11. We can't speak

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Lui non sa cosa significhi essere malvagio, non ha visto il male oscuro e men che meno sa metterlo in pratica. Saprà umiliare e fare del male fisico, il dolore è quantificato e dimostrato in un altro modo. Che lui non ha ancora visto a quanto ne so.

Non so nulla su suo padre, il grande Signore Oscuro e non ci voglio avere a che fare. Anche lui lo odio, nonostante non mi abbia mai fatto niente e questo mi va più che bene. Il problema è che vuole tutto il mondo magico ai suoi piedi ma deve sapere che se è alto quanto quei suoi dannati piedi allora può tranquillamente morire.

È un discorso diverso questo e non lo voglio intraprendere ora.

Il punto è che il coraggio non fa molto parte di me, come in ogni serpeverde, noi preferiamo stare nel nostro, autoproteggersi prima del disastro. Io però non ne ho mai avuto il tempo.

Nemmeno adesso.

«Oh sai benissimo che deriderti alle tue spalle non mi arreca nessuna emozione. E no non me ne vado, dobbiamo parlare.» la sua voce decisa mi riscuote dai miei pensieri e mi ritrovo a un passo da lui, di nuovo.

«E di cosa vuoi parlare? Noi non sappiamo parlare.» gli faccio notare con uno sbuffo.

«Lo stiamo facendo ora, piccolina.»

Sospiro irritata e incrocio la braccia al petto allontanandomi di un piccolo passo da lui. «No. Parlare significa sopportare la voce dell'altro, non voler tirare un pugno nei coglioni, saper trovare argomenti banali ma ragionevoli. E se per permetti tutte queste cose finiscono nel cesso quando devo aprire la bocca con te.»

Lui si appoggia del tutto al muro e stupendo me mi guarda, non con il eccentrico ghigno ma con un viso neutro, sempre con la mala voglia, e io davanti a lui stizzita e allo stesso tempo incombe a qualcosa che non so spiegare.

«Cara mia Sheila, noi non è che non sappiamo parlare ma non lo facciamo perché preferiamo insultarci piuttosto che dire qualcosa di assolutamente normale. E sì, tutte quelle cose se ne vanno a fanculo perché il nostro diverbio è iniziato molto prima che sapessimo cosa dire, gli insulti sono solo il risultato di quel momento.» i miei occhi si spalancano di poco quando lui pronuncia il mio nome.

Non utilizziamo mai i nomi, anche tra la nostra casa è ovvia questa cosa, danno l'effetto di affetto o comunque di un qualcosa di troppo legato.

Ma tra noi i nomi sono sempre stati un blocco, mai ci siamo permessi di usarli in una nostra discussione, mai perché se lo avessimo fatto sarebbe stato l'istante di secondi più difficili della nostra vita.

Pronunciare il mio nome è stato l'errore più grande della sua di vita. E benché mi ha creato un disordine come era ovvio che fosse sono pronta a non mostrarlo.

Prima che potessi però effettivamente ribattere con qualunque cosa, lui mi blocca. «Ho usato il tuo nome per farti capire che non sto parlando per cazzate. Tu sei una bambina del cazzo e io per te sarò anche un coglione di primo grado, però resta comunque il fatto che non è il non o il saper parlare a bloccarci, è altro che nascondiamo con i peggio insulti. Quindi non dire mai più che noi non sappiamo parlare, perché in questo esatto momento lo stiamo facendo.» con tutta l'aria disinvolta e composta mi rifila due occhi pieni di serietà e io non riesco a smettere di fissarlo imbambolata. Persino respirare mi viene difficile.

«Ora me ne vado perché mi sono rotto le palle di vederti sconvolta e quella faccia da bambina non la voglio vedere per un altro secondo.» non faccio in tempo a sentire tutta la frase che lui si stacca dalla parete per poi marciare verso la Sala Grande, molto probabilmente per riferire tutto agli altri.

Resto più che immobile lì, stessa posizione, stessa esprimono e stesso sgomento di prima. Riddle mi ha appena detto cose che non sono normali per lui o noi, non so come reagire e a essere sincera non so nemmeno quanto mi interessa farlo.

Infinite Darkness | Mattheo Riddle Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora