CAPITOLO 9

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Soltanto una nuova giornata di sole sarebbe riuscita a far scorrere lievemente ciò che era successo la sera precedente.
Emily quel giorno si alzò e uscì molto presto dalla camera, non era riuscita a dormire per quasi tutta la notte. Pensava a Jeremy, a quello che si erano detti quella sera, al fatto che se ne fosse andato veramente per poi non tornare mai più. Ma ciò che più non riusciva a togliersi dalla mente, era la loro discussione riguardo al suo segreto. Più ci pensava, più le riaffioravano i ricordi di quella notte.
Si mise a guardare la sveglia prima di alzarsi per potersi orientare su quante ore fossero passate: erano le sei del mattino. Emily non aveva chiuso occhio per più di otto ore consecutive. Però non si sentiva stanca, bensì appesantita. Come se tutti i problemi che la affliggevano si fossero trasformati in grossi mattoni racchiusi nella sua testa che la rendevano così pesante, da non riuscire a pensare ad altro che a quella notte.
Si diresse verso una piccola stanza del covo, una stanza a cui non aveva fatto molta attenzione. Si fermò per guardarla, aveva un'aria così tranquilla, così calma, che ti sembrava di essere in paradiso solo a guardarla. Emily prese il diario dal suo dormitorio e lo portò con sé, entrò in quella silenziosa stanza e si appoggiò alla prima finestra che si ritrovò di fronte.
Stette seduta lì per quasi tutto il giorno, limitandosi solo sul pensiero di ciò che vedeva fuori da quella finestra: case, uccelli, bambini che giocavano; qualsiasi cosa che avesse il potere di distrarla dai suoi pensieri, la osservava.
A volte si metteva il diario tra le gambe e ne sfogliava qualche pagina per cercare di tornare alla vita reale, ma quando si accorgeva che la vita reale faceva soltanto schifo, si voltava di nuovo verso la finestra ad osservare il resto del mondo da cui era circondata.
Si faceva diverse domande sul suo corpo, sul suo demone. Emily aveva notato che in quei giorni la sua anima era letteralmente cambiata. Ma non si era mai fermata a pensare al comportamento di quel demone che le stava infliggendo il corpo e lo stava distruggendo giorno dopo giorno. Nonostante fosse diventata una persona malvagia dentro, fuori restava sempre la solita Emily, quella coraggiosa ragazza a cui non importava niente della vita.
Passò ore circondata da quei pensieri, da quegli incubi, da quei ricordi che ormai facevano parte di lei.
Il sole cominciava a farsi vedere, risplendeva di più rispetto a quando si era alzata dal letto. Si sentivano le urla dei bambini che salutavano le mamme prima di iniziare il loro lungo cammino che li avrebbe portati a scuola, che ti facevano ricordare quei bei momenti passati durante gli anni dell'infanzia.
Emily non ricordava molto della scuola, ricordava solo che ogni volta che l'insegnante riportava le verifiche scritte in classe, lei era quella che prendeva sempre il voto più basso. Si ricordava persino tutte le infinite prese in giro subite dai compagni di classe dopo la scomparsa di suo padre, le dicevano sempre che non valeva niente e veniva definita "diversa" dal resto del gruppo. Fu per questo che Emily lasciò la scuola all'istante. Non voleva finire come un idiota in mezzo a un cerchio di persone che le urlavano contro "Non vali niente Jonson, non vali niente!" senza alcuna pietà per lei. Emily considerava la solitudine come la sua migliore amica, prima di perdere Jeremy. Dopo quel litigio, il suo cuore sembrava avesse perso un pezzo per la strada, che non riusciva a trovare più. Era così che si sentiva in quel momento: rotta, spezzata, come se le mancasse qualcosa.

Si sentì qualcuno entrare dalla porta della stanza nella quale Emily sembrava avesse passato tutto il tempo della sua vita.
Vide una persona entrare da quella porta come se avesse sentito un rumore strano e fosse andato a vedere cautamente cosa fosse.
Girò la maniglia con lentezza e senza alcuna distrazione, aprì finalmente quella silenziosissima porta. Era Alex. L'unica persona di cui aveva bisogno Emily in quel momento.
