Prologo

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L'acqua che scorre lungo il mio corpo, accarezzandomi il torace, i fianchi, la schiena, mi procurano un senso di pace eterna. Con entrambe le mani sistemo i capelli fradici dietro al collo, compattati dall'aumento del loro peso a causa dell'acqua. Tiro un sospiro e alzo il capo, lasciando l'acqua scorrere lungo il mio volto, lasciandomi cullare dallo scorrere di ogni goccia, come se mi sussurrasse che va tutto bene e non devo preoccuparmi di nulla, che posso confidarmi con essa, perché non mi giudicherà mai. I miei pensieri cominciano a scorrere come un torrente: Chi sono io? Cosa ci faccio qui? Perché sono qui? Cosa mi è successo? E perché non ricordo nulla?
Mirta. Io sono Mirta. Ricordo solamente questo.

«Mirta!» in lontananza una voce che mi chiama. Volto il capo in quella direzione e all'improvviso mi ritrovo a correre lontano dall'uomo che sembra conoscermi. Con affanno entro in una stanza e sbarro la porta, il cuore che mi martella nel petto. Ho paura. Appoggio una mano sul cuore, nella speranza che si calmi.
Sento sbattere contro la porta e il terrore mi invade per tutto il corpo.
«Apri questa porta! Non puoi scapparmi! Hai capito? Mirta apri questa maledetta porta!» urla l'uomo infuriato dall'altra parte della porta. I miei occhi cominciarono a vagare per la stanza, in cerca di una scappatoia e qualcosa con cui proteggermi da lui.
«Porca puttana, apri questa porta!» urla con più rabbia in corpo, cominciando a calciare la porta. Tra poco la spaccherà!
Potevo sentire l'ansia insinuarsi sotto la mia pelle e la paura darmi alla testa. Cosa posso fare? Dovrei arrendermi al mio destino?
Guardo la finestra e mi avvicino. Non è troppo alto, ma se cado di schiena o in malo modo non potrò scappare altrove. Apro l'armadio e prendo tutti i miei abiti, per poi buttarli fuori dalla finestra. Stessa cosa faccio con i cuscini, le coperte e il materasso.
Mi arrampico sopra la finestra e prendo un bel respiro.
«Apri maledetta stronza!» urla l'uomo, riuscendo a fare un buco alla porta con un pugno. Mi volto e vedo che tenta di aprire la porta dall'interno, attraverso il foro. Guardo sotto di me. Posso farcela. Devo farcela.
«Non puoi scapparmi. Tu sei mia!» sbraita per poi riuscire a sbloccare la serratura. Chiudo gli occhi e salto, sentendo la voce dell'uomo urlare il mio nome.

Li riapro e chiudo il getto d'acqua. Prendo un asciugamano e lo avvolgo intorno al mio petto. Mi guardo allo specchio, mi osservo non riconoscendo il mio viso.
«Ti sei lavata?» chiese una voce fuori dalla stanza. Apro la porta e mi trovo davanti un uomo biondo, con un abito bianco, i capelli raccolti in una lunga treccia.
«Sì» sussurro all'estraneo.
«Ricordi il tuo nome?» chiese l'uomo, con un timido sorriso che gli stava crescendo sulle labbra.
«Mi chiamo Mirta» lo guardai in imbarazzo «Qual è il tuo nome?»
«Il mio nome è Gabriele. Felice di conoscerti, Mirta» disse con un sorriso, prendendomi la mano e posandovi delicatamente le sue labbra. Avvampai e distolsi lo sguardo.
«Ecco a te, indossali» e mi porse un vestito bianco, con un corsetto e stivali marroni. Annuii e rientro nella stanza, chiudendomi la porta alle spalle. Prendo un bel respiro e osservo i vestiti datomi dall'uomo, da Gabriele. Lascio cadere l'asciugamano a terra.

Riapro gli occhi. Sono riuscita ad atterrare sul materasso!
Mi alzo in piedi e guardo sopra di me, dove si trova la finestra dalla quale mi sono gettata. Ora c'è lui che mi scruta con rabbia.
«Non potrai scapparmi per sempre! Io ti cercherò ovunque. E sai perché?» urla guardandomi con rabbia. Deglutisco e lo guardo con odio. «Perché tu sei mia e di nessun altro. Neanche la morte potrebbe separarmi da te» a queste parole corro via il più velocemente possibile. Alzo l'abito per facilitarmi la corsa e mi addentro nel bosco, cercando di raggiungere la grotta in cui mi nascondevo da piccina. La grotta che usavo per scappare da mio padre, ora la uso per scappare da quel mostro. Da mio marito.

