avevo bisogno
di
nuove voci.
*
La parte difficile non era stata uccidere Alessandro.
Alessandro Farnetti. Cantante e poeta di professione, Alessandro dagli occhi languidi e la voce d'usignolo, Alessandro che da subito era stato perfetto per il ruolo che gli eaveva assegnato. Alessandro che si era fidato. Alessandro che era finito su un materasso sporco, il taglio che gli solcava la gola rosso come le luci del locale. Non aveva neanche combattuto molto, nemmeno in punto di morte, con la lama premuta sul collo. Lo aveva guardato a bocca spalancata, lo sguardo prima confuso, poi terrorizzato e infine vacuo, spento.
Quello, sì. Quello lo aveva fatto esitare.
Attraversò il corridoio per il suo appartamento col cappuccio abbassato, la maschera rigorosamente sul volto. Dalla porta accanto si affacciò il suo vicino, uno studente universitario con una morbosa passione di farsi gli affari altrui. Diede una rapida scorsa al suo costume. Lo vide impallidire, così tanto come Alessandro e tutte le persone prima di lui.
L'uomo non aveva tempo per questo. Si lasciò scivolare attraverso l'uscio e dentro l'ambiente familiare di casa sua. Le sue mani tastarono il muro e trovarono l'interruttore.
Quando le luci illuminarono lo spazio, si mise al lavoro.
Ora, pensò. Ora viene la parte difficile.
Passò come un'ombra tra quei corridoio conosciuti, accanto agli specchi che lui stesso aveva coperto, e svuotò il contenuto delle sue tasche sulla scrivania.
Il coltellino. I fogli, il suo copione. Li dispose sul piano con meticolosa precisione, allineandoli come a dover preparare un'esposizione. La scenografia per il suo spettacolo.
Tirò a sé la sedia. Le gambe già non lo reggevano più.
Alla luce flebile della lampada, srotolò i fogli. Srotolò la storia che contenevano.
Solitamente non andava mai a cercare le sue vittime, i suoi attori. Erano loro a venire da lui, in vicoletti isolati, nei bar, in bagni sporchi e ricoperti di graffiti. Lui si limitava soltanto a identificarli, ad assegnarli al loro ruolo. A prendere la loro voce e ad integrarla nei suoi scritti.
Ma questa, quest'ultima vittima, se l'era scelta da un po'. Ne conosceva perfettamente i movimenti, l'agire, il pensiero. Ed era esattamente l'ultimo ruolo di cui aveva bisogno.
Il servo sciocco, l'eroe inaspettato che salva la situazione.
Con mano tremolante, sotto alle altre battute, scrisse il suo nome. Giorgio di Lorenzo.
Un sorriso, dei più sbagliati, si allungò sulle sue labbra. Questo era il passo che aspettava da più tempo, e finalmente l'aveva compiuto. Aveva trovato il coraggio di farlo.
I suoi piedi si mossero da soli, lo spinsero giù dalla sua sedia e attraverso la stanza, verso l'armadio. Le sue mani, con mente e vita propria, aprirono le ante. Estrassero la pistola da sotto i vestiti accumulati sul fondo. L'uomo ne ammirò il profilo lucido e rifinito nel suo palmo, la vernice nera che pareva strizzargli l'occhio con complicità. La sua fedele alleata.
Discusse a lungo con sé stesso su come mettersi. A terra? Troppo plateale. In piedi, nel centro della stanza? Neanche. Sarebbe caduto rovinosamente, uno spettacolo orrendo. Sul letto? No. Non voleva sembrare morto nel sonno.
Alla fine si risolvette di mettersi seduto. Trovò la strada per la moquette grigia, i polpastrelli affondarono nel tessuto, poi le sue gambe. Le incrociò. Le allungo. Mosse le dita del piedi.
Fallo. Non ti rimane poi molto tempo.
E infatti eccolo, quel suono flebile, in lontananza, che si spostava rapido tra le strade, rimbalzando tra edifici. Una sirena. L'uomo diede uno sguardo all'orologio affisso al muro. Le 2:51. Non ci sarebbe voluto molto alla volante per raggiungerlo. Doveva averla chiamata il suo vicino.
Si preparò. Il tempo di un respiro. Un aggiustamento al grilletto. Un altro respiro.
