𝐂𝐀𝐏𝐈𝐓𝐎𝐋𝐎 𝐒𝐄𝐂𝐎𝐍𝐃𝐎

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Dove il cavalier Cipolla rinasce metallo e la città trema.
BOLOGNA, GIUGNO
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Le campane suonavano a festa, c'era qualcosa nell'aria, qualcosa di indefinito, oltre al vibrare dell'atmosfera e al vibrare del suono.
Le donne danzavano, i loro piedi sul terreno creavano un rumore violento che non rimandava più alla gioia dell'inizio dell'estate, ma al turbolento arrivo delle Nubi. Le Nubi erano ancora lontane, erano una chiazza scura che il Cavaliere Cipolla scrutava di tanto in tanto, senza veramente preoccuparsene.
Non sapeva che quello fosse il primo segno di qualcosa di ancora più grande, di una tragedia vera e propria.

Come le danzatrici battevano i piedi a terra, il fabbro batteva il martello sul metallo, Cipolla lo osserva e si sentiva da sotto la pelle che quel metallo sarebbe poi passato alle sue mani, ne sentiva il richiamo.
Un cavaliere senza spada era un Ulisse senza Itaca, la sua spada era la sua isola da cui ora sarebbe nato, di nuovo, non più come uomo ma come cavaliere, una trasformazione radicale che gli avrebbe dato un nuovo nome, un nuovo titolo, questa volta veritiero e non più abusivo. Si sentiva ricolmo di vanto, il prestigio di una metamorfosi ancora non compiuta ma in procinto di essere attuata lo rendeva irrequieto. Chissà per quante altre notti non avrebbe dormito, chissà quante altre notti avrebbe passato a rigirarsi sotto le lenzuola con il cuore attraversato da fremiti e singhiozzi, ad aspettare il Giorno. E quando il Giorno sarebbe arrivato la quiete sarebbe poi ritornata ma in una forma diversa, una quiete finta, che avrebbe nascosto qualcosa di ancorato nell'animo, di tormentato e impossibile da scacciare.

Cipolla era nervoso a pensare alla lavorazione della sua spada, erano giorni e notti che si recava dal fabbro per controllare che tutto procedesse per il meglio, e in qualche modo aveva iniziato a sentirsi legato con il fabbro stesso, che gli stava creando quella che per lui sarebbe stata la sua rinascita, il suo vessillo da sfoggiare in guerra. La sua spada come la sua patria.
Ma sapeva che il fabbro era poco in quel rincorrersi di motivazioni e profezie che lo aveva condotto a quel punto. Era una questione tra lui e Dio, tra lui e il suo mittente, tra lui e il Vento. O chiunque gli avesse dato quell'incarico, che formalmente non aveva udito ma che nel cuore sentiva suo.

E poi c'era il Fuoco, come dimenticarsene. C'era una proprietà intrinseca che sentiva sua e che lo aveva portato fino a lì: l'anima del giovane assomigliava al fuoco. Incontrollabile, indiscendibile. Senza il fuoco non ci sarebbe la sua spada, senza il fuoco non avrebbe risalito quel colle e non avrebbe ascoltato il vento.
Se fosse stato un elemento sarebbe allora stato il fuoco. L'aria, la terra, l'acqua, loro erano sempre presenti, da qualche parte, in una forma o in un altra, ma il fuoco no. Cipolla il fuoco non sempre lo vedeva, serviva anzi qualcosa per fare sì che si accendesse e iniziasse a danzare. Il vero fuoco, se così si poteva definire, stava al centro della terra, nascosto, non si vedeva, così come non si vedeva il fuoco nel suo animo, nell'animo di Cipolla. Che fosse in realtà il fuoco al centro del suo petto? Che l'avesse rubato alla terra?
In ogni caso era il fuoco che lo aveva portato lì, un calore, una fiamma o un incendio, ancora doveva bene capirlo.
Ma lasciamo perdere fuochi e incendi...

Nuovamente, quel giorno, Cipolla fece visita al fabbro e scoprì, attraversando le strade della città, che la festa ancora non era finita e che la pioggia ancora non era arrivata. Era tutto sospeso, il tempo sembrava essersi fermato in quel attimo inquieto, al contrario della musica e del rombare dei tuoni lontani, che ancora si facevano sentire. Una situazione statica che sembrava avere l'intenzione di voler continuare all'infinito.

Alla vista del cavalier Cipolla, il fabbro s'imbrunì. Non rispose al Buongiorno Iacobo! del giovane, piuttosto tornò a battere il martello su quella che decisamente non era la sua spada.
"Quando potrò avere la mia spada lì dove appartiene, tra le mie mani?", la voce gli si alzò. Ebbe la premura di accertarsi che tutti sentissero. Con un gesto infantile si girò attorno per controllare, incrociò lo sguardo di qualche donna e sorrise, fiero.
"Sarà pronta quando il nostro Dio lo vorrà".

