Un prete di campagna

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Un raggio di sole colorato filtra dal rosone di vetro, creando un gioco di luci sulla candida tovaglia di lino che copre l'altare. L'anziano sacerdote poggia le mani sul tessuto, l'ombra di un sorriso si mostra sulle labbra. La commozione lo attanaglia impedendogli di parlare. Alza una mano in segno di benedizione verso i fedeli che, uno ad uno, si stringono a lui in un mesto corteo. Ognuno porta con sé un ricordo: un matrimonio celebrato, un battesimo, un funerale officiato con parole di conforto.

Sguardi commossi si scambiano, qualche donna si asciuga le lacrime. Un velo di tristezza avvolge la piccola comunità, un dolore palpabile che si manifesta in gesti sommessi e preghiere silenziose.

Don Piero accoglie ogni carezza, ogni parola di conforto, ogni sguardo pieno di affetto. In quell'ultimo saluto, si percepisce la gratitudine per un legame profondo, un amore incondizionato che ha nutrito la sua anima per tanti anni.

Nella piazza antistante la chiesa, un silenzio irreale ha preso il posto del consueto vociare domenicale. Nemmeno i ragazzini hanno voglia di rincorrersi, mentre i bambini più piccoli si stringono alle madri, con occhi grandi e smarriti. Il vento di aprile agita le foglie degli alberi, creando un fruscio che quasi sembra un lamento.

Teresina si stringe nello scialle, preme il fazzoletto sulla bocca per soffocare i singhiozzi.

Poro don Piero, el se drio par morir... – sussurra la donna con voce rotta. 

Rosa le stringe un braccio e cerca di confortarla.
 Dai Tina, coraio, purtroppo è la vita. Hai voglia di fare una passeggiata? – le propone Rosa, cercando di distrarre la donna.

Rosa è inquieta. Il suo dolore per Don Piero è sincero, ma la sua mente è altrove. Si sente in colpa per i pensieri che affollano la sua mente, pensieri che non si addicono al momento di tristezza che la circonda. Il suo sguardo limpido vaga alla ricerca del ragazzo che l'ha osservata durante tutta la messa.
– Vieni, Teresina, andiamo in osteria, così camminiamo, ti farà bene...

Teresina si blocca di colpo. Guarda Rosa con gli occhi sbarrati. Poi si copre il volto con le mani, non crede a quello che ha sentito.

Mariavergine, tosa mia, che ti prende? Due donne in osteria? Ci vanno solo gli uomini, in quei posti di perdizione!

Rosa sbuffa.
Teresina, con evidente reticenza, si aggrappa al braccio della ragazza. Trascina i piedi sulla strada polverosa e silenziosa. Le due donne attraversano la via, si dirigono verso la fila di case, dall'intonaco sbiadito, deturpato da profonde crepe.
Case e piccole botteghe a formare un mondo fatto di persone semplici.

Via Roma è la spina dorsale del paese. Da un lato, la chiesa con l'oratorio svetta come un faro di santità. Dall'altro, l'osteria da Frigo, gestita dalla famiglia Frigo sin dal 1903, rappresenta un porto sicuro per peccatori e anime inquiete.

 Sulla parete esterna, accanto alla porta d'ingresso, una scritta dipinta a caratteri cubitali mette in guardia gli avventori:

È VIETATO AI MENDICANTI DI ALTRI COMUNI CHIEDERE L'ELEMOSINA

All'interno dell'osteria regna un'atmosfera rustica e accogliente. L'odore di bollito e di arrosto si mescola al profumo del vino e della legna che arde perennemente nel grande camino. Tante persone si fermano per una ombreta di vino rosso o bianco, un bicchierino di marsala o di grappa, o un vermouth rinfrescante. 

Fuori dalla porta, Rosa ha un momento di titubanza. Non è mai entrata da sola nell'unica osteria del paese. Solo una volta, molti anni prima, era venuta con suo padre e suo fratello. Anselmo voleva assaggiare il vino che vendevano, già sapeva che un giorno in quel locale si sarebbe servito solo il vino della "Cantine Carniato".

Teresina è sempre più stanca, si sorregge alla giovane, la guarda con aria sconsolata. Vede che Rosa è ansiosa.

– Rosa, te me par un poco storna. Se pol saver cossa che te vol far? Cerchi per caso el tosato che mi ha accompagnata in chiesa? Che bravo fiol! 

Il volto della ragazza si illumina. Guarda Teresina, annuisce con la testa.

Teresina sospira. 

– Ah, gioventù! Ma sito sicura? L'ostaria no xe un posto par signorine.

– Lo so, Tina, ma non mi importa. Ho bisogno di vederlo. Tu aspettami qui, siediti sulla panca.

Rosa inspira profondamente, apre la porta.

 Il brusio delle conversazioni si abbassa di colpo. Tutti gli occhi si posano su di lei. Un silenzio carico di sguardi curiosi. Sul volto della ragazza affiora un sorriso composto. Incrocia le mani sul grembo, guarda i volti che la stanno fissando. Qualcuno sogghigna. Lei inclina la testa in segno di saluto. Un giovanotto, appoggiato al bancone, le dà le spalle. Alto è alto, indossa una camicia bianca con gilet ma non ha quei morbidi ricci che lei già sente di amare. Il ragazzo si volta: la folta barba e i baffi gli nascondono il volto, ma certamente non è il ragazzo che lei sta cercando.

– Scusate, cerco mio fratello Antonio. Lo avete per caso visto?

Lo spilungone con la barba si fa serio. 

– Non lo ha visto nessuno. E xe meio che qua dentro non metta piede, quel brutto muso di un fascista!

Altre voci si alzano minacciose contro Antonio. Rosa apre la porta, scappa fuori. Sente il cuore sbattere furiosamente contro il costato. Sente le ciglia umide, e un tremore che le dà la nausea. Prende per un braccio Teresina.

– Tina, presto, andiamo via.

Mariavergine, Rosa! Cossa se successo?

Ti accompagno a casa. Io devo correre alla Casa del Fascio. Antonio è in pericolo. 

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