Leone e Rosa

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I piedi calpestano la strada assolata, spinti da un'inquietudine irrefrenabile. La polvere si solleva a ogni passo, creando una piccola nuvola che la segue come un'ombra. Il sole picchia forte sulla schiena di Rosa, ma lei non se ne cura. La sua unica preoccupazione è raggiungere Antonio il prima possibile.

 Non teme la fatica, quasi corre sul ciglio del rettilineo, superata da qualche bicicletta. Fischi di ammirazione le sfiorano le orecchie, ma lei non li sente, troppo immersa nei suoi pensieri. Il clima ostile che ha avvertito all'osteria l'ha messa in allarme. Non era entrata per cercare il fratello. Antonio era stato solo un pretesto, una scusa innocente per controllare se tra le persone presenti nel locale ci fosse il ragazzo che da due settimane occupa i suoi pensieri giovanili.

 Via Roma è un lungo nastro bianco che taglia in due il paese, prosegue tra i campi coltivati a granturco. 

 La Casa del Fascio si trova nella frazione di Merlengo, a tre chilometri da Ponzano. Le parole minacciose di quel ragazzo le hanno fatto dimenticare il suo compleanno. Avrebbe voluto andare sulla tomba della sua mamma che sedici anni prima, in un paese straniero, l'aveva messa al mondo. Alza lo sguardo al cielo, un immenso mantello azzurro. 

Ti voglio bene, mamma. 

Si fa il segno della croce, poi si accuccia a raccogliere qualche fiore di campo da portare in cimitero. Ma prima devo trovare Antonio, si dice Rosa. Si rialza con un sospiro, stringe il semplice mazzolino in una mano e riprende il cammino. 

Lo scorge in lontananza. È in sella a una bicicletta nera da uomo. È lui, il ragazzo dei suoi pensieri, il sogno che la tormenta da due settimane. La sua folta chioma risplende sotto i raggi del sole. È il 29 di aprile ma sembra giugno.

La ragazza si trova sul ciglio destro della strada, diretta verso nord, mentre lui procede sulla sinistra, in direzione di Ponzano. Rallenta il passo, il cuore fa strane capriole, le rimbomba nel costato. Un'emozione nuova che non sa definire. Lui smette di pedalare. Non può sbagliarsi: è la ragazza con la treccia che ha visto in chiesa.

Lei si ferma. Un caldo impetuoso la induce a togliere il golfino di lana. Suda e freme, impaziente di parlare con lui. Vorrebbe attraversare la strada e sbarrargli il passo. Non lo fa. Rimane immobile, con una mano sulla fronte per proteggersi dal sole che si è fatto prepotente.

– Buongiorno, signorina!

La voce la raggiunge come un'onda del mare, rompe il silenzio della campagna. Il ragazzo la guarda con curiosità, un abbozzo di sorriso sul volto armonioso.

 La via è deserta, ora. Rosa segue quello che il cuore le sta dicendo, con passo sicuro si porta dall'altro lato. Si trova a pochi centimetri da lui. Occhiate rapide si appuntano sui volti arrossati dal sole. Il sangue scorre impetuoso nelle vene. Rosa risponde con la voce che un po' le trema.

– Sto andando a Merlengo a cercare mio fratello Antonio, – dice, giocherellando con la treccia. – Devo dirgli una cosa importante.

 Il sudore le scivola lungo il collo, si insinua tra i seni. Si arrotola le maniche del vestito, un gesto nervoso che tradisce la sua agitazione. Le labbra si allungano in un timido sorriso.  

Lui la osserva, ammirando le sue fattezze delicate e quel modo imbarazzato di guardarlo. Una timidezza che lo disarma. Scende dalla bicicletta, la gira verso nord e impugna il manubrio.

– Intanto mi presento, Leone Benetton, felice di conoscerla. Se mi permette la vorrei accompagnare...

Il volto di Rosa si illumina. Sgrana gli occhi. 

– Davvero? – dice, con voce che tradisce l'emozione. Poi, con un sorriso, fa scivolare la mano in quella di lui.

– Io sono Rosa. Rosa Carniato.

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