Si avvicinò alla ragazza per capire cosa ci facesse là dentro sola e piena di angoscia. Si sedette accanto a lei e dopo aver creato una sorta di pausa tra il suo arrivo alla finestra e l'incontro dei loro sguardi, ebbe il coraggio di parlare:
"Emily che ci fai qui tutta sola?"
"Niente Alex, non preoccuparti. Stavo solo pensando alla mia vita" a Emily brillavano gli occhi.
"Intendi la tua vita prima o dopo l'evocazione di quel demone?" chiese Alex.
Emily a quel punto si fece scappare un leggero ma simpatico sorriso che la rendeva molto più carina e solare. Era da tanto che non sorrideva in quel modo. Nemmeno Jeremy la aveva mai fatta sentire così.
"Smettila, dai!" rispose in tono divertente.
"Non mi hai ancora risposto"
"Intendo la mia vita in generale. In particolare... Beh lo sai, da quando è morto mio padre"
"Quando la smetterai di pensarci Emily? Non vedi che ti fa solo stare male?"
"Non posso Alex!"
"Non puoi o non vuoi?"
"Perché ti interessa tanto?"
"Perché ho promesso che ti avrei aiutato". Alex era certo di quello che aveva intenzione di fare. Non aveva paura delle conseguenze che avrebbe subito. Quando c'era in gioco la vita di Emily, niente per lui aveva importanza se non la ragione di starle vicino e di proteggerla.
"Cosa è successo veramente Emily?"
La ragazza a quel punto si limitò a mostrare uno sguardo sorpreso e irritante allo stesso tempo, come se non si fosse mai aspettata una domanda del genere da Alex.
"Cosa intendi?" replicò quasi con cattiveria.
"Ieri sera per sbaglio, mentre tu e Jeremy litigavate nella camera, sono scivolato lungo il corridoio e per non cadere mi sono aggrappato alla maniglia della tua porta, e per qualche secondo ho avuto la possibilità di sentire parte della vostra conversazione" chiarì Alex mordendosi il labbro per aver detto una bugia.
Fortunatamente Emily non la prese poi così male.
"Cosa sei riuscito a sentire della conversazione?" gli chiese lei con ansia e sperando di non ricevere la risposta che non avrebbe voluto sentire.
"Ti ho sentito parlare di un segreto. Un segreto che a quanto pare nascondi da parecchio tempo. Di che cosa si tratta Emily? Voglio saperlo"
La ragazza a quel punto non volle più trattenersi. Sapeva che continuare a mentire avrebbe solo peggiorato le cose. Alex aveva bisogno della sua fiducia per poterla aiutare fino in fondo. Fece un bel respiro facendo passare bene tutta l'aria nel suo corpo per poi espellerla in velocità.
"D'accordo. Te lo dirò. Ti ricordi quando ti ho parlato della scomparsa di mio padre?"
"Si. Certo che me lo ricordo. È il motivo per cui sei qui"
"Beh... Io... Alex io non ti ho detto tutta la verità" rispose la ragazza con malumore e dispiacere.
"Vuoi dirmi che mi hai mentito?"
"Ho dovuto farlo. Sono stata costretta. Ma se vuoi ascoltare le mie parole, dimmi solo di sì e io ti racconterò il mio segreto"
Alex rispose "Si. Voglio saperlo"
"Molto bene. È successo esattamente cinque anni fa".
"Avevo appena undici anni. Ero una piccola bambina a cui piaceva ridere e scherzare con il proprio padre. Mi piaceva fare lunghe passeggiate insieme a lui, mi insegnava ad andare in bicicletta, e mi portava a comprare il gelato tutte le domeniche. Credevo che la mia vita fosse stata perfetta per almeno altri dieci anni, finché poi non arrivò quella notte"
Alex non voleva perdersi nessun dettaglio della storia, le prese la mano e se la avvolse tra le sue, lasciandola continuare.
