Ad un certo punto udimmo un rumore e ci voltammo. Era stato come un singhiozzo breve e soffocato. Poi un fruscìo e notai qualcosa muoversi dietro al cassonetto.

Vidi spuntare la sagoma di uno stivaletto e non mi diedi neanche un attimo per riflettere che ero già corsa nella sua direzione. Ed eccola: Ginevra era seduta a terra con la schiena contro un sacco pieno di spazzatura. I vestiti stropicciati, la pelle pallida, il trucco sbavato in sottili scie lasciate da un pianto non ancora esaurito del tutto. Gli occhi gonfi e rossi.

«GINEVRA!» urlai in preda allo spavento. «Cosa ti è successo?!».

Ginevra sollevò lo sguardo sofferente e un momento dopo esplose a piangere. Nella mano stringeva il cellulare ormai spento per la batteria esaurita. Sul vetro vi era una crepa che trapassava da parte in parte lo schermo.

«Gine...».

«Non mi hai risposto. Ti ho chiamata» sibilò tremante. Piegò la testa e portò le ginocchia al petto. Notai che sulla nuca aveva un bozzolo rosso. «Non mi hai risposto» rimarcò con un filo di voce.

«Mi spiace così tanto. Cosa è successo?».

Ebbe un fremito così mi tolsi il cappotto di Colt e glielo poggiai sulle spalle nude. Le accarezzai il braccio e capii che doveva aver patito il freddo per ore.

Rimase immobile scossa dai singhiozzi, ma cercò comunque di parlare e di raccontarmi.

«Luca» iniziò a dire. «Stavamo passando una bella serata quando...»

Gli occhi le divennero come due torrenti in piena, selvaggi e burrascosi, distorti dalle lacrime che non ne volevano sapere di fermarsi.

«Cosa... Cosa è successo?» la incoraggiai.

«Ha iniziato a strattonarmi e poi a baciarmi. Mi sono liberata e me ne sono andata ai bagni, ma lui mi ha seguita» spiegò. Prese un breve respiro. «Mi ha colpita con qualcosa. Mi ha fatto male e poi mi ha spinta. Non sono più riuscita ad alzarmi da qui».

«Senti dolore alle gambe?».

«No, non è per quello. Ho paura!» strillò stremata e con l'ennesimo spasmo si piegò in avanti dove, finalmente, potei stringerla tra le braccia. Pensai che avrei dovuto far più spesso la sorella maggiore. Ce l'avevo con me stessa per essere stata così poco comprensiva con lei in tutti questi anni. Dopotutto era mia sorella, la cosa più simile alla mia anima che esistesse. L'amore non è una cosa semplice, soprattutto se hai quindici anni. In realtà non è mai semplice. E' solo che quando si è adolescenti si guarda il mondo da un'altra prospettiva. Ci si emoziona almeno il triplo di un adulto, si scopre quanto possa esser bello legarsi ad un'altra persona. Le prime cotte. Le sere passate fino a tardi a scambiarsi messaggi. E poi il primo bacio.

Sensazioni che conoscevo bene, perché anche io, come Ginevra, ero stata adolescente. Forse un'adolescente che aveva dovuto diventar grande troppo presto, ma pur sempre una ragazzina. Mentre lei stava solo ora iniziando a scoprire cos'è l'amore. E la capivo fin troppo bene.

La spinsi tra le mie braccia e strinsi forte. Così forte che quasi potevo percepire la sua angoscia annidata nel suo cuore palpitante e frenetico. La strinsi talmente forte che sperai per un momento di recuperare tutto il tempo perso e pensai all'abbraccio che avrei dovuto regalarle il giorno della morte di papà, invece che starmene in disparte a vederla piangere, senza dir nulla. La mia sorellina.

E fu in quell'istante che compresi quanto effettivamente le volevo bene e tenessi a lei. Più di quanto credessi. Non si può sostituire l'amore di un genitore, ma neanche l'amore di un fratello. Qualunque cosa accada saprai sempre che una parte del tuo cuore è già stata affidata ad esso. E nessuno potrà strappargliela. Resterà un custode devoto, per sempre.

Inaspettatamente Ginevra si strinse più vicina e nascose il viso nel mio petto.

«Oh, Gine. Ti prometto che non ti succederà più niente. Te lo prometto. Davvero!» pronunciai quelle parole e dentro me sapevo che erano più sincere di quanto il tono della mia voce tremolante potesse dimostrare. Quasi le lacrime presero il sopravvento, ma le ricacciai indietro perché in quel momento Ginevra necessitava di una figura che la sostenesse e che le dicesse che sarebbe andato tutto bene. Una persona forte, come mi aveva detto di essere mio padre.

Ed era ciò di cui avevo bisogno anche io. Sii forte, Samanta. Sii Forte.

«Andiamocene, ora. Avrete tempo di parlare più tardi» si intromise dopo un po' Colt Devon, che in silenzio, aveva assistito. Odiavo che mi dicesse cosa fare, ma aveva ragione: Ginevra aveva urgenza di fare un bagno caldo per riscaldarsi, e di riposare per almeno un paio d'ore o anche più.

Tornammo dunque all'auto e presto fummo nuovamente nell'appartamento di Colt all'ultimo piano di un moderno palazzo appena fuori dal centro città.

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