Salutammo la donna, che ricambiò con un piccolo sorriso, e ce ne andammo.

«Perché insisti tanto? Dovresti lasciar perdere. Se tua madre e tua sorella sono state rapite da quel demone non avranno avuto poi tante speranze di sopravvivere. Saranno già morte da un pezzo!» disse Colt Devon quando tornammo all'auto.

Come una furia gli scagliai contro un'occhiataccia rabbiosa. «Non dire più una cosa del genere!» gli premetti un dito al petto, urlante. «Tu non sai cosa abbiamo passato. Non ci meritiamo una fine del genere. Ho lottato! Ho sempre lottato per tener in piedi la mia famiglia. Ho lottato e non ho mai mollato, e certamente non mollerò ora. Ne mai. Preferisco morire. Ma loro non si meritano una cosa del genere. Capito!?». I miei occhi si puntarono nei suoi con un tale impeto che lo vidi sobbalzare dallo stupore.

«Ok, ok! Non volevo offenderti. Stavo solamente dando un consiglio».

«Tieniti i tuoi consigli per te Colt Devon. A me non servono. Abbiamo un patto, la mia famiglia per l'angelo rinchiuso qua dentro» portai la mano aperta al petto. «quindi niente commenti!». Rientrai in macchina arrabbiata, sbattendo la porta. Non aggiunsi più nient'altro, né lui aprì più bocca. Quasi certamente il ragazzo dagli occhi di ghiaccio si stava pentendo di aver stretto un patto con me. Io sicuramente. Ma non avevo altra scelta se volevo affrontare un ente pericoloso come Sebastian.

Arrivammo al Metropolitan che erano quasi le dieci di mattina. Stranamente in quel locale c'era sempre gente. La sera bene o male perché veniva frequentato per il locale notturno. Di giorno perché veniva ripulito dall'agenzia di pulizie e veniva riordinato per la sera seguente. Non ero sicura che Ginevra potesse trovarsi lì. Non ero sicura di niente. Nemmeno di quello che stavo facendo. Ma una cosa la sapevo: non avrei mai permesso che Sebastian toccasse la mia famiglia.

Camminammo fino al bancone d'ingresso dove una ragazza stava conteggiando ancora le entrate della serata e ci fermammo. «Un buon guadagno!» esordì Colt non appena quest'ultima sollevò il volto per guardarci.

Sorrise. «Non c'è male. Avete bisogno?» chiese lei.

«Abbiamo dimenticato una cosa dentro. E' importante».

«Non posso farvi entrare così, mi spiace».

«Ma è importante!» enfatizzai agitata e Colt allungò un braccio per zittirmi.

Si appoggiò con i gomiti al bancone e sollevò un sopracciglio. «E' importante» sottolineò quasi in un sussurro. Uno di quelli bassi e seducenti. La ragazza sorrise nuovamente e fece un rapido cenno di consenso.

Non capii mai come riusciva a farlo. Non era una magia la sua, era carisma. Un carisma prorompente e senza eguali, che poteva usufruire a suo vantaggio tutte le volte che voleva. Eppure ai miei occhi rimaneva sempre un insopportabile arrogante.

«Andiamo» mormorò e mi trascinò oltre l'entrata.

Corsi in tutte le direzioni chiamando a gran voce il nome di Ginevra e sperai con tutto il cuore che potesse sentirmi. Era solo una sensazione, ma sapevo che la mia sorellina non poteva essere tornata a casa. La conoscevo bene. L'avrei cercata anche in capo al mondo se ne avessi avuto l'opportunità.

Percorsi i corridoi riccamente arredati della discoteca e in seguito spalancai i bagni femminili dove un'inserviente stava lavando il pavimento. Alzò la testa incuriosita dalla mia risolutezza e in seguito allungò il braccio in direzione dell'uscita di sicurezza.

«Grazie!» con foga mi buttai sulla maniglia antipanico e in un battibaleno mi trovai in un vicolo nel retro del locale.

Il vento mi sferzò il viso. Osservai il cielo plumbeo spuntare in una fessura tra due palazzi e uno stormo di uccellini volare via. La strada era deserta e un odore sgradevole arieggiava tra le pareti sporche di terra e muschio. Vi erano solamente cumuli di immondizia accatastati contro un cassonetto e questo mi fece venire in mente le bottiglie di alcolici in cucina che avrei dovuto portare via da casa, prima che succedesse tutto questo. Ero certa che la polizia le avrebbe notate e avrebbe così tirato le somme, alla fine. Un pensiero che mi faceva terribilmente innervosire.

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