Il ritorno

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La bici frenò appena prima dell'asta del passaggio a livello con il forte stridore dei freni vecchi di vent'anni. Alberto imprecò sommessamente. Scese dalla bici e, tirandola, si piegò sotto lo stop, attraversando i binari e rimontando in sella dall'altra parte. Mentre si allontanava lungo il viale alberato sentì il grido del treno passare alle sue spalle. 

L'asfalto sconnesso della strada era coperto da foglie larghe, bagnate dall'umidità della sera, creavano un mosaico irregolare dalle geometrie imperfette  di colori caldi dell'autunno.

Il viale disseminato di panchine ospitava gli ultimi stanchi passeggiatori del pomeriggio mentre il sole si stava andando a coricare dietro l'orizzonte, lasciando posto alle prime timide stelle. Il ragazzo evitò con una sterzata della bici un signore camminava con accanto un grosso cane bianco dal pelo lungo. Lo sguardo di Alberto seguì l'animale mentre pedalava lentamente; pensò quasi di fermarsi a chiedere se avrebbe potuto accarezzarlo.

Accelerò verso casa: la strada non era poi così corta.

Gli uffici della città avevano lasciato posto prima ai palazzoni delle case popolari e poi a zone intere di villette a schiera. Man mano che si allontanava dal centro e si dirigeva verso la campagna piana dove si trovava la casa di sua madre, anche la strada mutava: le corsie si restringevano e i margini iniziavano a essere accompagnati da fossi pieni di acqua stagna per irrigare i campi.

l'aria che entrava dalla manica della felpa iniziava a essere fredda e un brivido scorse lungo la schiena del ragazzo. Era uscito da lezione alle 18 e quasi mezz'ora dopo stava arrivando verso la sua destinazione, come ogni giorno. avrebbe sistemato gli appunti, avrebbe fatto la doccia e avrebbe mangiato, come ogni giorno. Avrebbe passato la serata  annoiato fino a crollare dal sonno sul divano, come ogni giorno. Sua mamma probabilmente non era ancora tornata a casa, ma doveva già essere uscita dal negozio, mentre suo padre era a Praga per fare da rappresentante a un nuovo prodotto di una linea di abbigliamento sportivo. I due erano separati e non vivevano più insieme da anni, ma Alberto abitava ancora con la donna.

Nelle orecchie gli mormorava, tiepido e allegro, un brano jazz per sax: aveva imparato ad amare il genere proprio grazie alla madre. "Charlie Parker era l'unico che ti faceva dormire da piccolo" gli diceva sempre.

Chiuse gli occhi per un attimo. l'aria sferzava il viso mentre la bicicletta procedeva, ma aprendo la bocca gli sembrava di non riuscire a inghiottire ossigeno. Era quasi a casa e la larga strada proseguiva dritta, attraversando la frazione del paesino dove si stava dirigendo: era sicuramente la via più veloce e quella che percorreva ogni giorno.

Alberto non sapeva dire perchè, ma l'idea di giungere finalmente alla porta, di riprendere la breve routine serale  che ripeteva costantemente, proprio oggi, gli dava la nausea. Il telefono vibrò nella tasca del ragazzo. Fermò la bici a lato della strada e estrasse il cellulare: era sua madre.

"pronto, dimmi" disse il ragazzo

"ciao Albe" rispose la madre dall'altra parte del telefono.

"ciao mà. tutto bene?"

"si, giornata estenuante a lavoro. senti, tu sei ancora in giro?"

"si, si, sto arrivando a casa"

"mi passeresti a prendere le sigarette dal Simone per favore che io sono distrutta".

"dai, va bene, ci penso io, ciao mà"

"ciao Albe, grazie".

Sterzò verso sinistra.

Avrebbe preso la stradina che passava dietro al cimitero e davanti al tabaccaio, sarebbero stati sono una decina di minuti in più.

Alberto aspettò che passassero un paio di macchine e si immise lungo la vecchia ciclabile che costeggiava un fosso. Il terreno era ormai dissestato per via delle radici degli alberi che crescevano lì a fianco serviva una vecchia bici come quella che il ragazzo aveva preso in prestito dal nonno per sostenere gli urti e le buche poste sul sentiero.

Chi guarda le stelleWhere stories live. Discover now