Poi, più tardi, la notte, il signor Cipolla si interrogò sul significato di quella frase; non che fosse il suo intento originario ma ogni volta che chiudeva gli occhi ritornava con la mente all'officina del fabbro, tra i mattoni sporchi e nudi, le pietre fangose e l'odore di metallo e ruggine. Ricordava quella frase con una certa stizza.
Era Dio stesso che gli aveva detto di diventare Cavaliere!
Forse Iacobo era solo geloso, certo, si, È Geloso E Domani Gliene Dirò Quattro.
E poi, Cipolla, si era sempre sentito diverso, e forse non bene accolto all'interno di quel complesso meccanismo che era il mondo. Certe cose erano riservate solamente a lui.
Smise allora di farci caso e la luna calante lo aiutò ad addormentarsi in fretta.

Quando la spada fu pronta Cipolla lo capì immediatamente dopo essersi svegliato, la luce gli sfiorò le iridi e li uccelli iniziarono a cantare. Quello era il Giorno, il primo Giorno, uno dei tanti Giorni che lo avrebbero accompagnato in quella missione (o qualunque altra cosa fosse). Era l'inizio di qualcosa di grande, più grande di lui, si chiese se in realtà il vero Giorno non coincidesse con la sua nascita. Forse era sempre stato destinato a tutto questo, fin dalla nascita, si, esatto. Forse...
Mangiò latte e pane, una molle dolcezza per non incattivirgli i denti. La sua spada, quando l'avrebbe toccata per la prima volta e afferrata tra le mani e scagliata contro un tronco, meritava un Cipolla privo di dissidi, meritava che nessun turbamento la sfiorasse. Possedeva una sacralità intoccabile, Cipolla pensava. Dimenticò, però, che un giorno ci avrebbe trafitto i nemici con quella spada. Sarebbe stata ancora considerata sacra?

Questi pensieri smisero di infastidirlo mentre si recava a casa sua, con la spada penzolante sul fianco, a battergli la coscia e a dirgli, a ricordargli che lei è lì, di fianco a lui. Si chiese cosa avrebbe dovuto fare ora. Avrebbe cercato qualcuno che legittimasse il suo titolo, lo avrebbe trovato perché Dio stesso aveva scelto di concederglielo. Non era un problema.
La sua spada riposò con lui sotto il letto su cui il futuro Cavalier Cipolla aveva ormai chiuso gli occhi e, silenziosamente, aveva sognato.

Fu notte, Lei gli apparse in sogno, per la prima volta vestita di reti metalliche e veli neri. Un Cipolla sveglio e cosciente avrebbe pensato che era colpa delle nuvole, avevano oscurato l'unica luce della notte, la Luna, e avevano reso l'atmosfera più cupa del normale. I suoi sogni si erano adeguati alla condizione, e ora Lei era scura, triste e opaca. Cipolla non sapeva e non poteva immaginare che nemmeno la più cruenta delle tempeste avrebbe potuto scalfire l'umore di Lei, non aveva i mezzi per ipotizzare che le lacrime di Lei fossero una sua colpa, sua, del giovane e innocente Cipolla.
Muta, gli si era avvicinata alle palpebre e lo aveva preso per mano, condotto a lungo tra la terra i sassi e le macerie senza mai arrivare ad un punto ben definito. Il cielo era fumo, Lei piangeva a dirotto, le lacrime come cristalli che si frantumavano ai suoi piedi, schegge dolenti e sanguinolente addette a graffiare, graffiare, graffiare...
Cipolla la seguiva, altro non poteva fare. Nel sogno cercò di parlarle.
"Il problema è il Sole? Vuoi il Sole? Tornerà il Sole! Sta tranquilla che tornerà!" ma Lei non ascoltò, e se ascoltò allora decise di non rispondergli.
Forse il problema non era il Sole, allora Cipolla cercò di affiancarsi a lei, voleva rassicurarla e accarezzarle i capelli scuri. Lei aumentò la velocità dei suoi passi, ignorandolo.
Lei sapeva di sangue, avvilita proseguiva instancabile, Cipolla non seppe darsi un'ulteriore spiegazione di tale comportamento. Solitamente Lei era raggiante, dolce, zuccherata, gli accarezzava il braccio e gli soffiava tra i capelli. Ora era il vento che soffiava al suo posto, così come soffiava il vento nel mondo al di fuori dei sogni, prorompente, freddo, tempestoso.
Lei aveva iniziato a correre, Cipolla sentiva il fiato farsi pesante e affrettato e stanco e veloce, e all'improvviso si fermarono entrambi e con Loro si fermò anche quel sogno, e quel mondo parallelo che conteneva Lei.

Cipolla si svegliò sudato, febbrile, forse era malato. Chiuse gli occhi e dipinse Lei nella sua mente, si, perché voleva tornare da Lei, e non riuscendoci si concentrò ancora con più impegno, ma il calore e il malessere lo tennero ancorato a questo mondo. Quando si addormentò nuovamente Lei era sparita, così come la notte si era fatta quieta.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 24 ⏰

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