Capitolo 25: Attesa e confronto

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Il richiamo della morte è anche

un richiamo d'amore.

La morte è dolce se le facciamo buon viso,

se la accettiamo come una delle grandi,

eterne forme dell'amore e della trasformazione.

(H. Hesse)



Sette giorni.

Il giorno della battaglia nei cieli di Roma, mancavano sette giorni al sette di Luglio.

Entrambi gli schieramenti ne erano usciti male: Lucifero era scomparso nel nulla, trascinandosi dietro Satana. I demoni si erano dispersi e gli angeli, diffidenti, erano tornati a pattugliare la città anche se i più sapevano che per quel giorno non ci sarebbero stati altri scontri. Clelia, Luce e alcuni altri angeli erano tornati al Winter Fall: furiosi, scioccati e con un fratello in meno.

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Sei giorni.

A sei giorni dal sette di Luglio, tutto era innaturalmente tranquillo. Niente demoni, niente morti precoci, niente intimidazioni o messaggi da parte di Lucifero. La città era quasi deserta, solo pochi umani osavano avventurarsi cautamente per le strade e nessuno si attardava allo scoperto: persino la calda aria estiva era immobile, quasi cristallizzata, come se anche la natura stesse aspettando di capire cosa sarebbe accaduto.

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Cinque giorni.

I sensi di colpa di Lucifero, e la tregua che ne era scaturita, erano durati poco più di ventiquattro ore. La furia dei demoni si era scatenata più forte di prima, e altrettanto violenta era stata la reazione degli angeli: ora che i primi avevano abbandonato le loro inutili offensive contro i mortali, la guerra si era spostata a un livello superiore, e spesso non era altro che una mera manifestazione di forza bruta.

La città era devastata. Molte strade erano gravemente danneggiate, e così parecchi edifici, che erano stati evacuati. Gli abitanti erano divisi tra la necessità di vivere normalmente e il timore per quella situazione del tutto fuori controllo. Le Forze Armate, l'Esercito, la Polizia, tutti avevano rinunciato a contrastare quei nemici, comprendendo che la situazione esulava del tutto dalle loro concrete possibilità di riportare l'ordine.

Clelia aveva osservato con uno strano distacco la distruzione causata dalle continue battaglie.

«Dovremmo fare qualcosa» disse Luce quella sera, guardando addolorata la città che veniva rasa al suolo. «Rimettere insieme i pezzi, sai».

«Faremo tutto ciò che desideri» rispose Clelia, indifferente. «A patto che tu sia consapevole dell'inutilità dei nostri sforzi: quello che aggiusteremo oggi, domani sarà di nuovo distrutto dalle battaglie. E anche quando finalmente questo ciclo di ricostruzione e devastazione sarà terminato, nulla sarà più com'era prima».

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Quattro giorni.

All'alba di quel nuovo giorno la città era di nuovo integra, grazie al lavoro infaticabile di Luce, Clelia e di tutti gli altri angeli che avevano coinvolto in quel lavoro perché distogliessero i loro pensieri dalla guerra in corso. Ricostruire qualcosa e permettergli di nuovo di esistere era l'unica, minuscola consolazione alle sofferenze e alle perdite che stavano subendo.

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