Capitolo 203: Venerdì, 13 luglio 2012

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Leo distoglie lo sguardo e si morde nervosamente il labbro inferiore. Ester non sa se dirgli qualcosa possa davvero servire, ma ci prova lo stesso.

"L'importante è guarire, no? L'importante è venirne fuori!".

Lui si gira di nuovo a guardarla, e ha negli occhi quella tempesta che lei ormai riconosce.

"E quanto mi costerà venirne fuori, eh?!" le domanda con voce strozzata. "Quante cose dovrò perdere?!"

Lei gli risponde con tono fermo, ma pieno di tutta la sua dolcezza: "Leo, nessuno dice che sia facile. È difficilissimo, ma tu ce la farai."

"Non lo so..." dice lui scuotendo la testa con rabbia.

"Sei arrabbiato, e va bene! Anche la rabbia è un modo per affrontare tutto!"

"Ma io non volevo affrontare tutto! Io non voglio affrontare tutto! Odio non avere scelta! Io questa vita non l'ho scelta! Non la voglio!".

Leo è sul punto di piangere ma stringe i pugni pur di non farlo; chiude gli occhi per un istante e scuote piano la testa, per poi riprendere a parlare, a fatica.

"E poi..., chi me lo dice che alla fine ne verrò fuori, eh?! Magari lotterò e soffrirò per niente, come mia madre!"; guarda per qualche istante davanti a sé, restando in silenzio, come se continuare a parlare fosse troppo.

Troppo pesante.

Troppo doloroso.

Ester resta lì seduta, immobile, fissando il pavimento, chiedendosi cosa fare, cosa dire. Di pazienti lei ne ha conosciuti tanti, e le è sempre venuto facile affezionarsi, a volte anche troppo, perché è fatta così: lei nel suo lavoro ci mette sempre tutta se stessa, senza riserve. Quando si tratta di bambini o di ragazzi poi, l'istinto materno che ha innato da sempre amplifica ulteriormente le cose, ma come Leo non c'è mai stato nessuno. Da quando l'ha visto, la prima volta che sua madre è stata ricoverata, ha subito provato empatia per quel ragazzo sempre allegro e sorridente ma con la tempesta in agguato dentro agli occhi; ci ha messo un attimo a volergli bene, e adesso le fa male vederlo così; d'istinto si sporge verso di lui, vorrebbe abbracciarlo ma si trattiene. Sa che se lo facesse non riuscirebbe più a tenere a distanza il suo dolore; lo assorbirebbe tutto e scoppierebbe a piangere, e il suo ruolo non glielo permette; così si limita a prendergli una mano.

"Ho paura di morire".

La voce di Leo risuona incerta e smarrita, come l'espressione sul suo viso, e ancora una volta le appare fragile come un bambino.

"Come si fa a non avere paura?" mormora quasi senza voce.

"Questo non lo so" gli risponde lei con onestà. "Penso sia impossibile non avere paura, però so che si può andare avanti nonostante la paura. Lo vedo succedere di continuo. Persone che stanno così male da non avere più speranza ma che nonostante tutto vanno avanti ancora, anche quando non ce la fanno più."

"Sai, la Strega mi ha detto che comunque andrà a finire..., la morte non mi farà più paura" dice lui ostentando un sorriso. "Forse dovrei farla a lei questa domanda."

"Io non credo che la paura di morire possa passare, però si può imparare a conviverci. Penso fosse questo che intendeva la Lisandri."

"E pensi che io possa imparare a farlo? A conviverci?"

"Non ne ho dubbi".

Ester sorride e anche Leo sorride, di riflesso.

"Perché sono il re Leone?"

"Esatto" sorride ancora lei, stringendogli forte la mano.


"Molto bene" dice la Lisandri leggendo la mia cartella clinica. "Vedo che stamattina sei sfebbrato, quindi l'antibiotico sta facendo il suo dovere. Nessun effetto collaterale? Niente mal di testa, stanchezza, dolori articolari?"

Leo (Io non ho finito)Where stories live. Discover now