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Simone torna dagli allenamenti di rugby mercoledì sera, fuori diluvia, ogni passo verso casa un promemoria pulsante del dolore fisico e mentale accumulato in una partita che ha superato ogni limite.

La squadra avversaria ha giocato sporco tutto il pomeriggio e ovviamente non sono riusciti a segnare un granché di punti. Questa cosa lo fa imbestialire poiché il coach nemmeno ha assegnato dei cartellini rossi, come se non stesse davvero guardando la stessa partita.

La sua figura, solitamente eretta e sicura, oggi è piegata dalla stanchezza, la borsa dell'attrezzatura che pesa sulle spalle come un macigno. Con un gemito soffocato si fa strada con denti serrati, dopo aver parcheggiato la vespa nel cortile di casa.

Spinge a fatica la porta, tutto il corpo che cerca di fargli sentire un reclamo per il trattamento ricevuto sul campo.

Il rumore sordo della borsa che cade sul pavimento risuona nel salotto mentre lui osserva le scale davanti a se che sembrano quasi un impossibile ostacolo.

Si ferma un momento, cercando di riprendere il respiro, mettere una maschera di normalità sul viso. Vuole sembrare indenne, nonostante dentro di sé tutto urli il contrario.

Sale le scale a passi pesanti, non è sicuro che ci sia qualcuno in casa ma eviterebbe volentieri qualsiasi domanda se così fosse.

Mentre si dirige verso la sua stanza, un gemito gli sfugge involontariamente, forse un passo un po storto che ha fatto muovere il suo bacino troppo in fretta e il costato gli fa così male che quasi il respiro gli viene strappato via.

Appena entra, vede Manuel seduto sul letto, il laptop ancora aperto davanti a sé. Probabilmente l'ennesimo film che non ha seguito veramente mentre cerca di far trascorrere il tempo più in fretta.

Gli sguardi che si scambiano sono appena due forse, prima che vi sia un cambio di espressione sul volto del maggiore. Immediato e carico di preoccupazione; i suoi occhi analizzano rapidamente Simone, catturando ogni dettaglio, ogni minima esitazione nei suoi movimenti.

“Simò?"
"Ciao anche a te Manuel." Il sorriso più finto possibile si dipinge sul suo viso.

Non serve che sia Manuel a squadrarlo dall'alto al basso, chiunque noterebbe che è a pezzi.

Guarda come cazzo ti hanno conciato. Cosa è successo?” La voce di Manuel è tesa, le parole taglienti per la preoccupazione non velata.

Simone tenta un sorriso, una maschera di normalità che si sgretola ai bordi. “Non è stata una partita onesta... l'altra squadra... ha fatto tantissimi falli,” risponde, cercando di minimizzare, di deviare l'attenzione da sé stesso. Ma Manuel non è tipo da lasciarsi ingannare così facilmente.

“Io vedo altro,” insiste Manuel, il cipiglio in volto che si intensifica.

"Davvero Manuel, non è niente."

“Ho detto fammi vedere, Simo. Non è una domanda.” La fermezza nella sua voce non ammette repliche mentre si avvicina al corvino spostando il laptop dalle sue gambe.

Con un sospiro di resa, Simone toglie la felpa e lentamente la maglia lascia scoperto un lembo di pelle, rivelando un livido, una mappa dolorosa di nero, viola e blu che fa stringere il cuore di Manuel. “Dio, Simone...”

La vista di quei lividi fa scattare qualcosa in Manuel, il suo istinto di protezione ora pienamente allertato. Ogni gesto è carico di un'intenzione chiara: prendersi cura di Simone, alleviare il suo dolore, proteggerlo.

Nell'incrocio dei loro sguardi, c'è qualcosa che solo loro conoscono, anche se non lo hanno mai definito. Gli occhi di Simone, normalmente vivaci e sicuri, riflettono una vulnerabilità che fa breccia nelle difese del maggiore. La stanza sembra restringersi attorno a loro, il mondo esterno svanendo fino a lasciar posto solo al loro reciproco bisogno di conforto e comprensione.

Abbracci Nel Buio - Simuel Where stories live. Discover now