Capitolo 2 - Il barone di Montier

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Il barone di Montier era un uomo fatto e finito e, già ventiduenne, era un po' vecchiotto per sposarsi. Correvano molte voci sul suo conto. Queste avevano valicato montagne, fiumi e confini tracciati sulle mappe, riportando la descrizione di un uomo cocciuto, corteggiatore incallito di donne e vanitoso oltre ogni immaginazione. Aveva anche fama di essere affascinante come pochi altri.

Si stava recando a Mifa per incontrare la figlia del conte Devolant e apprestarsi a sposarla. Questo atto di responsabilità, o meglio di redenzione rispetto ai comportamenti passati, gli era stato imposto dal proprio re, che oltre a infliggere una punizione al corteggiatore folle, fonte di una sfilza di lamentele dei padri riguardo all'onore delle figlie sedotte, aveva organizzato un matrimonio combinato per creare un forte legame politico con l'imperatore Meltero, cugino di primo grado del conte Devolant.

Re Battigar, sovrano di Atla, non desiderava altro che farsi amico, e soprattutto parente, l'imperatore d'oriente, Meltero di Osling.

Quell'impero, costruito con il sangue e brandendo freddi pezzi di metallo, era fonte di ogni ricchezza e una grande potenza militare. Ogni mercante che veleggiava sulle rotte del Mare Calmo trasportava risorse dal continente di Agura a quello di Zetra e viceversa, passando per l'impero di Osling.

Il matrimonio avrebbe portato vantaggi economici al regno di Atla oltre a fornirgli protezione militare; per questo re Battigar assicurò personalmente all'impenitente barone che gli avrebbe tagliato la testa con le proprie mani, se avesse mandato tutto a monte.

Così non gli restò altro che accettare di sposarsi o essere spogliato di titolo e proprietà per essere esiliato in qualche remota località di Atla. Per questo decise di fare buon viso a cattivo gioco, sperando di poter resistere alle tentazioni dopo il matrimonio.

Si apprestava a raggiungere la città tagliando per le colline, accompagnato da una nutrita scorta armata.

La strada affiancava la foresta che ricopriva la montagna dalla base fino alla cima. Il vento muoveva i lunghi fili d'erba creando un fruscio dal rumore simile allo sbattere delle onde del mare. Era un sottofondo ritmico che si armonizzava perfettamente con il trotto dei cavalli. Sembrava che niente potesse spezzare quel clima di profonda quiete che tanto contrastava con il sentire del barone.

Il pensiero di sposarsi lo angosciava non poco, così come l'idea di avere figli e occuparsi in modo responsabile degli averi di famiglia: mai il pensiero della continuità del casato lo aveva sfiorato.

Rimuginava sul proprio passato e sul proprio futuro. E più rimuginava, più le sue mani torturavano le redini in una morsa serrata.

Cosa faccio se non mi vuole?, pensava. No, no, no. Nessuna donna mi ha mai detto di no. Perché preoccuparsi?, si tranquillizzò, allentando la presa sulle redini. E se, invece, fosse il conte ad avere da ridire?, si chiese, torturando di nuovo le redini. Oh, cielo! Perché mi sento così nervoso? Non lo sono mai stato prima. Credo che Battigar non mi concederà altre occasioni; anzi è stato chiaro quando ho accettato di sposarmi: o matrimonio o morte, la mia morte!

Non trovava via d'uscita: non era certo che, qualora fosse stato rifiutato come pretendente dal conte, avrebbe potuto scamparla indenne; anzi probabilmente la sua testa avrebbe salutato per sempre il resto del corpo.

Mentre le incertezze lo tormentavano, il suo bianco destriero lo conduceva a destinazione. Mifa era sempre più vicina e poteva già scorgerne le mura, oltre al sontuoso palazzo del conte. La morsa che gli serrava il cuore da quando aveva ricevuto la notizia del proprio matrimonio si faceva più stretta a ogni passo. La sicurezza di cui andava così fiero tanto da farne vanto a ogni piè sospinto gli stava lentamente scivolando tra le dita.

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