E poi gli venne in mente un altro pensiero. La maschera.
Voleva togliersela? Voleva morire senza quella maschera? Voleva vedere il suo volto?
La luce sfarfallò nell'oscurità. Riusciva a sentire gli ultimi battiti del suo cuore, la pesantezza dei suoi ultimi respiri condensarsi sul legno. Il laccetto teso sul retro della sua testa pareva scavargli nel cranio.
Portò le sue mani alla nuca, tastò tra i suoi capelli corvini.
Stava scoprendo la faccia di un mostro? Le sue unghie sarebbero divenute artigli, il magma che si sentiva scorrere dentro sarebbe uscito dalla sua bocca?
Il suo sguardo volò sui fogli sulla scrivania, il copione che vi sedeva sopra. Diceva di conoscere bene il suo ultimo personaggio, quello che portava il suo nome, ma era davvero cosi?
Cos'era davvero? Chi era Giorgio di Lorenzo? Perché conosceva meglio gli sconosciuti che aveva ucciso che sé stesso?
L'orologio ora segnava le 2:53. L'uomo si alzò. La pistola cadde a terra con un tonfo sordo.
Il suo respiro ora gli era finito nelle orecchie, lo sentiva come se avesse i polmoni al posto del cervello, mischiato alle sirene che si avvicinavano.
No, disse, ma le parole non uscirono dalle sue labbra. Si fermarono, sospese nel sillenzio, nella sua gola che non vibrava più di suono.
Lo specchio. I suoi polpastrelli trovarono il telo che lo copriva, strinsero. Tirarono.
Le sirene si fermarono sotto a casa sua. Sentì passi veloci, grida concitate che si rincorrevano nell' atrio del condominio. Il suo vicino sbatté la porta di casa, si catapultò giù per le scale.
2:55. 2:56.
Eccolo, il suo riflesso. Pareva inciso nello specchio, i contorni troppo frastagliati, come se qualcuno avesse rotto il vetro seguendo la sagoma del suo corpo. Il suo abito bianco, fissato all'altezza dei fianchi da una cintura di pelle, il mantello nero con le sue tasche, la maschera. Pulcinella. Il servo sciocco, che non aveva fatto in tempo ad essere nel suo stesso spettacolo.
La pistola parve accusarlo da terra, avvolta nel tessuto della moquette. Sei un codardo. Finisci ciò che hai cominciato.
I suoi polpastrelli trovarono il laccio sulla testa. Il nodo pareva impossibile da sciogliere, non riusciva a trovare il filo giusto da tirare. Un ringhio infastidito rantolò nel suo petto, il primo suono che produceva da due anni.
Qualcuno stava salendo le scale. Anzi, erano più persone. Poliziotti. Ne sentiva gli affanni mentre arrancavano su per i gradini, sussurravano fra loro in tono esagitato. La voce del vicino li seguiva passo passo. "Di qua" disse. "Il suo appartamento è al terzo piano".
2:57. 2:58. Il nodo si allentò. La maschera scivolò appena lungo il suo naso, liberandolo dalla sua prigione di legno.
"Da questa parte! " grido il vicino, e le tre voci si adunarono sulla sua porta come a volerla buttare giù. Qualcuno tentò di forzare la maniglia.
2:59. Il laccio liberò la sua testa, le sue mani afferrarono la maschera.
"Polizia! Apri adesso, in nome della legge!"
Fallo. Fallo. Fallo. Codardo.
La sua pelle prese una boccata d'aria a contatto con la nuda atmosfera dell'appartamento. La maschera, inutile oggetto di scena, ruzzolò a terra, sotto il letto. Il suo respiro si mozzò, cadde assieme ad essa.
"Polizia! Polizia!". L'orologio scattò sulle 3:00.
Solo allora, guardando il suo riflesso, si rese conto che non era più il suo volto a fissarlo.
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Scripted. [OS- Codice Svelato]
Mystery / ThrillerStoria breve scritta per il concorso "#CodiceSvelato" di @Shippo-e-spillo e @July_White-Hunter ~~~~~~~~~~ Tra le strade della città, si avventura un misterioso individuo mascherato. Alle sue spalle, non lascia che caos. Questa è la sua storia. ~~~...
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