CAPITOLO 3 - LA CENA

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Zia Emma, fingendosi impegnata negli ultimi preparativi, andava e veniva nella cucina, aprendo e chiudendo sportelli e cassetti, evitando volutamente di incrociare il suo sguardo. Le sue mani tradivano una strana tensione nervosa.

«Quasi dimenticavo, la tua corona» disse porgendole una coroncina fatta di fiori e nastrini intrecciati.

Iris la fissò senza prenderla. Era incredula.

«Finisci di apparecchiare per favore?» chiese la donna esasperata.

La giovane fu inviata nella sala da pranzo, molto probabilmente nel tentativo di salvarsi da ulteriori domande scomode.

Sembrava proprio che volesse liberarsi di lei. Tipico di zia Emma fuggire i problemi.

Iris si fermò per spiare quegli uomini e osservandoli attentamente ebbe la conferma di ciò che aveva sospettato fin da subito. Non potevano in alcun modo essere imparentati con loro, non solo perché a detta della zia non avevano alcun famigliare vivente, ma perché, accomunati solo dall'aspetto selvaggio e dall'abbigliamento stravagante, a eccezione di tre di essi molto somiglianti tra loro, erano l'uno diverso dall'altro.

L'unico del gruppo che non era presente alla loro chiassosa e animata discussione era il ragazzo biondo che quel tardo pomeriggio l'aveva freddamente squadrata dalla testa ai piedi.

Dalla sua posizione, seminascosta, le davano leggermente le spalle un uomo dalla pelle d'ebano molto più vecchio degli altri, grande, grosso e rasato. I muscoli ben definiti risaltavano sotto una camicia troppo piccola per la sua mole.

Accanto a lui sedevano tre individui magri e trasandati, dai lineamenti grossolani e bruciati dal sole, dai folti capelli rossi. Due di loro portavano una barbetta ispida e il terzo, completamente imberbe, all'incirca quindicenne, parlava veloce e rideva sguaiatamente, qualunque cosa dicesse il gigante nero, forse in cerca della sua approvazione. Iris conosceva bene quell'espressione, c'era stato un tempo in cui lei stessa aveva indossato quella maschera per celare la sua timidezza e le sue insicurezze. Si rivedeva riflessa nel volto arrossato di quel ragazzino che cercava di apparire sicuro di sé, per fare parte di qualcosa.

Poco più in la c'era un biondino dai capelli mossi, nel cui volto florido e rotondo, spiccava un naso decisamente pronunciato e deformato, quasi certamente risultato di qualche frattura riportata a seguito di una scazzottata, che gli donava un'aria alquanto buffa.

Accanto a lui sedeva un uomo bruno dal volto allungato, che, nonostante fosse abbastanza nascosto dalla tavola, sembrava decisamente il più basso e sproporzionato del gruppo.

Un poco in disparte, in piedi, c'era un bellissimo ragazzo dalla carnagione decisamente più chiara rispetto agli altri, con lunghissimi capelli castani, baffetti e pizzetto molto curati. Portava una casacca bianca e immacolata dalle maniche sbuffanti e bordate di pizzo, un gilet di pelle nera con cappuccio, una paio di eleganti pantaloni neri della stessa materia, stretti in vita da una scintillante cintura borchiata. Infine un paio di stivaloni neri gli donava un'aria estremamente raffinata rispetto ai suoi compagni.

Iris lo studiò con attenzione, non aveva nulla che fare con quel gruppo dall'aspetto rozzo e trascurato. All'improvviso l'uomo si voltò verso di lei e le sorrise, mostrando due file di denti bianchi come perle e facendola irrigidire. C'era qualcosa di sovrannaturale in quelle pupille nere, che per un attimo la spinse a pensare che fosse un angelo o un demone.

Non disse nulla, ma quello scambio di sguardi rivelò la sua presenza.

«Bambolina, si mangia?»  domandò inaspettatamente il colosso, accortosi della sua presenza alle sue spalle.

La sua voce era profonda e la sua espressione gioviale.

Iris si voltò verso di lui, lo fissò con aria di sfida e senza dargli risposta posò velocemente i piatti mancanti a tavola e tornò in cucina. Aveva dell'incredibile che uno sconosciuto si permettesse di rivolgersi a lei in modo così sfacciato.

