2. CI VEDIAMO ALL'INFERNO

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Corte d'appello degli Stati Uniti per il Nono Circuito, Tribunale Federale

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Corte d'appello degli Stati Uniti per il Nono Circuito, Tribunale Federale.
San Francisco, California

L'aula del tribunale era gremita di persone.

L'udienza preliminare per il caso iniziò il 22 gennaio 2041 e, oggi, si sarebbe finalmente conclusa.

Il processo di Kyan Isador era stato senza ombra di dubbio uno dei più lunghi e complessi procedimenti giudiziari della storia del nostro paese.

Più di sessanta testimoni furono chiamati a deporre durante i dibattimenti, e mentre alcuni faticavano a ricordare precisamente avvenimenti accaduti quattro anni prima, altri si dissero sicuri che l'assassino fosse proprio lui, il quale fece il suo ingresso in aula con un ghigno sardonico che, lentamente, andò ad incurvargli entrambi gli angoli delle labbra.

L'avevo visto centinaia di volte in televisione e, anche se a dividerci c'era uno schermo, riuscivo comunque ad avvertire quanto potesse essere dura la sua anima ma adesso che ce l'avevo a un palmo di mano percepii un brivido gelido invadermi come se il mio corpo mi stesse avvertendo del pericolo.

Quando i suoi occhi predatori, azzurri e trasparenti come il ghiaccio scrutarono la folla, mi mancò il respiro. Mi asciugai i palmi delle mani sulla stoffa ruvida dei Jeans che indossavo scambiando un accenno di sorriso con la donna che mi sedeva di fianco.

Kyan fu spintonato da una delle due guardie che lo scortava intimandogli a camminare per raggiungere il suo posto.

Seduto nelle prime file osservai Ajay Cooper, suo padre. Aveva la stessa tempra del figlio, lo stesso sguardo diabolico, lo stesso patrimonio genetico che aveva portato un ragazzo di venticinque anni a compiere degli omicidi efferati, atroci...

Si scambiarono un'occhiata gelida e oscura, ogni centimetro della loro pelle levigata e cerea emanava una freddezza palpabile.

Ghiaccio contro ghiaccio.

Ogni cosa in loro, dai completi eleganti, alle movenze, al pallore della loro bocca, aveva un tocco raffinato e fine, così aggraziato da affascinare chiunque.

Suo padre avrebbe potuto avere trent'anni, così come venti o quaranta, era davvero arduo indovinare...

Erano d'una bellezza straordinaria.
Parevano angeli... degli angeli caduti.

Zigzagai con lo sguardo alla ricerca di sua madre, la dottoressa Esmeralda Ghale ma di lei nemmeno l'ombra.

Era una psichiatra affermata, avevo letto alcuni dei suoi libri ma nessuno di quei testi era tanto affascinante quanto la sua vita privata.

C'erano molte dicerie sul suo conto ma una cosa era certa aveva dato alla luce un essere tanto bello quanto crudele.

«Tutti in piedi sta entrando il giudice.»
All'unisono i presenti fecero come era stato loro ordinato e un anziano – forse prossimo alla pensione – fece il suo ingresso in aula.

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