Like Patroclus & Achilles

63 5 6
                                    

Jeongguk. Jeon Jeongguk. Mille baci sulla tua bocca vorrei dare così come Catullo canta per Lesbia. Mille baci sulla tua bocca vorrei lasciare, se tu solo me lo permettessi. Jeongguk, il tuo nome sulle mie labbra. Compagno di scuola, una scrittura colorita, e gli occhi neri come la pece. La pelle, olivastra che ti copri con il talco. Jeon Jeongguk, come iniziare se non con il tuo nome. Jeon Jeongguk, il tuo nome e cognome, unico; piccolo ragazzo appassionato del mio ginnasio, che passa ore ed ore sui libri a studiarli e leggerli. Mio piccolo Jeon Jeongguk, che ti abbatti fra le versioni di greco, strisci il naso sulle carte dei libri, ne annusi l'odore e ne cogli l'essenza. Jeon Jeongguk, la scrittura sulla carta, solo qualcosa che può limitarti: il tuo intelletto emotivo spicca oltre quel che ci insegnano a scuola.

Tu, che mi hai fatto innamorare in quel momento della vita in cui nessun uomo sa cos'è l'amore, nel tempo in cui il mondo ci obbliga alla fine dell'amore stesso. Il suo tempo si è concluso, ma per mia sorte, sfortuna o fortuna, continuo ad amarti e venerarti come se nulla ci fosse di più grande, come se le muse – il loro sapere infuso e inconfutabile – fossero un nonnulla difronte a ciò che tu mi fai essere.

Mio, mio bellissimo Patroclo. Tu non lo sai, non sai di esserlo. O forse mi sto solo sbagliando e cerco delirio: io sono tuo, il mio cuore certamente; e, se parlo di te, nient'altro mi viene che poesia. Ti guardo, infatti, e mi sembri poesia; tengo sul mio comodino una nostra piccola foto in bianco e nero, ancora lucida, scattata qualche anno fa in gita al lago di Como. Mi vergogno a dirtelo, talvolta vorrei invece confessartelo senza peli sulla lingua: è un ricordo che custodisco e di cui sono profondamente geloso.

Amore, gioia, gelosia, vergogna e paura. L'amore, quel che provo per te oltre qualsiasi; la gioia, quella che si vede da ciò che scrivo e che proverebbe qualcuno di sconosciuto se mai leggesse quel che scrivo su di te, e come ti ritraggo, mentre stai chino sui libri di greco e ricopi in bella col pennino le versioni di latino; gelosia, se qualcuno mai dovesse prendere il mio posto: siamo sempre stati tu ed io, nessun'altro e mi sorprendo come non ti sia ancora stancato di me. Io non sono sazio, tu forse lo sarai, perché mogio e pesto ti ripeto sempre le stesse cose ed acconsenti, annuisci, sorridi di rado, sei tranquillo e mi offri le tue labbra rosee e fini che non ho mai baciato. La vergogna, se mai dovessi confessarti quel che provo, se mai si dovesse sapere in giro che mi sono innamorato di un ragazzo come te; e la più grande di tutte, la paura. Di perderti, non ritrovarti, quella presente dunque, futura ed eccezionalmente passata: la paura se non ti avessi mai trovato. Resto in piedi dietro ad uno sfondo bianco, lo stesso colore della pace di quando siamo insieme, lo stesso dell'oblio che vorrei provare se mai ti perdessi; non sono in grado, né all'altezza, perdo me stesso e temo di essere schiaffato al muro come un bamboccio, uno zimbello da quartiere castigato dai bambini mafiosi, che mi appenderebbero al muro con un cerotto alla bocca, se solo sapessero. Se solo tu sapessi, quel che cerco di dirti con gesti verso di te.

Non penso al corpo, non provo sesso. Sei bellissimo, Jeon Jeongguk, corpo e anima sono lo specchio dello spirito, che si nutre innamorato di essi stessi, proprio come me. Più va avanti e più mi ignoro, più cresci e più credo di dover divenire uno spensierato senza sentimenti per scacciare la mia non epicurea affezione per te.

Il professore mi chiama. No, il professore sta spiegano: porgo un orecchio a lui, e con gli occhi guardo te, che mi stai vicino al banco mentre scrivi. Concentrato, bellissimo, mi sento inferiore, uno schifosissimo scarafaggio innamorato della sua musa; un poeta che, finché non supplica amore e sdegno per le cose brutte, non potrà mai toccarla con le dita.

E sei troppo concentrato per accorgertene. Con la coda dell'occhio mi guardi e mi sorridi, ma c'è qualcosa che stona e che m'infastidisce alle orecchie. Non sono canti, non sono muse dissonanti, è il professore che parla ed io non lo sopporto.

Like Patroclus & Achilles | VKWhere stories live. Discover now