Apro la porta e Gabriele mi sorride, fa cenno di seguirlo e così faccio.
Camminiamo per lunghi corridoi ma alla fine arriviamo a destinazione.
Osservo l'imponente portone davanti a noi e sento qualcosa appoggiarsi sulle mie spalle. Abbasso lo sguardo e vedo una sciarpa di colore celeste, tendente al bianco, lunga più del normale, venirmi delicatamente avvolta al mio collo. Sollevo lo sguardo e incontro quello dell'uomo.
«Questa sciarpa era con te quando sei arrivata, era l'unica cosa che ti copriva. È una cosa alquanto insolita, ma ho pensato che potrebbe essere il tuo porta fortuna» lo guardo spaesata e mi accarezza dolcemente il capo.
«Non dirlo a nessuno però, non si vedono cose del genere tutti i giorni» e io annuisco.
Entriamo in questa grande sala, i muri bianchi addobbati di dipinti colorati e vari, per colori, soggetto e stile.
«Eccoti!» una voce alla mia sinistra mi fa sussultare. Mi volto e vi trovo un uomo anziano che mi sorride.
«Creatore, lei è Mirta. Morta in contemporanea a un uomo finito nell'Inferno e senza alcun ricordo oltre al suo nome. Ho pensato che avrebbe desiderato conoscerla» mentre Gabriele parla, io vago per la sala, osservandone le opere d'arte che ospita. Una, in special modo, cattura la mia attenzione: un padre che divora il proprio figlio. Non ho la minima idea di come io sappia il collegamento tra le due persone rappresentate, ma lo so e questo mi fa male. Sento un nodo alla gola e un vuoto al petto. Appoggio una mano sul cuore e stringo il lembo di tessuto, cercando di trattenere le lacrime.
Perché sono sul punto di piangere?

Le lacrime mi scorrono lungo il viso, accarezzandomi dolcemente le guance e scendendo lungo il collo, mentre il vento mi sposta le ciocche ribelli dal viso. Le gambe e i piedi doloranti chiedono pietà, ma non smetto di correre con tutte le mie forze neanche per un momento. Non posso riposare, non voglio che lui mi trovi.
«Mirta!» la sua voce in lontananza mi pietrifica sul posto, il terrore che si impossessa di me. I miei occhi cominciano a vagare ovunque, cercando una scorciatoia per la grotta. Ricomincio a correre.
Perché mio padre mi ha dato in sposa a un uomo del genere? Lui sapeva che tipo di uomo fosse, sapeva ogni cosa. Come ha potuto? E io come ho potuto credere di amarlo?

«Interessante» sussurra il vecchio.
«Tutto bene?» e annuisco. Mi asciugo una lacrima con la mano e mi volto verso di loro.
«Cara, accomodati pure» il vecchio mi fa cenno di sedermi su una poltrona. Io mi ci siedo, portandomi le gambe al petto, abbracciandole.
«Dove sono?» chiedo in un sussurro.
«In Paradiso»
«Perché?» chiedo appoggiando il mento sulle ginocchia.
«Sei morta» mi risponde con tono gentile Gabriele. Lo guardo e scuoto la testa.
«Intendo, perché sono in Paradiso?» I due uomini rimangono confusi dalla mia domanda.
«Non comprendo, potresti spiegarti cara?» mi chiese il vecchio, con un'espressione interessata.
Nascondo il viso sulle mie ginocchia «Non ricordo nulla che possa affermare che io mi meriti di stare qui» sussurro con un filo di voce. Mi sento sopraffatta da una moltitudine di emozioni, ma non riesco né a riconoscerle né a dargli un nome.


Entro nella grotta e corro più che posso, mentre la luce intorno a me scompare man mano che mi allontano dalla superficie. Mi fermo per riprendere fiato solamente quando è completamente buio. Appoggio il corpo sulla superficie della grotta e cerco di regolarizzare il respiro. Chiudo gli occhi e cerco d'immaginare di essere altrove, di essere felice. E soprattutto di non star scappando da mio marito.
«Mirta» sento sussurrare vicino al mio orecchio e mi si gela il sangue nelle vene. Non è possibile...
Apro gli occhi e cerco di scappare, ma vengo afferrata per i capelli e sbattuta per terra. Si mette a cavalcioni sulla mia schiena e mi alza il capo verso di lui, lasciandomi qualche bacio sulla guancia, facendomi provare disgusto per quel gesto.
«Te lo avevo detto che non potevi scapparmi» sussurra nel mio orecchio, con tono cantilenante.
«Lasciami» sussurro a denti stretti. Afferra con più prepotenza i miei capelli, facendomi provare dolore.
«Tu sei mia, ricordatelo» sussurra prima di lasciarmi qualche bacio lascivo sul collo. Questo mi provoca una caterva di brividi di repulsione. Senza rendermene conto, comincio a piangere e a singhiozzare.
«Oh mia cara, non devi essere triste! Io e te, insieme, faremo invidia al mondo» e comincia a spogliarmi, conscia delle sue intenzioni
provo a dimenarmi, ma senza successo.
Per l'intero atto io rimasi inerme, perché altro non potevo fare. Questo perché lui è mio marito, il mio padrone.

«Posso assicurarti che tu meriti di stare qui» afferma con decisione Gabriele, guardandomi con uno sguardo indecifrabile.
«Voi sapete chi sono?»
«No. Solo tu puoi saperlo»
«Io conosco solamente il mio nome...»
«Per il momento basta e avanza, magari con il tempo ti tornerà la memoria» e mi rivolge un sorriso rassicurante. Annuisco e schiudo le labbra, non sapendo se pronunciare quel nome che mi spaventa. Una paura irrazionale e ingiustificata, per un nome che non riesco a collegare a un viso, a una voce, a nulla se non a questo senso di irrequietezza.
«Nikolai..» sussurro mentre i due uomini confabulano tra loro.
«Tu sei mia, ricordatelo» sento il suo sussurro sul collo e mi volto d'istinto.
Chi sei, Nikolai?

La Dimora dei MortiWhere stories live. Discover now