Capitolo 225: Sabato, 4 agosto 2012

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"Va bene, d'accordo."

"Va bene?" chiedo sgranando gli occhi, ancora incredulo.

"Un giorno solo però. Domattina se stai bene puoi andartene a casa, ma la sera ti voglio qua."

"E ti pareva che non c'era la fregatura!"

"Questo è quello che posso concederti: prendere o lasciare."

"Prendo..." sospiro io rassegnato.

"Bene. Massimo per le nove devi rientrare."

"Le nove?! Come faccio ad uscire a cena se devo rientrare alle nove?! Almeno alle undici!"

"Le dieci. Ultima offerta."

"Aggiudicato...".

Giulia è in ansia. Da settimane aspetta questo giorno ma adesso prova una strana sensazione che le fa tremare le gambe, peggio che al loro primo appuntamento; che poi, a pensarci bene, al loro primo appuntamento non è che fosse poi così in ansia, era solo impaziente e felice di uscire con quel ragazzo che la attraeva da morire e che inizialmente le era sembrato sfuggente e poco interessato a lei.

"Passo a prenderti tra un'ora, allora" le dice sua madre nel parcheggio dell'ospedale mentre lei apre lo sportello per scendere dall'auto.

"Fai pure un'ora e mezza!"

"Ma l'orario di visita non è fino all'una?"

"Sì, ma se gli infermieri non rompono riesco a stare un po' di più!" esclama dandole un bacio sulla guancia. "Ciao mamma, grazie!".

Sua madre la guarda allontanarsi verso l'imponente edificio, non senza una buona dose di apprensione. Lei è una donna adulta eppure gli ospedali riescono a incuterle ancora un certo timore, e adesso sua figlia cammina spedita per entrarci, impaziente di rivedere il suo ragazzo, come se stesse andando al cinema o al centro commerciale.

Ma perché tra tutti i ragazzi del mondo proprio quello di Giulia deve essere rinchiuso là dentro?

Si pente subito di questa sua riflessione egoistica: nessun ragazzo di sedici anni dovrebbe essere rinchiuso in un ospedale, nessun ragazzo di sedici anni dovrebbe conoscere una malattia così orribile come il cancro, nessuno; nè il ragazzo di sua figlia nè nessun altro, ma da madre non può fare a meno di preoccuparsi per lei.

Era stato un sollievo quando Giulia le aveva detto che alla fine aveva deciso di partire per Londra, dopo avervi inizialmente rinunciato. Era stato un sollievo sapere che non avrebbe passato tutta l'estate a fare la spola tra casa e ospedale anziché godersi le vacanze, e che avrebbe trascorso tre settimane spensierate con i suoi amici.

In realtà, poi, le cose erano andate diversamente, perché spensierata in quelle tre settimane Giulia non lo era stata mica tanto. Quante sere, quando la chiamava al residence, scoppiava a piangere dal nulla perché Leo le mancava o perché aveva intuito che stava male, anche se lui non gliel'aveva detto, o perché erano due giorni che non si faceva sentire, lasciandola nell'angoscia più assoluta.

E adesso le tre settimane sono trascorse e Giulia non vede l'ora di riabbracciarlo. Sta praticamente correndo da lui. La guarda scomparire dietro il grande portone di vetro e si decide ad andarsene, mentre spera che il cuore di sua figlia non vada in mille pezzi.

Se prende l’ascensore farà prima, perché è più vicino alla stanza di Leo rispetto alle scale, ma l’ascensore è occupato, e Giulia non può aspettare oltre: prende le scale e le sale quasi di corsa, raggiungendo in pochi secondi il primo piano.

Il cuore le martella nel petto, come impazzito. Le sembra quasi di sentirne il battito fino alle orecchie, mentre imbocca il corridoio.

E poi lo vede.

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now