste, ma vogliamo pensare di riuscirci noi???), ma quando esco dal portone e me lo trovo davanti capisco che Dalia è pazza. Non matta o strana o eccentrica, proprio pazza furiosa.

Lui è una specie di Capitan America ma più gonfio e vestito da pariolino. Appena mi vede si affretta a raggiungermi. Cammina stile fantino, con le gambe a ferro di cavallo, la vita stretta e la camicia che tira sui pettorali. Non so cosa mi trattiene dal fare dietro front e rientrare, chiudendogli il portone in faccia e tuffandomi nella meditazione per cancellare per sempre quel ricordo, forse l'educazione o la timidezza o il timore che se si arrabbia potrebbe spezzarmi le ossa. O forse non lo faccio per Dalia, so che ci tiene e se me ne andassi così, senza provare a conoscerlo me la menerebbe da qui ai prossimi dieci anni con la storia che sono prevenuta. O forse, semplicemente, mi dispiace. Nonostante le apparenze si comporta in modo gentile. Dice una frase carina sul mio giubbotto, mi sfiora la schiena con la mano e mi apre la portiera della macchina. Un Avenger d'altri tempi.

Alla fine abbiamo scelto una pizzeria a Trastevere e la cosa che mi ha fatto più piacere è che lui non mi ha tolto gli occhi di dosso ed era interessato a quello che pensavo su qualsiasi argomento, ogni due minuti mi chiedeva: "E tu che ne dici?", "A te piace?". Il problema è che non abbiamo praticamente niente in comune.

Lui è un giocatore di rugby. Lo so che fa americano ma è così, gioca nella squadra di rugby della Nomentana da quando ha dieci anni e non ha mai e dico mai letto un libro. Ogni tanto ne sfoglia qualcuno "per la scuola" (sue testuali parole) e Salinger pensava che fosse un aperitivo. Jerome D. Salinger, il più vecchio figo misantropo di tutti i tempi, se fosse per questo Flavio se ne starebbe chiuso dentro un bicchiere alto e oblungo con un ombrellino su un lato.

Cosa potevo fare?

Ho cominciato a fissare il fiume e pensare alle mie cose impossibili.

Tipo:

passare del tempo a parlare dei nove racconti con qualcuno che li conosca;

pregare che quell'immagine che avevo davanti agli occhi ossessivamente, Salinger corrucciato e costretto, tipo action figure, dentro un bicchierino da shot, non continuasse a tormentarmi in eterno;

resistere alla tentazione di prendere a calci un weimaraner che mi fissava con occhi da innamorato deciso a pisciarmi sulle caviglie;

resistere alla tentazione di picchiare il padrone che non lo richiamava a sé;

resistere alla tentazione di picchiare la fidanzata del padrone che l'aveva chiamato Hashtag.

Insomma, non proprio una serata epocale. (E Dalia continua a dire che sono io che sono prevenuta...)

Bi (l'amore non ha una sola faccia)Where stories live. Discover now