«Uno dei nostri ospiti mi ha appena chiamato bambolina» disse, stuzzicando la zia.

La donna non ebbe alcuna reazione, si limitò a abbozzare un sorriso imbarazzato. Quel comportamento accondiscendente la spiazzò. La zia, sempre apprensiva e possessiva nei suoi confronti, soprattutto negli ultimi tempi le aveva fatto comprendere che non vedeva di buon occhio gli sguardi e gli apprezzamenti che i ragazzi avevano iniziato a rivolgerle. Le imponeva di fare profilo basso e vestirsi discretamente. Iris si era sempre spiegata quel comportamento come il semplice istinto di protezione di una vecchia zia ansiosa nei confronti della nipote, senza rendersi conto che quel suo incessante bisogno di controllo costante aveva radici più profonde.

Iris si domandava perché quegli uomini fossero comparsi così all'improvviso e soprattutto quali fossero i segreti che la donna le aveva tenuto nascosti per tutto quel tempo.

Raggiunsero gli uomini in salotto. Sempre più frastornata Iris prese posto a sinistra, accanto alla zia che sedeva a capotavola. Davanti a lei sedeva l'affascinante bruno che l'aveva fatta scoprire poco prima. Era ancora assente il ragazzo biondo che l'aveva turbata quel pomeriggio e ciò non le dispiacque affatto, visto lo strano malessere che la sua aria incomprensibilmente stizzita le aveva causato. Avrebbe fatto fatica a sopportare il suo sguardo seccato fisso su di lei durante l'intero pasto. Nonostante il sollievo per la sua assenza, continuava inspiegabilmente a pensare a lui.

La situazione a tavola si rivelò fin da subito surreale e piuttosto sgradevole, perché quello strano gruppo di individui, eccetto l'uomo davanti a lei, si rivelò fin troppo a proprio agio e ciascuno ingurgitò cibo come se non ci fosse un domani, sotto gli occhi sconcertati della padrona di casa, che faceva fatica a nascondere come le si fosse chiuso lo stomaco. I loro ospiti scambiavano poche parole tra loro, rigorosamente a bocca piena, emettevano rumori fastidiosi bevendo e masticavano rumorosamente i loro enormi bocconi. Era tutto molto irritante.

Era palese che la zia non conosceva affatto quegli uomini, perché non rivolse la parola a nessuno, tantomeno li presentò alla nipote. Cosa che sarebbe stata normale durante una rimpatriata di famiglia. Era una situazione imbarazzante. Le poche volte che la zia aprì bocca adottò un tono di voce oscillante tra l'imbarazzato e il formale e non ricevette risposta alcuna. Nessuno calcolava le due donne, eccetto il ragazzo dalla pelle diafana, che ogni tanto levava gli occhi su di lei con aria divertita.

Iris toccò a stento il cibo. Quando il gigante ruppe il silenzio con un sonoro rutto, seguito da una risata generale, la giovane allontanò il suo piatto, con aria disgustata. Fu allora che l'uomo di fronte a lei, che fin ad allora era parso il più garbato del gruppo, allungò inaspettatamente la sua mano e afferrò i suoi avanzi. La ragazza trasalì, mentre questo portava i resti alla bocca e li inghiottiva con gusto. Era sul punto di dire qualche cosa quando zia Emma si alzò in piedi interrompendola.

«Qualcuno gradisce qualcosa di dolce?» esordì con voce squillante.

Era in difficoltà, stava curva con i palmi poggiati sulla tavola, come se sulle spalle reggesse a stento un peso enorme. Aveva il viso rosso e le pupille dilatate.

La nipote sconcertata cercò di incrociare lo sguardo della zia per l'ennesima volta senza successo, perché la donna era già fuggita in cucina. Iris abbandonò la tavola senza dire una parola, nessuno parve accorgersi di quel suo allontanamento. Gli uomini erano troppo impegnati a gettarsi sulla torta di frutta che la zia aveva velocemente portato in tavola.

Iris si voltò per dare un'ultima occhiata a quel branco di selvaggi e l'unico a alzare ancora una volta lo sguardo verso di lei e a strizzarle l'occhio in modo maliziosamente divertito fu sempre lo stesso, ma lei non contraccambiò.

Scomparve celermente in cima alle scale.

TEMPO DI RIVELAZIONI....?! :)

The night drowns in dawnWhere stories live. Discover now