9.2 • Avere paura

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Sembrava che il calore gli si stesse imprimendo negli occhi, formando delle figure danzanti, che si allontanavano e si riavvicinavano. Era un ballo disperato.

«Hai capito cosa intendo», dissi frizionando delicatamente le bruciature con un panno pulito, trascinando via particelle di sporco e qualche agglomerato di sangue.

Nathan non disse niente, quindi non provai ad insistere. Ero stanca, e noi non eravamo così in confidenza da poterlo costringere a parlare se non voleva. Sapevo qual era il mio posto.

Feci saltare il tappo anche ai contenitori con la lavanda e l'iperico, i cui fiori e foglie erano stati tritati, probabilmente con un mortaio. Li mischiai nel palmo della mano, dando vita ad uno strano colore tra il viola e il giallo, poi li spalmai sulle ferite di Nathan, sigillando il tutto con un ulteriore pezzo di stoffa.

«A posto», dissi trionfante. Non era come prima del Rituale, ma era la cosa che più ci si avvicinava, e me la feci bastare. «Forse ti si formerà qualche bolla, non schiacciarle per cortesia.»

«Come fai a conoscere tutte queste cose?», mi domandò lui osservando la mano fasciata come se fosse un miracolo.

«A volte qualche Silente passa da Brental», risposi, «e diciamo che... Beh, non sono molto propensi a farsi toccare dall'Idro.»

Alcune volte era fin troppo esplicita e pedante la paura che i Silenti provavano nei nostri confronti. Ormai vivevamo quasi in simbiosi, eppure continuavano a categorizzarci - cercando in vano di nasconderlo - come degli scherzi della natura. Per loro le Grandi Madri erano solo un'idea che avevamo inventato per passare il tempo, per credere che non fossimo marchiati dalla malvagità sin dalla nascita. Probabilmente avrebbero ricondotto a questa idea persino la mia voglia, un altro segno del mio essere impura.In cosa credessero loro, non mi era concesso saperlo: non ero mai stata così vicino a qualche Silente che volesse conversare con me di sua spontanea volontà; solo quando le mie conoscenze erano fondamentali alla loro sopravvivenza. «Vuoi che dia un occhio anche alla gamba? Ho visto che zoppichi», dissi pensando alle sue mani che si massaggiavano il ginocchio, quando ancora eravamo in mezzo al nulla.

«Sto... sta bene. Era solo il freddo», mi rispose abbozzando quella che - ne ero sicura - era una mera scusa.

Mi alzai spazzandomi via dalla gonna dei residui di lavanda, che si sparsero sul pavimento come centinaia di fiocchi di neve.

A Brental in inverno nevicava sempre moltissimo; l'unico posto in cui non riusciva ad attecchire era la Fontana della Grande Madre, in cui scorreva acqua perpetua.

Mi avvicinai alla pila di vestiti che ci avevano lasciato e presi una maglietta e dei pantaloni in pelle marrone, che sembravano essere della mia taglia, sperando che all'accademia mi avrebbero permesso di indossare le mie gonne.

«Grazie, Dani.» Era l'unico che mi chiamava in quel modo, ed era strano ma, almeno, era una cosa in meno che mi facesse pensare alla mia vecchia vita.

«Figurati», replicai sistemando sia i vestiti che le boccette tra le braccia.

«Vado a cercare Emma per restituirle le cose», continuai indicando con la punta del naso le fiale, iniziando a camminare cercando di non traballare.

«Vengo con te, tanto devo cercare il bagno.»

Annuii mentre varcavo la soglia della stanza, per ritrovarmi in mezzo ad un corridoio che si apriva sia a destra che a sinistra.

Verso quest'ultima direzione, alla fine dell'andito, c'era una porta dalla quale filtrava una luce.

«Penso che siano di là», ipotizzai.

THE ECHOING WATER - Il ciclo dei Tessitori 1Where stories live. Discover now