"Era notte fonda, faceva freddo. Mia madre aveva appena smesso di leggermi la favola della buonanotte, quella che riusciva sempre a farmi addormentare. Mi diede un bacio e se ne andò dalla mia camera. Io mi sdraiai sul letto e cercai di chiudere gli occhi e di immaginarmi un mondo da sognare, finché un rumore dolente non assalì le mie piccole orecchie"
Le loro mani continuavano a stringersi sempre di più, quelle di Alex erano calde e possenti, mentre quelle di Emily erano gelide e impaurite.
Alex la guardava negli occhi mentre gli stava raccontando il suo segreto, lei invece non smise di guardare fuori dalla finestra per tutto il resto del racconto, lasciandosi scendere qualche lacrima sul viso.
"Quei rumori fastidiosi fecero morire il mio sonno, volevo cercare mio padre, sentivo in quel momento la necessità di averlo al mio fianco, ma non rispondeva.
Scesi dal letto, mi avviai verso le scale finché non lo trovai davanti alla porta d'ingresso della vecchia casa. Stava per uscire e andare via, ma non sapevo dove stesse andando, così presa dalla paura di perderlo, lo seguì"
Alex cercò di non fare domande, ma non era così semplice come sembrava. Voleva chiederle mille cose alla volta, ma sentiva il bisogno di lasciarla parlare e farla sfogare il più possibile. Decise di non aprire bocca.
"Cercai in tutti i modi di stargli al passo, ma correva troppo velocemente per riuscire a fermarlo. Lo vidi giungere verso una persona della quale non sapevo l'esistenza. Era un uomo, un uomo cattivo e crudele, senza pietà nei suoi confronti.
Mi nascosi dietro un viale e cercai di ascoltare la loro conversazione. Ma cosa mai avrebbe potuto capire un innocente bambina di undici anni.
La conversazione si fece più avvincente, quell'uomo voleva qualcosa da mio padre che lui non era disposto a dargli. Lo minacciò con tutte le sue forze, lo prese per l'orlo superiore della maglietta e cominciò a picchiarlo e a prenderlo a schiaffi.
Mentre io ero lì sola che assistevo a quella tragica scena che sono sicura non morirà mai dalla mia testa.
Non riuscivo a comprendere cosa quell'uomo volesse in modo così accanito da mio padre. So solo che quella fu l'ultima volta che lo vidi.
Nonostante mio padre non si ostinava a dargli ciò che voleva, l'uomo decise di farla finita con tutto e di poter dimenticare quella conversazione in modo decisivo e sconvolgente.
Prima che potessi fare qualcosa, l'uomo tirò fuori dalla sua giacca un coltello da cucina molto affilato e sicuramente tagliente. Lo fece osservare con attenzione a mio padre e senza ripensamenti o frasi di addio, lo pugnalò allo stomaco con grande ostinazione.
Non potevo credere a quello che videro i miei occhi.
Tutt'a un tratto, le mani di quel verme non fecero tardi a riempirsi di sangue buono, mentre il corpo di mio padre cadeva a terra sopra l'asfalto dolente.
Avevo i brividi, non riuscivo a muovermi, volevo andare via ma le mie gambe erano pietrificate e praticamente immobili. Rimasi lì per qualche istante, poi due lunghe braccia mi avvolsero e mi strascinarono via da quel viale ombroso. Erano le braccia di mia madre che piangeva e gridava come una miserabile.
L'unica cosa che ricordo di mia madre è che era stanca e non credente a ciò che vide lei, la stessa identica cosa che vidi anche io.
Un corpo morto sdraiato a terra, i brividi che assalivano le nostre gambe deboli, la voglia di rincorrere quell'assassino e di poterlo ripagare con la stessa moneta. Quello era tutto ciò che vedevo in quegli attimi di terrore.
Mia madre mi trascinò fino a casa e cercò in tutti i modi di spiegarmi cosa fosse successo, ma non si accorgeva del fatto che io avessi già capito tutto.
Io e mia madre decidemmo di tenere questo segreto al sicuro per evitare problemi più gravi di quelli che già stiamo vivendo, ma la vita non ci ha mai dato una mano neanche una volta, tutto il nostro futuro dipendeva solo da noi".

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