L'amore conta

L'amore conta - Capitolo 10

Dopo circa quattro mesi che stavamo insieme, Luca mi chiese di accompagnarlo a fare acquisti: voleva comprarsi un completo nuovo e aveva bisogno del mio consiglio. Io non sapevo quasi nulla di abiti da uomo, camicie e cravatte, ma capivo che voleva rendermi partecipe anche di quell'aspetto, in apparenza marginale, della sua quotidianità.

Per il suo lavoro, Luca si veste sempre in modo formale; per questo motivo ha l'armadio pieno di completi, giacche, pantaloni, camicie e cravatte. Tutti capi di buona fattura e ottimo gusto, che lui indossa con innata disinvoltura. Anche durante il fine settimana, pur senza mettere la cravatta, veste spesso in giacca, magari di tessuti più casual, o spezzata sopra un jeans.

Luca non perde molto tempo per vestirsi; ha le idee chiare su cosa indossare nelle diverse occasioni e sceglie rapidamente gli abbinamenti.

Quel giorno Luca mi portò a Oderzo, in un bel negozio del centro dove non ero mai stata. Si vedeva che era un negozio che lui frequentava abitualmente perché sia il tizio alla cassa, che sembrava essere il padrone, sia il commesso che si fece avanti per accoglierci, lo salutarono cordialmente chiamandolo per nome, e lui ricambiò facendo altrettanto.

Provò prima un completo grigio, poi altre tre o quattro giacche sciolte di colori diversi; per ogni giacca il commesso che lo serviva gli mostrava subito delle camicie e delle cravatte con cui avrebbe potuto completare l'abbinamento. A ogni capo, Luca si girava verso di me e mi chiedeva "ti piace?", "che ne dici?", "come sto?"

In realtà non aveva bisogno del mio consenso perché sapeva benissimo da solo se una cosa gli stava bene addosso o no, o se un colore gli donava, o, ancora, se aveva già a casa una camicia giusta per quella giacca o per quella cravatta. Tuttavia si rivolgeva a me seriamente e aspettava sempre una mia risposta. Anche il commesso dava l'aria di prendermi sul serio e quando Luca si girava per vedere come cadeva una giacca sulla schiena, il ragazzo gli lisciava le spalle e parlando con me diceva "vedi come gli cade bene?", oppure "qui c'è da fare una piccola ripresa, non trovi?"

Insomma, la loro insistenza nel farmi partecipe ebbe la meglio, e alla fine giravo anch'io in piedi attorno a Luca per cercare di vedere se la manica faceva un difetto o se lo spacco dietro tirava un po'.

Mi piaceva soprattutto il gioco degli abbinamenti, perché lì mi sembrava di cavarmela meglio, così mi esprimevo più spontaneamente, dicendo cosa mi piaceva e cosa no.

Alla fine Luca lasciò a me l'ultima parola sulla scelta di due camicie e mi sembrò contento del risultato.

– Allora questa camicia la metto a Natale. – disse tenendo in mano la camicia che avevo appena scelto per lui – Vedrai, piacerà molto anche a mia madre! Tu hai già deciso cosa metterti? – Mi chiese poi a bruciapelo.

Io non solo non avevo assolutamente pensato a cosa avrei indossato di lì a tre settimane, per Natale, ma tanto meno avevo realizzato che per l'occasione avrei conosciuto i suoi genitori.

– Da tua madre? A Natale? – furono le uniche cose che riuscii a dire.

– Beh, sì... a Natale andremo almeno a fare gli auguri a tuo padre e ai miei, no? – rispose lui, fingendo di non notare la mia tensione.

In effetti aveva ragione, pensai. Non mi stava dicendo che avremmo pranzato con famiglie al completo o parenti lontani; mi stava solo preannunciando ciò che era ovvio per qualsiasi coppia: cioè che il giorno di Natale saremmo andati a fare gli auguri ai nostri genitori. Eppure io mi bloccai. Non avevo mai portato nessun ragazzo a casa di mio padre, né lui mi aveva mai chiesto esplicitamente se frequentassi qualcuno. Mi chiedeva solo "come va?", in modo vago, e io, in modo altrettanto vago, rispondevo "tutto bene". Tuttavia pensai che, se proprio dovevo cominciare a spiegare a mio padre cosa stava succedendo nella mia vita, tanto valeva cominciare da Luca, che era la parte migliore.